Una
sedia di nome Freccia
Luigi Alcide Fusani
Corso Pavia, 26
27029 – Vigevano
(PV)
+39 0381 903246
+39 338 8262665

Una sedia di nome Freccia by Luigi Alcide Fusani is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
I
C'era una volta una sedia.
Era una bella sedia; sembrava
persino una sedia antica, di legno lavorato, con il sedile di tappezzeria,
imbottita. Non era una di quelle sedie squadrate e dure che si comprano oggi.
Lavorava in una bella casa.
Una casa indipendente, con giardino e autorimessa, vicino al centro.
Non stava in un appartamento
qualsiasi, in un condominio qualsiasi, in una strada qualsiasi.
Il padrone di casa era un
avvocato importante. Una persona seria. Prima di pranzo leggeva sempre le
notizie di politica sul giornale e a pranzo ascoltava sempre il telegiornale.
La sedia doveva restare tutto
il tempo composta accanto al tavolo da pranzo, a meno che qualcuno non volesse
sedersi su di lei. A volte la spostavano per pulire bene sotto il tavolo, ma
per la maggior parte del tempo doveva starsene lì tranquilla.
In casa oltre all'avvocato,
vivevano sua moglie, i suoi figli (due ragazzi di otto e dieci anni), e la
domestica.
Durante il pomeriggio i
ragazzi a volte finivano a giocare in sala, e questo alla sedia non dispiaceva.
I ragazzi giocavano con lei… facevano finta che fosse il vagone di un treno,
oppure una montagna da scalare, oppure un cavallo per battaglie tra indiani e
cowboy. Alla sedia non piaceva molto fare la montagna da scalare, anche perché
spesso la mettevano sul tavolo in posizioni strane, le salivano sopra coi
piedi… poi arrivavano la mamma e la domestica che alzavano la voce, mandavano
via i bambini e la rimettevano a posto. Fare il cavallo per battaglie tra
indiani e cowboy, invece le piaceva molto. Le sembrava proprio di essere un
cavallo vero e di correre attraverso le praterie infinite. Una volta, alla
televisione, aveva visto un bel pezzo di film dove si vedevano dei cavalli
veri, con i pellerossa che correvano nella grande prateria… quella sì che
doveva essere una bella vita. Il protagonista era un cavallo bianco velocissimo
(in realtà era grigio, ma a lei sembrava bianco); così veloce che il suo
cavaliere, Ombra Silenziosa, un guerriero apache valorosissimo, lo aveva
chiamato Freccia.
Quello che invece proprio non
le piaceva, ma per niente, era dopo pranzo, quando la moglie dell'avvocato si
sedeva proprio su di lei, per vedere la sua telenovela preferita.
Per capire meglio quanto
sgradevole fosse la situazione, bisogna chiarire un fatto: la moglie
dell'avvocato aveva un sedere tremendo… un sedere così grosso che non ci stava
nemmeno tutto, sul sedile… un sedere così pesante che ogni volta che la signora
si sedeva, lei si sentiva soffocare.
E poi la telenovela: una
storia di un'imbecillità infinita… e in più le toccava sentire i commenti della
signora e della domestica, Martina, che anche lei si sedeva lì davanti alla
televisione con un chilo di piselli da sbucciare, o qualche altra verdura da
preparare per la cena della sera. “Certo che lui è proprio un bastardo”;
“Ma anche lei, che gli ha
fatto credere che lui è il padre del bambino… non è tanto brava…”;
“Chissà come farà lei, poi
con il bambino, ora che ha anche perso il lavoro…”.
Quello era il momento
peggiore della giornata.
Una volta che proprio non ne
poteva più, cominciò a pensare che avrebbe proprio voluto andarsene.
Si, andarsene e diventare un
cavallo. Uno di quei cavalli che corrono nelle grandi praterie.
Certo non era facile. Lei non
si era mai mossa da dove l'avevano messa.
Incominciò a sognare. Se
fosse stato un cavallo le sarebbe piaciuto tantissimo chiamarsi anche lei
Freccia, come quello di Ombra Silenziosa.
Sapete com’è, quando si comincia
a fare un sogno… cominci a pensarci… continui a pensarci… ci pensi sempre di
più, e alla fine non pensi più ad altro… ogni giorno. Alla notte non dormì più.
Pensi solo a come realizzare il tuo sogno.
La sedia pensava tra sé e sé:
“… dovrei provare a cercare di spostarmi almeno un pochino… qualche centimetro…
fatti i primi centimetri il più è fatto… poi me ne torno a posto, ma intanto mi
sono spostata… e se poi non riesco? Sono quasi cinquant'anni che sto in questa
casa, e non mi sono mai spostata… se scoprissi che non posso spostarmi e che
dovrò restare qui per tutta l'eternità, potrei anche impazzire… devo riuscire,
devo riuscire, assolutamente… devo riuscire. Magari un centimetro… un
centimetro solo, ma devo riuscire”.
E fu così che in una notte di
maggio, una notte che le scoppiava la testa, col cuore impazzito, tremando di
paura, disse a se stessa: adesso o mai più! Sentì ogni fibra del suo legno
contrarsi in una tensione che mai prima di quel momento aveva provato… e si
spostò.
Quando si fu spostata, di
colpo, la sua anima fu invasa da un senso di benessere.
Si fermò un istante a
riposare e a cercare di capire meglio quello che era appena successo. Com'era
stato facile! Avrebbe potuto rifarlo. Guardò il tavolo… si era spostata di un
bel pezzo… altro che un centimetro… saranno stati sette o otto… (avrebbe voluto
pensare dieci, ma le sarebbe sembrato di barare con se stessa).
Fu a questo punto che le
venne un pensiero che la fece tremare… “Sarò capace di farlo ancora?”.
Riprovò. Riuscì di nuovo.
Meno della prima volta… quattro o cinque centimetri, ma questa volta con uno
sforzo decisamente minore. Era stata capace di farlo ancora! La sedia si sentì
profondamente felice, intimamente felice, ma anche spossata… e si lasciò andare
al riposo.
Si risvegliò di colpo al
mattino. La padrona di casa la rimise al suo posto con un movimento brusco,
accostata al tavolo, borbottando “Vorrei sapere chi è che lascia le cose in
disordine in questo modo…”. La sedia pensò: “Fai pure la prepotente… vedrai
cosa farò appena avrò imparato a spostarmi bene bene…”.
II
La giornata passò
velocemente, quel giorno. La sedia non prestò attenzione a nulla di quello che
accadeva intorno a lei. Pensava solo a quello che avrebbe fatto alla sera.
Progettava.
“Potrei andare fino alla
finestra, guardare un po’ fuori, e poi tornare al mio posto… in modo che
nessuno si accorga di niente… è pericoloso… se qualcuno si alzasse di notte per
andare a prendere qualcosa in cucina… un bicchier d’acqua… o un digestivo… o
addirittura a farsi una camomilla… no, no, no… troppo pericoloso…”, e poi non
sapeva come avrebbe retto alla fatica; dal tavolo alla finestra erano almeno
tre metri… sei, tra andata e ritorno… “no, no, … questa sera è troppo presto
per una impresa di questo genere”.
Inoltre le era anche venuto
in mente che i due spostamenti della sera precedente erano andati diritti… ma
sarebbe stata capace di girare a destra o a sinistra? Avrebbe dovuto provare a
girare… si sarebbe limitata solo a fare un mezzo giro su se stessa… in verso
antiorario, per poi ritornare al suo posto ruotando in verso contrario… “Ottima
idea, si!”.
Cominciò a pensare a come
avrebbe dovuto coordinare i suoi movimenti per eseguire le rotazioni previste.
Fece alcune ipotesi, e decise che le avrebbe sperimentate alla sera. Le piaceva
questo modo di pensare; questa capacità di programmare le sue azioni in modo
razionale… scientifico, in un certo senso.
La sera arrivò presto. Quando
le luci si spensero la sedia era già emozionata, ma saldamente padrona di se
stessa. Attese ancora che attorno a lei fosse tutto silenzio.
Finalmente, lentamente,
stando ben attenta a non far rumore, con un piccolo sforzo, perfettamente
controllato, si staccò dal tavolo. Si staccò ancora un po’… poi fece il primo
tentativo di rotazione… Perfetto! Stava girando su se stessa! Di nuovo… di
nuovo… di nuovo! A poco a poco nel buio quasi assoluto, percepì il cambiamento
di prospettiva. Continuò fino a che non ebbe compiuto il mezzo giro. Non aveva
idea di quanto tempo fosse passato; le sembrava contemporaneamente un tempo
lunghissimo e un tempo brevissimo. Era un po’ disorientata.
“Bene – disse a se stessa –
ora bisogna tornare a posto”. Una operazione di precisione, ma la sedia la
eseguì senza incertezze, anzi con una certa soddisfazione.
Ecco… ora era tornata
perfettamente al suo posto. L’ultimo pensiero, prima del riposo, fu per la
moglie dell’avvocato: “… e domattina voglio vedere se ti accorgi di qualche
cosa!”.
La sedia aveva ragione; al
mattino la signora non si accorse assolutamente di nulla… ma quella notte era
successo qualcosa di molto, molto importante.
III
Nei giorni seguenti progettò con
cura tutte le tappe che l’avrebbero portata alla sua nuova vita; non si diventa
un cavallo… così, da un giorno all’altro, senza una seria preparazione. Ogni
cosa doveva essere pianificata accuratamente. Prima di tutto avrebbe dovuto
acquisire una maggiore abilità nello spostarsi e nel muoversi su se stessa; poi
avrebbe dovuto esercitarsi nel salto… una volta aveva visto alla televisione un
torneo ippico dove i cavalli gareggiavano in abilità e forza, ma senza perdere
per nulla la loro eleganza, anzi mettendola in primo piano. Ecco, lei voleva
diventare così. Forte, agile, elegante. Perché non puntare in alto? D’altronde
si vive una volta soltanto, e lei aveva già perso fin troppo tempo in quella
casa.
Certo, esercizi di agilità, e
in particolare il salto, richiedevano spazio e una certa libertà di movimento.
Bisognava aspettare che la famiglia se ne andasse a fare un fine settimana
nella casa in Liguria, al mare, e allora avrebbe potuto esercitarsi con comodo.
Occorreva stare calmi, non
farsi prendere dalla fretta e rischiare di farsi scoprire proprio adesso.
Si immaginava le scene, se la
signora l’avesse scoperta a saltare il divano… senza dubbio si sarebbe messa a
strillare che in casa c’erano gli spiriti e che bisognava chiamare un esorcista
a benedire la casa… no, no, calma, questo era il momento in cui bisognava stare
attenti a non commettere passi falsi.
La sedia aspettò con pazienza
che la famiglia andasse in Liguria… a Santa, dicevano loro… e nel frattempo
ogni notte, un esercizio: un giro intorno al tavolo; una passeggiatina fino
alla porta-finestra; un’occhiatina alla vetrinetta dove la signora conservava
tutti i suoi ninnoli… bomboniere, statuine, scatoline di ceramica, campanelle
di cristallo… una collezione di una banalità assoluta. La sedia si sentiva
orgogliosamente superiore. Orizzonti senza confini… sognava lei; altro che
bomboniere!
Una sera era rimasta a
guardare per una mezzoretta fuori dalla finestra; le sembrava un cielo
familiare… a un certo punto riconobbe cinque stelline luminosissime e quasi
allineate… Ma certo! Erano le stelle che indicavano agli apache la direzione
del loro villaggio. Quando loro si erano spostati di un bel pezzo, o per una
battuta di caccia al bisonte, o per una battaglia contro i visi pallidi, poi
ritrovavano la strada di casa, seguendo le stelle dell’arco… loro le chiamavano
così, quelle cinque stelle! Intuizione meravigliosa! Se lei, una volta libera,
avesse seguito le stelle dell’arco, sarebbe sicuramente arrivata alle immense
praterie.
Una grande gioia pervase la
sua anima. Aveva trovato la luce che l’avrebbe guidata nel suo viaggio verso la
libertà. Se ne tornò al suo posto.
Tornava sempre al suo posto, alla
fine dei suoi esercizi, e se ne restava lì tranquilla, come se niente fosse
successo, ad aspettare che la vita, in casa, al mattino riprendesse come
sempre.
La cosa che la divertiva di
più, in quei momenti… era stare a guardare le altre sedie… cinque… uguali a
lei, costruite insieme a lei. Restavano lì, impassibili, immobili, come se
niente fosse successo… facevano finta di dormire… quelle ipocrite. Poverette.
Lì le avevano messe, lì sarebbero restate fino a che un giorno, qualcuno non le
avrebbe mandate in discarica, o addirittura all’inceneritore. Era vita quella?
Certo che no! Eppure non reagivano!
IV
Finalmente arrivò il fine
settimana in Liguria. Preparativi. Spese e scorte, come se in Liguria non
vendessero l’acqua minerale! Ma la sedia aveva altro a cui pensare… altro che
acqua minerale!
Quando la porta di casa si
chiuse, attese di sentire il portellone del garage che si apriva, la macchina
che si metteva in moto, la manovra… la chiusura, il silenzio.
Silenzio. Silenzio! Libera.
Ora poteva fare tutti gli esercizi che voleva, anche di giorno! Poteva anche
fare rumore… la fermassero le altre, se avevano coraggio!
Cominciò a saltare, a
correre, e poi di nuovo a saltare sempre più in alto, e poi a correre sempre
più veloce, ma senza perdere il controllo: attenta! Attenta a non far cadere
vasi, a non spostare le coppe d’argento, a non urtare i quadri, a non graffiarsi,
a non farsi male… tutti errori imperdonabili.
Fu un fine settimana
indimenticabile; potersi muovere senza paura di far rumore… immaginarsi insieme
agli altri cavalli correre libera fino allo sfinimento, fino a che il sole non
fosse calato dietro le montagne, e restare poi lì, nel vento fresco della sera,
tutta sudata, ad ascoltare il cuore che batte impetuoso. Vita! Quella si che
era vita!
Ad ogni evoluzione si
raccontava quello che immaginava stesse succedendo: “Ecco Freccia, il magnifico
destriero bianco, che attraversa senza esitazioni o cedimenti, il deserto della
morte, dove decine di cavalli vinti dal caldo e dalla sete, sono stramazzati al
suolo esanimi. Ecco che ora con un balzo unico, passa da una riva all’altra del
grande fiume che ha scavato il canyon dell’antilope…”
Quando alla sera della
domenica tornò al suo posto, e si mise ad aspettare il rientro della famiglia,
si sentiva pronta… si! Si sentiva un cavallo vero e proprio. Bisognava solo
aspettare l’occasione… avrebbe potuto essere un pomeriggio d’estate… uno di
quei pomeriggi caldi in cui, per far circolare un po’ d’aria, si srotolano le
tende sui balconi e si lasciano le porte metà aperte. E allora senza
incertezze, un salto e via, libera… libera per le strade del mondo, libera di galoppare,
libera di correre, libera di incontrare altri cavalli liberi come lei.
E così fu. Semplicemente. Era
uno dei primi giorni di luglio, un mercoledì, nelle prime ore del pomeriggio.
Un balzo elegantissimo, e la sedia si ritrovò in strada… non c’era quasi
nessuno, era troppo caldo, e tanta gente era già in vacanza. La sedia si
ritrovò in strada, e la sua vita passata era già completamente dimenticata.
L’avvocato, i bambini, la signora,
la domestica Martina, le sue cinque compagne… brucia vita passata, brucia!
Freccia ora è libero. Cosa succederà in casa quando si accorgeranno della sua
assenza? E chi se ne importa! Il futuro. Quello che conta è solo il futuro. E
ora, avanti, via, diritto davanti a sé, verso le stelle dell’arco, al galoppo.
La sedia correva, ogni tanto
qualcuno, in strada, vedendola arrivare si bloccava, si spostava, restava lì a
bocca aperta, senza capire, e poi si guardava intorno… era uno scherzo? C’era
qualche televisione nascosta che stava riprendendo le reazioni dei passanti? Dov’era
nascosta la telecamera? ... certo… che idea, una sedia che corre da sola nella
strada… ma come sarà il trucco? Ci saranno dei fili? Ma chi è che la muove? Forse
è telecomandata… un robot… dev’essere una roba giapponese… anzi no, cinese…
ormai i cinesi…
Ma la sedia ormai era
passata, aveva girato l’angolo, e già non la si vedeva più.
Dove andava? Diritto. Diritto
verso le stelle dell’arco. Diritto e lontano; lontano da quella casa, lontano
da quelle strade del centro, lontano da quella prigione.
V
Le belle case del centro
ormai non c’erano più; le strade ora, erano costeggiate solo da condomini
grigi. Le saracinesche dei negozi erano ancora abbassate e piene di graffiti,
quelli che i ragazzi disegnano di notte con le bombolette. Ogni tanto, tra un
palazzo e l’altro si apriva qualche spiazzo, o addirittura un terreno incolto,
in attesa di essere edificato.
A un certo punto, dopo le
ultime case, in uno spazio decisamente più grande di quelli che aveva visto
fin’ora… un recinto di transenne, carrozzoni e, al centro, un enorme tendone da
circo a strisce bianche, blu e rosse, e tante stelle… e luci… luci
intermittenti.
Fin’ora lei il circo lo aveva
visto solo alla televisione. Si rese conto in quel momento, che un sacco di
cose, lei le aveva viste solo alla televisione. Certo, a stare sempre e solo in
salotto, più che la televisione non puoi vedere. Si ricordava che nel circo si
potevano vedere giocolieri, trapezisti, acrobati, clown, … ma soprattutto,
animali ammaestrati. Che emozione! Avrebbe finalmente potuto incontrare dei
cavalli come lei! … Si, anche le tigri sono interessanti, e anche gli elefanti
sono capaci di fare gli esercizi… gli elefanti, mio Dio, le venne in mente il
sederone della padrona di casa… no, no… niente tigri, elefanti, foche o serpenti…
cavalli! Lei voleva incontrare i cavalli.
Saltò le transenne, con
facilità e sicurezza, come se non avesse mai fatto altro in vita sua, e si
diresse senza esitazioni verso le gabbie in cui venivano tenuti gli animali tra
uno spettacolo e l’altro. C’era una puzza nell’aria che rendeva l’ambiente poco
gradevole. Se dobbiamo dire la verità… l’elefante aveva appena fatto trenta
chili di cacca… certo è la sua natura… ma anche la puzza, è puzza.
Il primo animale che incontrò
fu un pavone. Lo tenevano nel circo perché quando dovevano cambiare
allestimento, tra un numero e l’altro, lui usciva, faceva il suo giro… e quando
faceva la ruota c’era sempre il solito coro di “Oh”… ma non è che sapesse fare
un granché.
La sedia gli si avvicinò. Il
pavone, sentendosi osservato (anche se non capiva bene cosa stesse succedendo)
si sollevò, si mise tutto impettito, e incominciò a camminare lentamente
davanti a sé. Sembrava quasi che aspettasse che qualcuno gli chiedesse di fare
la ruota… per poter rifiutare.
Gli piaceva farsi pregare.
Alla sedia non passò minimamente per la testa di mettersi a pregare il pavone…
aveva ben altro in mente, e quindi con una certa dose di ingenua insolenza
domandò: “Scusa sai dove posso trovare i miei simili?”.
Il pavone rimase interdetto.
Non capì. La sedia non gli chiedeva di fare la ruota? E soprattutto… di quali simili
parlava? Altre sedie? A parte il fatto che nel circo c’erano le panche, e non
le sedie… Rimase lì, immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto… uno sguardo non
molto intelligente, pensò la sedia; e allora ripeté la domanda, ma un po’ più
chiara: “Scusa sai dove sono i cavalli?”.
Il pavone rimase ancora più
interdetto; incominciò a emettere un verso strano… un gorgoglio che non si
capiva. Sembrava gli fosse andato qualcosa a traverso. Forse aveva paura… ma
non riusciva a gridare, forse cercava di ridere… ma non riusciva a respirare.
Continuava così, impalato.
La sedia capì di avere
incontrato un vero imbecille. Se voleva incontrare i cavalli doveva andare a
cercarseli da sé, e così fece. Salutò il pavone e via. Passò accanto ad alcune
gabbie: una con un paio di elefanti addormentati che non si accorsero neanche
di lei; un’altra con delle scimmie che quando la videro incominciarono a urlare
come delle pazze, terrorizzate; un’altra ancora con il leone che era impegnato
con la leonessa… quando la vide si fermò qualche istante, poi come se niente
fosse riprese a fare quello che stava facendo.
Finalmente, in un recinto, in
uno spiazzo aperto, eccoli! Dodici cavalli lipizani: mantello grigio, sudati,
ma elegantissimi… proprio come lei. Stavano riposando dopo il lavoro del
pomeriggio… la loro domatrice li stava addestrando per un nuovo numero; roba
che si fa solo all’Alta Scuola di Vienna. Adesso erano soli, e stavano
aspettando che gli inservienti venissero con secchi e spazzole per strigliarli,
ripulirli e rinfrescarli.
La sedia si avvicinò al
recinto; era felice ed emozionata… non sapeva bene cosa dire… come rivolgersi a
quegli splendidi animali. Rimase qualche istante in silenzio, sperando che
fosse qualcuno di loro a riconoscerla e a rivolgersi a lei, ma nessuno le fece
nemmeno un cenno.
Fu lei allora a farsi
coraggio, e a prendere l’iniziativa: “Ciao ragazzi… io sono Freccia…”.
Le sue parole non suscitarono
particolari entusiasmi; solo tre di loro si voltarono a guardarla sollevando un
poco la testa. Sembrava che dicessero: “… parli con noi?”.
Freccia continuò: “… sono
scappata di casa oggi pomeriggio e ho attraversato di corsa tutta la città… al
galoppo…”.
Uno dei cavalli fece un cenno
agli altri e si girò dall’altra parte; alla sedia sembrò di sentire una frase,
sottovoce: “Non date confidenza… fate finta di niente…”.
La sedia non aveva certo il
carattere di una che si arrende facilmente, e poi forse aveva sentito male.
“Ragazzi, io sto andando a cercare le grandi praterie… lì potremo correre
liberamente… lì non ci sono recinti e domatori con la frusta… lì nessuno vi
costringerà a fare esercizi stupidi e faticosi… andiamo, venite anche voi, per
voi scavalcare è un attimo!”.
I cavalli erano solo
leggermente infastiditi; si scambiarono qualche occhiata perplessa e si
allontanarono dalla zona vicina alla sedia quasi con indifferenza. Pochi
istanti più tardi comparve un inserviente coi secchi e con le spazzole, e i
cavalli gli andarono incontro immediatamente.
La sedia ci rimase molto
male. Non le avevano nemmeno rivolto la parola… è vero, loro erano i lipizani;
loro lavoravano nel circo; quando facevano le loro evoluzioni ricevevano
applausi e zollette di zucchero, ma la libertà… la libertà è la libertà… e le
grandi praterie…!
Restò a guardarli ancora
qualche istante, poi incominciò ad allontanarsi… camminando.
Quando ebbe fatto una ventina
di metri si fermò e si voltò indietro a guardare ancora una volta quegli
splendidi animali.
Le sembrò che il grigio del
loro mantello fosse più grigio che bianco… e le sembrò anche che uno dei
cavalli, il più piccolo, forse il più giovane, si fosse girato a guardare verso
di lei.
VI
La sedia era un po’ delusa,
non possiamo negarlo. Si era immaginata che i cavalli avrebbero colto
l’occasione, e sarebbero partiti tutti insieme.
Che cosa non aveva
funzionato? Perché si erano comportati così? Qualche volta alla televisione
aveva sentito parlare degli strani comportamenti e delle strane psicologie
degli esseri umani, ma avrebbe scommesso che i cavalli come lei ragionavano in
modo diverso.
Non aveva più voglia di
correre oggi. Camminava con passo spedito, questo si, ma l'entusiasmo e la
voglia di correre, per quel giorno erano passati.
Comunque era contenta. Le strade
asfaltate erano finite. I condomìni erano lontani e si sentiva solo il profumo
dell'erba e la freschezza della brezza della sera. Ormai stava camminando in
mezzo ai campi da più di un'ora, quando si accorse che la sua strada si
incrociava con una roggia; un canale in cui l'acqua che serviva ai contadini
per irrigare i campi, scorreva abbastanza impetuosa.
Avrebbe potuto passare
sull'altra sponda con un semplice balzo, ma sinceramente, ebbe un po' di paura…
incominciava ad essere stanca; e se fosse caduta nell'acqua? Dove l’avrebbe trascinata
la corrente? Non aveva paura di farsi male, ma di andare a incastrarsi in mezzo
alle chiuse e rimanere bloccata lì. Era un rischio che, anche se altamente
improbabile, non poteva assolutamente permettersi di correre. Meglio
costeggiare il corso d'acqua fino a quando non avrebbe trovato un ponte o un
punto in cui poter attraversare con sicurezza.
Si incamminò, e cominciò a
guardare intorno a sé, quel nuovo paesaggio sconosciuto. Ben presto si trovò
vicino a una serie di alberi che costeggiavano la roggia. Il sole stava
tramontando, il vento passava in mezzo ai rami, gli unici suoni che si
sentivano erano il fruscio delle foglie e il gorgogliare delle acque. Era
bellissimo, e ormai aveva smesso di pensare ai cavalli del circo. Si fermò un
istante; voleva godersi fino in fondo quella prima sera di libertà.
A un certo punto fece un
sobbalzo; una voce irata le aveva intimato perentoriamente: “Allora te ne vai o
no!?”. La voce veniva dall'alto… chi era che parlava? La sedia si voltò di
colpo, e incominciò a guardare in mezzo ai rami.
“Non mi guardare, cretina!...
guarda dall'altra parte del canale!”;
“Ma se tu sei sull'albero
perché io devo guardare dall'altra parte del canale?”;
“Perché se tu guardi verso di
me, mi scoprono, cretina!”
Due frasi, due “cretina!”.
Chiunque ci fosse sull'albero certo non era qualcuno di simpatico.
“Scusa ma tu chi sei? E cosa
ci fai sull'albero?”;
“Ma chi me l’ha mandata
questa? Ma proprio a me, mi devi rovinare la giornata? È tutto il giorno che
sto a far la posta a una pantegana che s’è nascosta sotto quel tronco, e mo’ arriva
lei a prendere l'aria fresca della sera proprio davanti al pasto mio”;
“Scusa… io non volevo…”, ma
la sedia non fece in tempo nemmeno a finire la frase che sentì un frullare
d’ali, nervoso tra le fronde, riconobbe un falchetto che si allontanava veloce,
e sentì ancora qualche parola: “Ma vattene!”.
Tutta la poesia della sera e
del tramonto, era scomparsa di colpo.
“Il mondo fuori, è veramente
diverso da come uno se lo immagina…”.
Infatti! Quello che successe
in quel momento, non se lo sarebbe immaginato proprio, nemmeno se glielo
avessero raccontato.
Tutto successe in meno di un
secondo. Un topo lungo almeno trenta centimetri balzò fuori da sotto un tronco,
afferrò qualche cosa nel fango e tirò con forza. Era la testa di un serpentello
che cominciò a dibattersi per cercare di liberarsi, ma il topo lo aveva
afferrato alla testa e non mollava. Subito apparvero altre due topi, e anche
loro si buttarono sulla preda. Un paio di strattoni, e il corpo dell'animaletto
era a brandelli. I topi, voracissimi, ingoiarono tutto in pochi istanti.
Fu a questo punto che il
primo topo si rivolse alla sedia. “Grazie amica!... quel bastardo, era due ore
che stava lì a farmi la posta… mi aveva beccato proprio mentre stavo per
papparmi quel miroldino… ho fatto appena in tempo a imboscarmi sotto il ramo… e
quell’altro lì, s'è acquattato nel fango… l’ho tenuto d’occhio tutto il
tempo!... porca miseria… il falco, a lui
gli va bene tutto, se lo vedeva, se lo pappava lui… e invece ce lo siamo
pappato noi! (e qui tutti e tre i topi risero di gusto)... grazie comunque, se
non venivi tu, stasera io non lo so…”.
“Prego, di niente… e poi non
l'ho neanche fatto apposta…”.
“Ma tu, che cavolo ci fai da
queste parti?”, disse un altro dei topi.
“Io, sto andando verso le
grandi praterie… sono un cavallo ormai, un destriero… mi chiamo Freccia… voglio
combattere con gli apache…”.
E tre rimasero in silenzio
qualche istante.
La sedia diceva di essere un
cavallo.
“Karim, ma questa è fuori
come un balcone”, disse il più piccolo dei topi, che frequentava le fogne della
città, e aveva sentito che lì, quando uno è un po' pazzo si dicono frasi di
quel genere.
La sedia capi, che il suo
discorso poteva suscitare qualche perplessità, ma era anche sicura, che ben
presto, superato il primo sconcerto, tutto sarebbe sembrato naturale anche ai
topi.
“Sapete, io sono scappata di
casa oggi pomeriggio, e ho attraversato di corsa tutta la città… al galoppo…
sto andando a cercare le grandi praterie… lì potrò correre liberamente… perché
non venite anche voi? Lì non ci sono falchi affamati … lì nessuno vi
costringerà a nascondervi sotto i tronchi… lì saremo tutti liberi… andiamo… possiamo
fare il viaggio insieme…”.
I topi erano molto in
imbarazzo. La sedia li aveva tolti da una situazione incresciosa, e loro non
volevano essere maleducati… ma questa ora delirava di cavalli, di praterie e di
apache…
“Vedi, cara sedia, noi ti
siamo molto grati per quello che tu oggi hai fatto per noi, e se ti capitasse
di avere bisogno… noi sicuramente faremmo tutto il possibile per aiutarti… ci
piacerebbe anche venire con te… a chi non piacerebbe vivere nelle immense
praterie… coi purosangue… come te (“come te”, lo disse un po' sottovoce), e chi
non vorrebbe combattere con gli apache… chi non vorrebbe… ma vedi noi siamo una
grande famiglia, ora qui tu vedi solo me, mio cugino Elis, e suo figlio Kevin…
ma io ho decine di figli, alcuni molto piccoli, ho alcune mogli… alcune più
giovani, altre più vecchie, ho decine di fratelli, centinaia di nipoti,
centinaia di cugini, migliaia di figli dei cugini… se noi venissimo, tutta la
grande famiglia si dovrebbe muovere con noi… dovremmo avere l'approvazione
degli anziani, e di tutta la tribù… noi abbiamo viaggiato molto prima di
trovare questa terra in cui grazie a Dio, riusciamo a vivere in pace con quasi
tutti… c'è qualche falchetto in giro, è vero, e in città c'è ancora qualche
gatto che ci dà la caccia… ma più per gioco che per fame… lo fanno per fare
contenti i loro padroni, ma tutto sommato sono dei buoni animali anche loro…
insomma, per fartela breve… noi qui stiamo bene, qui abbiamo messo le nostre
radici, questa è la nostra terra, qui ci sono le nostre fogne… se ce ne andiamo
da qui, chi ci garantisce che troveremo un'altra terra accogliente e ospitale
come questa? Ti ringraziamo ancora per quello che hai fatto per noi, ma non ti
seguiremo; possiamo solo augurarti buon viaggio e buona fortuna. Addio”.
Detto questo i tre fecero un
gesto di saluto con la zampa e di corsa scomparvero lungo le sponde del canale.
Appena si furono allontanati un poco la sedia sentì delle risate sgangherate…
qualcuno ripeteva qualche frase del discorso di Karim: “… a chi non piacerebbe
vivere nelle immense praterie…”, e poi giù a ridere senza misura; “… grazie a
Dio riusciamo a vivere in pace con tutti…”, e giù a ridere di nuovo.
“Forse mi hanno preso in
giro…”, pensò la sedia… “… vabbè, ognuno è libero di vivere come gli pare…
certo che preferire restare nelle fogne, piuttosto che andare a cercare le
immense praterie… io proprio non lo capisco…”.
VII
Ormai si era fatta sera. Non
c’era la luna, e con la luce delle sole stelle, si vedeva poco. Andare avanti
poteva essere pericoloso. Avrebbe potuto urtare contro qualche ostacolo e farsi
del male; oppure avrebbe potuto cadere e rimanere incastrata chissà dove… e se
fosse finita nelle sabbie mobili, chi l’avrebbe soccorsa? Meglio restare ferma,
riposare e aspettare la luce del giorno.
Scrutò con attenzione il
cielo per trovare le stelle dell’arco e quando le trovò si sentì tranquilla;
sapeva in che direzione andare. Era felice, anche se le esperienze di quel
giorno erano state un po’ deludenti… ma domani!
Domani… il giorno dopo, la
sedia si svegliò alle prime luci dell’alba. La prima cosa che vide fu un gatto
rosso che la fissava. Si chinò leggermente verso di lui e lo salutò con un
gentile “Buongiorno”. Quello non rispose, sbarrò gli occhi e incurvò la
schiena. Temendo che lui non avesse capito, lei ripeté sempre gentilmente, ma
con voce un pochino più sostenuta “Buongiorno”. Il gatto, sempre restando in
tensione, non ricambiò il buongiorno, ma domandò; “Perché parli?”.
“Si lo so… sembro ancora una
sedia, ma in realtà io sono un cavallo… sono un destriero bianco, libero e
selvaggio. Sono scappato di casa per raggiungere le immense praterie, e
combattere insieme agli apache…”.
“Sei… pazza?”, chiese
seriamente il gatto, che si era leggermente rilassato, e era in preda a
evidente perplessità.
“Non credo… no… non credo
proprio”.
“Chi ti ha portato fino a
qui? Perché ti hanno abbandonato?”.
“Non mi ha portato nessuno…
sono venuta con le mie gambe”.
Silenzio incredulo del gatto.
“Guarda!”. La sedia girò su
se stessa e poi avanzò di un passo verso di lui, che tornò a sbarrare gli occhi
come all’inizio. La povera bestia era frastornata; non sapeva proprio cosa
pensare; rimaneva lì e la fissava cercando di capire. La sedia pensò che non
poteva restare lì tutto il giorno ad aspettare che quello capisse, e allora
prese l’iniziativa: “Scusa, forse potresti aiutarmi… io dovrei passare oltre
questo canale… ma ho paura che se faccio un salto in questo tratto che è così
largo… se cado, poi la corrente chissà dove mi porta… sapresti dirmi dove trovo
un passaggio per andare dall’altra parte del canale?”.
Il gatto si riprese un po’:
“Ma certo… più avanti c’è un ponte… ci fanno passare sopra i mezzi agricoli
della fattoria… se vuoi ti accompagno, tanto anch’io devo tornare…”.
“Volentieri, grazie!”.
La giornata era luminosa; il
clima gradevole. In quelle ore della mattina non faceva ancora troppo caldo. I
due camminavano in silenzio. Lei era contenta di avere trovato qualcuno con cui
fare un pezzo di strada, ogni tanto dava un’occhiata tutt’intorno alla
campagna, alla terra lavorata, riso, grano, mais, e stava ben attenta a non
inciampare.
Lui cercava di capire… Se
fosse andato in giro a raccontare che aveva parlato con una sedia… non solo!...
ma l’aveva anche accompagnata al ponte sulla roggia… non avrebbe più potuto
farsi vedere in giro per il resto della sua vita…
Si immaginava già le oche:
“Ehi rosso, cos’hai fatto, questa notte… sei andato al gran ballo di
Cenerentola con la credenza?... o sei rimasto a discutere di politica con le
persiane?”.
No, no, no… silenzio…
silenzio assoluto… non c’erano testimoni… nessuno aveva visto niente, nessuno
sapeva niente… e se per caso qualcuno si fosse accorto di qualche cosa, e
avesse messo in giro qualche voce: negare, negare, negare assolutamente”.
Arrivarono al ponte, lo
passarono, e qui il gatto le indicò la cascina: “Bene io sono arrivato… quella
è la fattoria… io abito là… ora devo andare”.
Non vedeva l’ora di uscire da
quella situazione imbarazzante.
“Grazie… grazie per le
indicazioni e per la compagnia… ma scusa… lì alla fattoria ci sono animali? C’è
qualche cavallo?”; il gatto non avrebbe mai voluto sentir dire quello che la
sedia disse subito dopo: “… magari potrei trovare qualcuno che vuol venire con
me fino alle grandi praterie…”.
Povero gatto, era troppo
confuso per avere la prontezza di spirito e il coraggio di dire una bugia; “Si,
ci sono due cavalli, ma sono cavalli da tiro… hanno lavorato tutta la vita, non
credo proprio che avranno voglia di mettersi in viaggio… per di più con una
sedia…”;
“Io sembro una sedia, ma sono
uno splendido destriero!”, rispose lei, risentita; “… e che altri animali ci
sono alla fattoria…?”;
“Ci sono le oche… non ti
auguro davvero di andare con loro… non sanno fare altro che spettegolare e
prendere in giro tutti… insopportabili… io aspetto solo i mesi di ottobre e
novembre, quando il padrone le piglia una a una, e gli tira il collo…”;
“Mamma mia, che orrore! …”;
“… dipende… quelli che le
comprano fanno sempre i complimenti; le portano in Francia, le cucinano nei
migliori ristoranti… con il fegato ci fanno il fois-gras… dicono che sia buonissimo…
anche se io non l’ho mai assaggiato…”;
“Potrebbero scappare… venire
via con me…”;
“Ma figurati! Quelle qui
hanno da mangiare fino a scoppiare… il padrone gli dice sempre ‘mangiate,
mangiate, che poi andate in Francia’, e loro, che sono un po’ sceme, non
vogliono capire cosa gli succederà in Francia…”;
“Poverette… e altri animali?”;
“Ci sono i maiali, e le
mucche… si credono molto importanti… con me non parlano… mi disprezzano, dicono
che sono un parassita, che mangio a sbafo e non faccio mai niente…”;
“… perché? Tu lavori?”;
“Secondo te chi è che tiene
lontani i topi da questa fattoria! I topi, solo a sentire il mio odore scappano…
se la fanno addosso! Addosso, se la fanno!... Se non ci fossi io, sai, qui… qui
non ci sarebbero più nemmeno le porte! Tutto mangiano quelli! Tutto! Ma qui non
osano… lo sanno che qui c’è il Rosso! E il Rosso non perdona! Ma loro cosa vuoi
che capiscano, loro! Mangiare, far figli, farsi mungere… le scrofe… buone
quelle… loro che dicono a me che non lavoro… cosa fanno loro? Si accoppiano…
fanno figli… poi si buttano in terra, nel fango… con le tette all’aria, a farsi
succhiare dai piccoli… a me, quello che mi fa più schifo è come si buttano nel
fango… stanno lì… magari c’è anche una cacca e loro si buttano sopra senza
neanche guardare… vivono come delle bestie… se ti piace la puzza, diventa amica
dei maiali…”.
VIII
Chiacchierando
chiacchierando, erano arrivati all’entrata della cascina. Il gatto, arrossendo
un po’, si rivolse alla sedia, che ormai era diventata sua amica e: “Scusa… per
favore… potresti restare un po’ indietro? Se mi vedono con te… per me qui è
finita… non ti offendere… te l’ho detto… gli altri non capiscono…”;
“Hai ragione. Sei stato così
gentile con me… capisco… non voglio metterti in imbarazzo, vai pure avanti”;
Il gatto si era allontanato
di soli tre metri, e subito si sentì una voce orrenda:
“Tel ki, ke l’è riat! Ol
resta ‘n gir tutta la notte… e po’, quan ke’l gh’ha fa i so comodi tel ki k’ol
s’ fa vet… malnat d’un malnat!” [1] ; e
dopo una brave pausa, dopo aver notato la sedia poco distante:
“Ki el, ke l’gh’a purta ki
quela cadrega qua?” [2] .
Una roba orrenda si allontanò
rapidamente: si capiva che era una donna solo perché aveva la veste che
lasciava scoperti i polpacci, e davanti, sulla pancia rotonda, aveva un
grembiulaccio tutto unto.
La sedia si sentì in
pericolo. Si guardò in giro; non c’era nessuno. Anche il gatto era scomparso.
Si spostò dalla parte opposta a quella in cui era andata la donna e si ritrovò
vicino alla porcilaia.
Aveva ragione il gatto. Una
scrofa enorme, lurida, sonnecchiava distesa a terra, mentre sette piccoli
maiali succhiavano dalle sue tette. Freccia avrebbe voluto chiamarla, invitarla
a partire con lei, ma non sapeva nemmeno come iniziare il discorso. Si fece
coraggio: “Senti!... senti!...”.
L’animale infastidito, aprì
un occhio, sollevò un pochino la testa, la guardò. Sembrava che dicesse: “Non
vedi che ho da fare!?”, e si rimise giù.
“Vabbè, io c’ho provato”,
disse tra sé e sé la sedia. Si guardò in giro; vide la donna orrenda che stava
tornando indietro con il grembiulaccio tenuto per i capi… dentro c’era qualcosa
che non vedeva. Quando passò vicino a lei si fermò un istante; si guardò
intorno come a cercare qualcuno… si stava chiedendo sicuramente chi era, che
aveva spostato la sedia. Per fortuna aveva le mani occupate e quindi si
allontanò senza fare nulla.
Quella… poteva essere
pericolosa; bisognava urgentemente mettersi in salvo. Freccia si mise a correre
in cerca di un posto più riparato; un posto, soprattutto, in cui la donna non
potesse rivederla. Stava ancora correndo quando da un recinto lì vicino si alzò
uno strepito tremendo.
Un’oca l’aveva vista passare
e aveva cominciato a urlare: “Attenti, attenti! C’è un mostro! Un
extraterrestre! Attenti, attenti!”. Si era tutta allungata col collo teso verso
l’alto.
Ben presto tutte le altre
oche erano in piedi e urlavano… non si capiva assolutamente nulla.
Tutta la cascina risuonava
delle loro grida.
La sedia si infilò in una
stalla. Era spaventata; si, bisogna ammetterlo. “Accidenti… la cascina è un
luogo veramente pericoloso!”.
Si guardò in giro; nell’aria
ristagnava una umidità calda e densa. Centinaia di mosche ronzavano passando
dal fieno alle pareti, dalle grandi torte di cacca, agli animali… quando
qualcuna si posò su di lei fu percorsa da un brivido e provò una sensazione di
ribrezzo.
Si fece coraggio e si rivolse
a una grossa mucca che era lì vicino all’ingresso: “Ciao… come ti chiami?”;
“Non vedi che sto mangiando?”;
“Volevo solo sapere come ti
chiami… io mi chiamo Freccia… sembro una sedia, ma sono un cavallo… anzi un
destriero… sto andando alle grandi praterie… lì potrò correre liberamente…”;
“E allora?”;
“… Magari, se c’è qualcuno
che vuol venire con me… tanto per non fare la strada da solo… non ti piacerebbe
venire alle grandi praterie?”;
“Ma non vedi che, a giorni,
devo partorire? Che testa c’hai?”. La grande mucca scosse il testone.
“Comodo, andare in giro, a
far niente… e poi cosa mangiano, la gente… io qui lavoro, ho sempre lavorato…
un vitello ogni due anni e più di sessanta litri di latte al giorno… tutti i
giorni! Qui non c’è sabati né domeniche… mangiare, far latte, far vitelli…”;
“E ti piace?”;
“Certo!... Ma vuoi mettere la
soddisfazione quando viene il contadino e lo senti che dice: “Va’ che bel
vitellino che c’ha fatto, anche quest’anno, la Lola… brava la Lola, brava!”… e
ti dà una bella mano sul culo… sono soddisfazioni…”;
“Capisco, capisco… e
naturalmente qui tutte le tue compagne la pensano come te…”;
“Certo! Noi lavoriamo… tutti…
abbiamo sempre lavorato… qui non c’è nessuno che ha grilli per la testa! Se non
si lavora non si mangia”;
“Capisco… e allora, buon
lavoro…”;
Un tafano orrendo si era
posato sul suo tessuto e cercava di mangiare un pezzetto di fibra. Freccia
doveva uscire il prima possibile da quel posto terribile; sperava solo di non
incontrare di nuovo la donna col grembiulaccio.
“Dai vieni via… vieni di qua”;
Era la voce del gatto che se
n’era stato nascosto in un angolo e aveva sentito tutta la conversazione.
“Ciao Rosso!”;
Freccia lo seguì all’aperto;
finalmente aria pulita e luce! Le mosche rientrarono nella stalla; le oche
stavano cominciando di nuovo ad agitarsi, ma prima che qualcuna di loro si
mettesse di nuovo a starnazzare il Rosso le zittì di prepotenza con un
perentorio “Ferme, stupide! E zitte, cretine!”.
Quelle rimasero lì impalate,
attonite, gorgogliando.
Rosso, che conosceva ogni
angolo della cascina, condusse con sicurezza, Freccia fuori da quel posto.
Passarono anche davanti ai due vecchi cavalli; stavano lì in un recinto; c’era
una vasca con un po’ d’acqua e un mucchietto di fieno, in un angolo.
Sonnecchiavano, stanchi; aspettavano. La sedia li guardò ed ebbe pietà di loro.
Ormai la libertà per loro…
“… Senti Rosso… perché non
vieni tu, via con me… ce ne andiamo insieme… andiamo a cercare le immense
praterie…”.
Il Rosso si fermò un istante:
“Io ho già la mia libertà. Vado, vengo… quando voglio, dove voglio… qui in giro
è pieno di gatte… e io faccio quello che mi pare… qui c’è sempre qualcosa da
mangiare per me… non prendo ordini da nessuno… tutti mi rispettano. Non
desidero niente di più di quello che ho già”.
Ripresero a camminare; “Hai
ragione… perché rischiare, non si può mai sapere quello che può capitare in
viaggio…”;
“Ora vai avanti fino alla
fine del muro; là gira a destra… e buona fortuna”, e detto questo si girò e
tornò dentro la cascina. Gli dispiaceva un po’ che la sedia se ne andasse; non
aveva mai parlato con nessuno, come con lei. Si sentiva cambiato, e sapeva che
non l’avrebbe dimenticata mai.
Freccia arrivò in fondo al
muro, guardò a destra e sentì, anche se non le vedeva, che le cinque stelle
dell’arco stavano laggiù. Forza, il cammino continua.
IX
In direzione della strada non
si vedevano altro che alberi e campi coltivati; doveva fare la strada da sola,
ma insomma, meglio che correre certi rischi…
Freccia camminò qualche ora; era
felice, e ogni tanto si faceva anche una corsetta; si immaginava di essere già
nelle immense praterie, di saltare un ostacolo, di salire su una roccia e
dall’alto, davanti alla luna, restare ad ascoltare il fiume che scorreva giù
nel canyon. Che gioia sentiva nel profondo dell’anima!
A un certo punto, era salita
in cima a un cumulo di terra, vide passare nella strada un furgone. Sulla
fiancata una scritta: Istituto ricerche medico-scientifiche.
Strano. Dove andava in piena
campagna un furgone dell'istituto per le ricerche mediche e scientifiche?
Freccia si lanciò all'inseguimento; è vero che restava indietro, anche se il
furgone sulla strada di campagna procedeva lentamente; tuttavia la strada era
una sola, e non poteva sbagliarsi. Dopo qualche centinaio di metri, ecco il
furgone fermo davanti a un cancello. Sulla recinzione, sovrastata da un triplo
in giro di filo spinato, un cartello: Centro allevamento e addestramento cani
da guardia. Il furgone aveva suonato e qualcuno era uscito ad aprire il
cancello.
Il furgone era entrato. La
sedia si avvicinò e rimase a osservare la scena. Gli uomini avevano aperto il
portellone posteriore e stavano facendo salire… due, quattro, sei, otto… cani.
Quelli non sembravano proprio cani da guardia… e cosa se ne facevano
all'istituto per le ricerche mediche e scientifiche di otto cani da guardia?
Freccia era una sedia, o forse un destriero, forse era un'ingenua piena di
speranze che credeva di poter realizzare i suoi sogni, ma certo non era una
stupida.
Il destino degli otto cani
aveva un nome ben preciso… vivisezione.
Freccia era un'ingenua, ma certo
non le mancava il coraggio, e in certi casi non aveva dubbi su quale fosse la
cosa giusta da fare. Doveva avvisare i cani. Doveva fermare il massacro.
Il portellone fu chiuso; il
guidatore e l'uomo del canile firmarono alcune carte, si strinsero la mano e si
salutarono: “Ci vediamo fra quindici giorni!”; “Ci vediamo”.
Il furgone ripartì, uscì dal
cancello; l'uomo che era rimasto uscì un momento sulla strada, si guardò
intorno per controllare che non ci fosse nessuno a dar fastidio… non si accorse
neanche di Freccia; chiuse bene il cancello e se ne tornò dentro all'edificio.
Freccia diede un'occhiata
alla recinzione… guardò con determinazione il filo spinato… questo era il
momento! Avrebbe saltato! C'era da compiere una missione… salvare decine di
cani innocenti… lo avrebbe raccontato ai cavalli degli apache… di quella volta
che lei, senza paura di farsi male, senza paura di ferirsi, aveva saltato sul
recinto… e loro l’avrebbero ammirata.
Si allontanò di una ventina
di metri dal recinto; guardò con determinazione l’ostacolo da saltare, raccolse
tutte le proprie energie… e via! Rincorsa, balzo!... vide sotto di sé il filo
spinato… le sembrava che si sporgesse per strapparle la tela… ma un vero
destriero nei momenti decisivi non commettere errori… atterrò dall'altra parte,
persino con una certa eleganza… peccato non ci fosse stato nessuno a vederla!
Ma non era certo quello il momento di compiacersi della propria abilità.
Incominciò a spostarsi intorno al caseggiato cercando un varco… cercando le
gabbie dove venivano tenuti gli animali. Le trovò quasi subito. Andò alla
gabbia dove erano tenuti gli animali più grandi… i quali, non capendo cosa
stesse succedendo, incominciarono a scoprire e digrignare i denti.
Evidentemente credevano di essere terribili. Alla sedia invece non facevano
particolarmente affetto… e poi lei sapeva… era lì per una missione, per un salvataggio…
doveva solo spiegarsi:
“Ragazzi… ho scoperto una
cosa terribile… voi credete che vi stiano allevando per mandarvi a fare i cani
da guardia… ma non è vero…”;
“E tu chi sei?... Chi ti ha
mandato?... Questo è un centro di addestramento segretissimo… come sei arrivata
fin qui?”;
“Occhio ragazzi… deve essere
un provocatore mandato qui per metterci alla prova”;
“… E quale sarebbe secondo te
il motivo per cui ci stanno allevando?”.
I tre cani che avevano
parlato, appena finita la loro frase, tornarono a mostrare i loro denti aguzzi
e a minacciare.
“Vivisezione… ho appena
visto, un furgone dell'istituto per le ricerche mediche e scientifiche, portare
via otto di voi… e ho sentito dire pure che si rivedono fra quindici giorni…
tra quindici giorni vengono qui a prendere altre cani… cosa se ne fanno ogni
quindici giorni di otto cani da guardia?”;
“Balle! Cani della nostra
razza, cani della nostra forza… cani con denti come i nostri… non si sprecano
per fare esperimenti…”;
“Noi siamo riconosciuti per
la nostra fedeltà ai nostri padroni… tutti sanno quanto siamo affidabili… e
cattivi!”;
“Noi siamo dei guerrieri… i
migliori… e tu chi sei? Chi ti dà il permesso di venirci a parlare in questo
modo?”.
Freccia non si era certo
immaginata un'accoglienza di questo genere. Stava per mettersi raccontare tutta
la storia… che lei sembrava una sedia… ma era un destriero… e stava andando a
cercare le immense praterie, ma sentì… sentì che quelli non avrebbero voluto
capire.
Avrebbe voluto dire che
quello che stava facendo, lo faceva solo per amore della libertà, della verità,
della giustizia… ma sentì che ai loro occhi sarebbe apparsa solo come una sedia
patetica e ridicola. E allora tacque. Si allontanò pensando: “Poveretti…
credono di essere poliziotti, credono di avere delle responsabilità, credono di
essere amati e rispettati dai loro padroni e invece... sono solo carne da
macello. Poveretti… si poveretti”.
Ormai stava scendendo la
sera… tra poco, in cielo sarebbero apparse le cinque stelle della costellazione
dell'arco. Doveva andare. Questa volta non prese nemmeno la rincorsa… fece due
passi e saltò ancora più in alto di quanto non avesse saltato per entrare.
“Io non ho bisogno di
nessuno… io posso benissimo andare anche da sola… io so benissimo quello che
voglio e dove voglio andare… e ci vado!”.
Si allontanò
dall'allevamento, guardò in cielo le cinque stelle, si sentì un po’ delusa, e capì che era giunto il momento di riposare.
X
Le luci dell'alba non erano
ancora comparse, e Freccia sentì vicino, un intenso scalpiccio; non solo, si
sentivano anche i suoni di campanacci, ma leggeri. Si guardò intorno nel buio e
vide, non lontano da dove si era sistemata un gregge di pecore sonnolente che
con gli occhi semichiusi strappavano ciuffetti d'erba e avanzavano lentamente,
una accanto all'altra, sorvegliate dai cani pastore, precedute da due asini.
Gli asini portavano delle sacche e seguivano due uomini, i pastori, che erano
avanti di un bel pezzo, e stavano seduti su un tronco d'albero, ad aspettare,
sonnecchiando anche loro.
La sedia restò a guardare per
qualche istante. Le avrebbe fatto piacere che qualcuno si accorgesse di lei e
le rivolgesse la parola. Dopo tutto non era così naturale trovare una sedia
sola soletta, in aperta campagna… ma nessuno lo fece.
“Forza”, si disse, “…
facciamoci vedere!”.
Quattro salti, e si trovò
subito vicino al gruppo. Naturalmente le pecore a cui si avvicinò si
spaventarono e senza nemmeno stare a sentire, si misero a scappare diritto
davanti a sé. Le altre, che non l’avevano nemmeno vista, vedendo quelle che
scappavano si misero a scappare anche loro… qualcuna, non si capisce nemmeno
perché, incominciò a belare come se stesse correndo chissà quale pericolo. Gli
asini si fermarono, e restarono lì ciondolando la testona e pareva che si
chiedessero: “… ma cos'hanno queste da agitarsi così?”. In queste situazioni sapevano
che bisognava aspettare che i cani pastore ricomponessero il gregge, e che le
pecore ricominciassero a brucare tranquillamente. La sedia fece ancora qualche
passo. Fu uno degli asini che, a quel punto, dopo aver esitato qualche istante,
si rivolse a Freccia: “Tu ti muovi da sola? Puoi capire quello che ti dico?”;
“Si, certo, mi muovo da sola,
capisco quello che mi dici e posso anche parlare…”;
“… e cosa ci fai in questo
posto sperduto?”;
La sedia gli raccontò tutta
la storia che noi sappiamo già, del cavallo Freccia, delle grandi praterie
eccetera eccetera… “…e voi dove state andando?”;
“Stiamo facendo la
transumanza… la facciamo ogni anno; in primavera scendiamo verso la pianura,
adesso invece stiamo andando verso le colline e le montagne per trovare nuovi
pascoli verdi per le pecore… ogni giorno ci spostiamo di qualche chilometro e
all'inizio dell'autunno saremmo arrivati”;
“… e quindi fate sempre la
stessa strada? Tutti gli anni? Avanti e indietro?...”;
“Si, sono i pastori che
decidono…”;
“Non vi piacerebbe venire
anche voi alle grandi praterie? È vero,
non siete dei destrieri… ma sareste liberi anche voi…”;
I due asini restarono qualche
secondo in silenzio… uno scosse leggermente il testone, guardò l’altro: “…
certo… certo sarebbe bello…”; e anche l’altro, scosse il testone.
Nel frattempo, i cani, dopo
aver calmato e ricomposto il gregge si erano avvicinati; scrutavano in quello
spazio semibuio per cercare di capire quella situazione che evidentemente non
gli era mai capitata prima e ascoltavano con attenzione.
Freccia si rivolse anche a
loro con gentilezza “… e voi come vi chiamate?”;
I cani non erano del tutto
convinti… tuttavia: “Io sono Rocky, mi hanno chiamato così, come il pugile,
perché fin da piccolo ero il più forte… lui invece si chiama Ciro… adesso è
ancora giovane, sta facendo pratica, ma quando io mi ritirerò sarà lui a
controllare il gregge… la piccola invece si chiama Beba… è furba… è sveglia… e
ha un sacco di coraggio… una volta ci ha visto mentre passavamo, si è attaccata
e non se n’è andata più…”.
A questo punto intervenne un
asino: “Lei sta andando alle grandi praterie… dev’essere bellissimo… a me
piacerebbe… andiamo anche noi!”;
Rocky ringhiò come se avesse
visto un lupo aggredire gli agnellini: “Voi non andate da nessuna parte! Non
azzardatevi a fare un passo, se non volete che chiami i pastori e vi faccia
riempire di legnate!”;
“Ma non è giusto!”, cercò di
ribattere l’asino, ma tutti e tre i cani cominciarono ad abbaiare con tale
cattiveria che i due poveri somari si girarono e scapparono in direzione dei
pastori, dove evidentemente si sentivano più al sicuro. D'altronde, quando un
cane abbaia in quel modo, non è che ci sia da discutere più di tanto.
Ci fu qualche istante di
silenzio, carico di tensione: “Peccato
che state andando in direzione opposta a quella in cui sto andando io… io vado
verso le cinque stelle dell'arco… vedete laggiù?”, disse la sedia in tono
conciliante.
I cani si voltarono a
guardare nella direzione indicata dalla sedia, e con il capo, fecero cenno di
aver capito.
“Sono sicura che andando in
quella direzione troverò le grandi praterie dove vivono i destrieri liberi e
selvaggi come me…”.
I cani si guardarono tra di
loro; Rocky diede agli altri un'occhiata che significava: “Lasciamoglielo
credere, basta che non metta più strane idee in testa ai nostri asini…”, poi la
guardò, fece cenno di sì con la testa, e tutti e tre tornarono alle loro
posizioni di guardia, a controllare il gregge.
Le cinque stelle della
costellazione dell’arco incominciavano a scomparire nelle prime luci dell’alba.
La sedia si incamminò.
XI
Quel giorno non fece incontri
particolari. Dovette attraversare un bosco, e lì trovò solo piccoli animali,
indaffarati a raccogliere semi e ghiande da portare nelle loro tane. C’erano
scoiattoli, ghiri, uccellini, qualche vipera, una volpe coi piccoli… da lontano
vide anche passare un grande cervo con la sua famiglia. Il cammino si faceva sempre
più difficoltoso, non solo perché il bosco era sempre più fitto, ma anche
perché il percorso era sempre più in salita; a volte, doveva fare dei lunghi
giri perché c’erano rami spezzati o tronchi caduti che ostruivano il passaggio.
Non le piaceva quel pezzo di
strada; aveva paura di ferirsi, di strappare la tela del sedile o dello
schienale, cioè di rovinarsi il mantello… e poi, insomma, lei aveva sempre
vissuto in un salotto, quell’ambiente lì le faceva un po’ di paura.
Camminò tutto il giorno senza
riposarsi; alla sera, finalmente, quasi di colpo la foresta si diradò, e
Freccia si ritrovò di fronte a una piana verde… grandissima… lontanissime si
vedevano delle montagne, coperte di neve sulla cima. Restò lì a guardare, con
il cuore che le si riempiva di gioia… che silenzio, che aria pulita!
Certo sapeva che quella piana
non era la grande prateria… ma ci assomigliava abbastanza.
Voleva riempirsi gli occhi e
la mente di tutto quello che vedeva, di tutto quello che sentiva, in quel
momento… un momento meraviglioso da ricordare tutta la vita.
In mezzo alla piana scorreva
un corso d’acqua, e accanto una strada, ma non c’erano auto che la
percorressero; a un certo punto la strada passava sopra il torrente; dopo
quell’incrocio, i loro cammini si divaricavano.
Restò lì, ad aspettare che la
luce del giorno svanisse e le stelle si accendessero, a una a una nel cielo
sereno. Vide la costellazione dell’arco splendere davanti a lei; le sembrò che
non fosse mai stata così luminosa e in cuor suo, la ringraziò di averla guidata
fino a quel paradiso in terra. Guardava il cielo… guardava nella piana che
oramai era diventata nera, e pensava che il giorno dopo, finalmente, avrebbe
incontrato i destrieri liberi e selvaggi, e si sarebbe unita a loro.
Era emozionata, e non riuscì
ad addormentarsi fino a tarda notte.
Al mattino, quando si
svegliò, il sole era già alto. La piana splendeva davanti a lei, e quello che
vedeva in quel momento era la prova che non si era sbagliata; il suo sogno era diventato
realtà; le stelle dell'arco l'avevano guidata esattamente là dove lei voleva
andare.
Là, vicino al fiume, in un
ansa, un branco di cavalli si stava abbeverando tranquillamente.
Erano loro i destrieri liberi
e selvaggi per i quali lei aveva fatto tutto il viaggio… ora finalmente si
sarebbe unita a loro, e insieme avrebbero corso su tutta la piana.
Si gettò al galoppo verso di loro,
saltò dei cespugli, volò sopra alcune rocce che sporgevano dal terreno, si
sentiva forte, sentiva finalmente, di essere riuscita ad essere se stessa.
Attraversò tutta la distesa;
si avvicinò agli altri destrieri (… da vicino erano bellissimi), e nitrì.
Quelli si scossero appena… alcuni
la guardavano con un sorrisetto…
“Cos'è sta roba…”;
“Non ho idea… dev'essere uno
scherzo…”;
“No, non sono uno scherzo…” e
raccontò tutta la sua avventura, fin da quando viveva nella casa dell'avvocato,
e quando era scappata, e tutti gli incontri, e il circo, e la fattoria, e il
bosco… insomma, tutto il racconto di tutto quello che le era successo fino a
quel momento; il momento in cui il suo destino si era compiuto.
Durante tutto suo racconto,
qualcuno ogni tanto ridacchiava; qualcuno scuoteva la testa; qualcuno ascoltava
incredulo con sguardo fisso sulla sedia, o nel vuoto.
Quando ebbe finito di
raccontare, uno dei cavalli, un capo, il più vecchio forse, scosse la testa: “Non
ho mai sentito niente del genere… è una storia veramente incredibile…
francamente non so che cosa dovremmo fare…”;
“Non dobbiamo fare niente…
quella è una sedia, e noi non possiamo accettarla tra di noi!”.
“Se accettassimo questa sedia
nella nostra tribù, diventeremmo gli zimbelli della pianura…
Diventeremmo la tribù della
sedia!”
E rivolgendosi a lei: “Patetica!
Ma come puoi pensare di essere diventata un cavallo… come puoi pensare che
qualcuno possa prenderti per un cavallo…”;
“Non un cavallo… un destriero…
e magari le piacerebbe… anzi, gli piacerebbe anche sposarsi con qualche cavalla
delle nostre!”;
L’ultimo che parlò disse: “Ma
dove pensi di andare… con quelle zampette di legno?”.
Questa volta Freccia si
offese a morte.
Non potevano trattarla così!
Non potevano, anche loro, essere così stupidi da considerare solo le apparenze
più banali! Non meritavano nemmeno una risposta; lei era molto più destriero di
loro; loro erano nati, così, e non avevano fatto niente per meritare di essere
quello che erano; loro non avevano mai inseguito un sogno, come aveva fatto
lei; lei aveva voluto diventare un destriero; aveva lavorato, per diventarlo… e
non sarebbero stati certo loro a farla tornare indietro!
Freccia si voltò; lanciò un
nitrito, si alzò sulle zampe posteriori e si lanciò al galoppo. Una corsa
solitaria e meravigliosa… si diresse verso i confini della piana, saltando
tutti gli ostacoli senza alcuna esitazione, con una eleganza da gran prix, e
poi via, ancora, lungo tutto il confine… via, via, via… andava così veloce che nessuno di quei destrieri là al fiume
avrebbe potuto starle dietro; via, via, via… senza fermarsi mai, e nessuno di
quelli avrebbe avuto la sua resistenza; via, via, via… per tutta la giornata…
non un momento di stanchezza, non una goccia di sudore!
Qualche lacrima, si.
Qualche lacrima che si
mescolava con le prime gocce di pioggia.
Non si era nemmeno accorta
che nel pomeriggio grossi nuvoloni si erano addensati sopra la piana e ora
cominciava a piovere.
Era delusa, ma non aveva
perso la sua lucidità. Doveva trovare un riparo, altrimenti la sua tela si
sarebbe bagnata tutta… il legno si sarebbe piegato… si sarebbe tutta deformata,
avrebbe fatto fatica a correre… le sarebbe venuta una specie di artrosi, e
avrebbero dovuto abbatterla.
Doveva raggiungere una specie
di baita che aveva visto durante il pomeriggio… non era tanto lontana da lì…
via un’ultima corsa, ed eccola al sicuro!
La porta era semplicemente
accostata; aprì ed entrò. Basta ora poteva riposare… domani, via, a cercare
nuovi orizzonti, altre praterie, altri incontri. Arrendersi: mai!
Si mise a riposare… sognava
di guerrieri pellerossa e di battaglie… sognava villaggi, mandrie di bufali,
recinti; albe e tramonti; l’aria calda del giorno e il vento fresco della notte…
sognava.
XII
Sognava. Ad un certo punto
avvertì una sensazione di calore che non aveva mai provato prima. Era un calore
che invadeva tutto il suo corpo e lo trasformava. Un calore che partiva dallo
schienale, e dallo schienale scendeva giù al sedile, e dal sedile, ancora più
giù alle gambe. Il suo corpo si stava trasformando… Lo schienale era diventato
più forte, robusto… un bellissimo collo, e ora stava spuntando una magnifica
criniera grigia… quasi bianca! Il sedile si era arcuato, e stava diventando una
schiena robusta, che avrebbe potuto sorreggere qualunque guerriero apache… e le
gambe… le gambe… altro che quattro zampette di legno! Le gambe si stavano
trasformando in quattro zampe forti, lunghissime ed eleganti. Scosse la testa e
nitrì. Un nitrito che si sentì in tutta la piana, un nitrito che echeggiò in
tutte le valli vicine, e anche oltre, fino alla città. Tutti si svegliarono;
qualcuno ebbe anche paura. Freccia invece si sentiva… come dire? Liberata!
Usci dalla baracca, batté lo
zoccolo sulla terra… e la terra echeggiò tutta; si alzò sulle zampe posteriori
e lanciò un nuovo nitrito… era un nitrito di gioia, ma per alcuni suonò come un
grido di guerra. Le nuvole erano scomparse; le stelle luminosissime brillavano
in cielo; Freccia si lanciò al galoppo verso la costellazione dell’arco; le
sembrava che con un balzo potesse raggiungerla. E allora saltò! Che forza! Che
leggerezza! Sentì che si stava sollevando… leggera, leggerissima… si, con
quella leggerezza che aveva sempre sentito nel profondo della sua anima.
Il suo balzo stava
attraversando tutto il cielo. E tutti la videro… tutti!
La videro i cavalli della
piana, che si abbeveravano all’ansa del fiume.
La videro i piccoli animali
del bosco, che non l’avevano nemmeno considerata.
La videro Rocky, Ciro e la
Beba… e gli asini, e le pecore, e anche i pastori.
La videro i cani
dell’allevamento, e capirono, e furono presi da terrore.
La videro il Rosso, le oche,
la scrofa, la mucca che aveva appena avuto il vitellino, e sapeva che tra
qualche settimana glielo avrebbero portato via… e la videro anche le mosche e i
tafani.
La videro il falco e i topi
di fogna, che erano usciti quando avevano sentito il nitrito.
La videro gli animali del
circo: l’elefante e le tigri, e i cavalli lipizani, che quella sera non avevano
ricevuto neanche tanti applausi, e il pavone, che restò li a becco aperto, a
gorgogliare ancora una volta.
La videro i passanti che
aveva incontrato per le strade della città.
La videro, dalla loro casa in
Liguria, l’avvocato, e i suoi figli, e la signora, e la domestica Martina, e la
videro anche, attraverso la finestra da cui Freccia era scappata, le altre
cinque sedie del salotto.
Tutti capirono in quel
momento che accanto a loro non era passata una sedia qualunque; era passata una
sedia con un’anima, e con un sogno; e con la forza di credere nel suo sogno, e
di non tradirlo mai… Freccia era una
sedia straordinaria… e loro non lo avevano capito…
Freccia si voltò indietro,
prima di spiccare il balzo finale, verso le stelle dell’arco… guardò la terra,
e la piana, e la baita dove aveva trovato riparo per quell’ultima notte da
sedia. Si accorse in quell’ultimo istante che lì, avevano trovato riparo anche
due uomini… due pastori? Due pellegrini? Due vagabondi?
Chiunque fossero, avevano
freddo e si stavano scaldando davanti al fuoco… e nel fuoco stava bruciando una
vecchia sedia.
Luigi Alcide Fusani
Corso Pavia, 26
27029 – Vigevano
(PV)
+39 0381 903246
+39 338 8262665

Una sedia di nome Freccia by Luigi Alcide Fusani is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
Nessun commento:
Posta un commento