NAUFRAGI
Luigi
Alcide Fusani
Corso
Pavia, 26
27029
– Vigevano (PV)
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Naufragi - by Luigi Alcide Fusani is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License
Naufragi
La scena è deserta. Solo un pezzo di un
tronco scorticato giace più o meno al centro del palco; intorno qualche pietra.
Un lungo telo azzurro/blu attraversa in larghezza tutto il palco; qua e là è
arricciato e ogni tanto viene sollevato da un’onda che lo percorre.
Entra un uomo, evidentemente un
naufrago, trascinandosi dietro un grosso baule.
È spossato, si accuccia per terra
davanti al tronco e sbuffa…
●
Porca boia… ma
dove sono finito questa volta? … Qui non c’è nessuno…
Questa non è un’isola… questo è uno
scoglio…
Speriamo che passi presto qualche nave…
che mi prendano su… sennò questa volta… caro me… senza mangiare, senza bere… al
sole…
boia che caldo… al sole che picchia
come un martello…
mi ritrovano secco come un legno
vecchio… se mi ritrovano…
duro come uno stoccafisso… se non mi
mangiano prima gli uccelli…
me ne son capitate tante nella mia
vita, ma questa proprio non mi piacerebbe… diventare cacca di gabbiano…
che schifo… questa proprio non mi
piace…
ché poi mi usano per fare il concime…
Ma che isola è questa?... boh? Sembra
un’isola quadrata… non mi pare di averla mai vista un’isola così… neanche sulle
carte di navigazione…
E poi così isolata… oh! Non si vede
niente… neanche all’orizzonte…
Almeno un fumo… che faccia pensare a
un’altra isola… una terra…
Sarà mica un’isola stregata? Un’isola
magica… che poi magari scompare di colpo e io mi ritrovo a bagno un’altra
volta…
Miii che situazione! Perché poi, se
questa è un’isola stregata… e allora poi magari quando dormo, vengono fuori
tutti gli spiriti… com’era quella storia dell’isola… della Tempesta… che
l’avevamo anche recitata… che c’era lo spirito… buono… quello che… che era leggero
e volava, e quell’altro che era cattivo e puzzava come una bestia e strisciava
come un verme… mi pare…
Com’era quella storia? Non me la
ricordo più… mi ricordo solo che c’era il mago… che aveva una figlia… e che era
stato abbandonato dal fratello su uno scoglio in mezzo al mare… non me la
ricordo…
Però adesso mi è venuta la paura…
perché se sull’isola ci sono gli spiriti… poi, questa notte quando mi
addormento… poi loro vengono qui e mi fanno i dispetti… e magari mi ributtano
in acqua… e i pesci credono che io sono morto e mi mangiano crudo… e quando io
sono morto… loro si prendono il mio baule… e a quel punto si, che sarò morto
davvero!
Si siede sul baule.
●
… ecco fatto…
ecco! Venite a prendermelo adesso, il mio baule… dovete buttarmi giù… perché io
non mollo… sappiatelo! Io non mollo!
Io qui sopra ci dormo anche, ma il
baule non lo mollo… Il baule è tutta la mia vita… è tutta la mia storia… e se
mi togliete la mia storia io non sono più niente… senza la mia storia io… io
divento niente… niente… come un pezzo di legno, come un sasso… cosa ci fai con
un sasso?
Ci puoi parlare con un sasso? … Nooo!
Ti può raccontare una storia un sasso?
… Nooo!
E allora cosa fai? Quando te lo trovi
davanti, che ti intralcia la strada… gli dai un calcio, e lo levi di mezzo…
Questo è quello che succede ai sassi!
Ma io non sono un sasso… no! Io ce l’ho
la storia da raccontare… la mia storia… è una bella storia… spiriti?…
spiriti?... la volete sentire la mia storia?...
Spiriti?... facciamo un patto… io vi
racconto la mia storia… almeno un pezzo… se vi piace, voi questa notte mi
lasciate riposare tranquillo… e io poi, domani, ve ne racconto un altro pezzo…
va bene?... Va bene?...
Silenzio di tomba… sono tosti questi…
fanno finta che non ci sono… e poi … quando meno te l’aspetti… zak… che ti
fregano!
Vabbè… vediamo… vediamo da dove
cominciamo… con le storie il problema è sempre da dove cominciare…
Proviamo a vedere cosa c’è qui…
Apre il baule e tira fuori una maschera
da soldataccio, con folti baffi e sopracciglia …
●
Eravamo
all’inizio del 1500… a quel tempo l’Italia era il campo di battaglia di
eserciti stranieri che al servizio di re e imperatori di tutta Europa, si
contendevano i brandelli del Sacro Romano Impero. La mia era una famiglia di
poveri contadini, lavoravano la terra dalle parti di Pavia.
Un giorno arrivò un manipolo di
mercenari… dovevano essere dei lanzichenecchi.
Indossa la maschera del soldato e parla
con accento tedesco
●
Tok tok tok…
apre di qvesta porta! Se voi non volere che io butta giù con potentissimo
calcio di mio piede.
Col braccio fa il gesto della porta che
si apre cigolando
●
Bene, io vede
voi subito capito che meglio non scherzare con capitan Spakamaroni!
Tu, donna… cosa tu preparato per
mangiando?
Fai vedere cosa in pentola… Mmmm… buona
zuppa faccioli con cavolo rosso… e perché non anche uno buono pezzo di cotica
maiale?
Come!? voi non afere maiale! Tutti
contadini afere maiale.
Tu… padrone di casa… contadino gnorante
i ecoista… trofa subito cotica maiale da cuocere con faccioni e cafolo rosso!
Come?--- tu dice ancora che tu
contatino povero, no avere cotica maiale?
Se tu non porta subito uno bello pezzo
carne di maiale, io prende divertimento con pezzo di bella contadina…
Si leva la maschera
●
Andò così… il
pezzo di cotica di maiale non c’era…
Mio padre fu preso e legato a un albero
di ciliegie vicino a casa…
Mia madre fu presa dai soldati per il
loro divertimento… ma siccome continuava a piangere, i soldati si innervosirono
e la uccisero, e per non lasciare le cose a metà decisero di impiccare mio
padre.
Io vidi tutto da lontano… i soldati mi
cercarono per un po’, poi presero tutto quello che si poteva prendere… pane,
grano, farina, frutta, verdure e se ne andarono. Io cercai aiuto nelle
campagne, ma i soldati avevano già fatto razzie dappertutto e nessuno poteva
aiutarmi.
Fu così che arrivai in città.
Mi avevano detto che forse lì qualcuno
mi avrebbe preso in qualche bottega. Forse mi avrebbero dato qualcosa da
mangiare e un posto dove dormire… camminai due giorni.
Quando arrivai c’era un gran movimento
di gente.
Erano i giorni della festa del santo.
Una specie di monaco che veniva dall’Africa; si chiamava Nacotio… san Nacotio…
lo avevano cacciato dal suo paese perché si era convertito al cristianesimo. Il
re del suo paese, allora, per punizione, lo aveva fatto legare all’albero di
una barca, lo aveva fatto portare al largo, e lì lo aveva fatto abbandonare.
La barca, però era entrata in una
corrente che, insieme al vento, l’aveva spinta sulle coste del mar ligure… la
gente diceva che era stato un miracolo…
ma io non è che credo tanto ai
miracoli… comunque la gente diceva che… senza che nessuno la guidasse la barca
era arrivata in un piccolo porto, si era avvicinata alla riva da sola e lì si
era fermata. A quel punto quelli che erano lì… i pescatori, le donne, avevano
visto che le corde che lo tenevano legato… si erano sciolte da sole, e il santo
era sceso a terra… dicono che avesse camminato sulle acque senza bagnarsi e
quando fu sulla riva…
Quando fu sulla riva… vide un bambino
che stava in una carrozzina, perché non poteva camminare… le sue gambe sembrava
che avessero solo le ossa… ma lui lo prese per mano… e allora il bambino si
alzò e cominciò a camminare.
Il santo restò qualche giorno nel
paese, lì sulla costa; c’era tanta gente che aveva bisogno di essere curata, e
lui aveva un rimedio e una preghiera per tutti… ma non solo… tutti i giorni i
pescatori quando tornavano dalla pesca avevano le barche piene di pesce.
Dopo un po’ di tempo il santo lasciò il
villaggio e andò verso la città, perché anche lì c’era tanta gente che aveva
bisogno di essere curata…
Dicono che sia vissuto lì fino a cento
anni, e che anche dopo la sua morte, se uno toccava la sua tomba o la sua
statua e diceva una preghiera… il santo lo guariva.
Per me, queste son tutte leggende…
comunque… in suo onore, ogni anno, in primavera, tutta la città celebrava la
festa di San Nacotio. Per l’occasione i contadini arrivavano con tutta la
famiglia…
C’erano dei monaci che raccontavano gli
episodi della vita del santo… avevano dei grandi pannelli con tanti riquadri, e
in ogni riquadro c’era un miracolo, una guarigione o una conversione… la gente
restava a bocca aperta ad ascoltare… alcuni si commuovevano anche… piangevano…
e poi i monaci raccoglievano le elemosine…
Ci sono dei
giorni, che uno, quando si sveglia al mattino, pensa che quel giorno sarà un
giorno come tutti gli altri.
Invece quel
giorno succede qualcosa.
Qualcosa di
inaspettato, e quel qualcosa gli cambia la vita.
Può essere
qualcosa di straordinariamente bello,
può essere
l'incontro inatteso
con quello che
sarà l'amore della sua vita,
oppure può
essere qualcosa di drammatico, di terribile.
A volte tutte
due le cose insieme.
A volte capita anche che uno non se ne accorge
nemmeno che quel giorno la sua vita ha fatto una svolta…
e invece da quel giorno per lui tutto sarà
diverso.
Per me quel giorno fu il giorno del mio arrivo
in città.
Stavo guardando tutti quei palazzi… tutti quei
palazzi con tutte le finestre con i drappi colorati… colore del vino nero… che
poi era il colore del santo… perché il santo era un africano… era bellissimo.
Quando arrivai sulla piazza grande… quella che
da una parte c’era la chiesa di San Nacotio, e dall’altra la casa del capitano…
c’era un sacco di gente che rideva…
Cosa c’avevano da ridere?...
Mi sono avvicinato… c’era un palchetto… un
palchetto… ma piccolo, sarà stato 3 metri per 4… sopra una donna e due uomini …
erano tre attori….
Gli uomini avevano la maschera. Uno, magro e
alto era vestito da soldato e sembrava proprio il lanzichenecco che aveva
ucciso i miei genitori; l’altro, piccolo e grasso era l’oste, e la donna era
sua moglie.
Il soldato faceva il prepotente e tutto quello
che l’oste gli metteva nel piatto non andava mai bene… prima se lo mangiava,
poi diceva che non andava bene, che faceva schifo e buttava il piatto all’aria
“io non pacare questa zuppa di skifo… tu dà di
mangiare qvesto tuoi maiali… cosa crede tu che io è tuo maiale?
Porta uno di arrosto…”
Quello andava dietro a prendere un piatto di
arrosto, e lui di nuovo:
“Ma cosa tu fatto di qvesto povero montone? Tu
vuole che io muoro?”
E tra una scenata e l’altra allungava le mani
sulla bella ostessa e cercava di baciarla tirando fuori una linguaccia schifosa
tutta rossa, ma lei ogni volta gli piazzava in mano un boccale di vino e lo
costringeva a bere alla sua salute…
Dopo un po’ il soldataccio era completamente
sbronzo… non riusciva neanche a tenere in mano il coltellaccio e il piron… che
era una specie di forchetta, ma solo con due punte, che si usava a quei tempi…
Si sbagliava e invece di tagliare una coscia del
pollo si tagliava una mano…
A un certo punto era così bollito che cadeva
addormentato con la testa nel culo di un maiale… e qui veniva il bello… perché
l’oste e la moglie prima lo prendevano a mazzate, poi lo derubavano di tutti i
soldi, poi gli toglievano tutti i vestiti…
Lo giravano da tutte le parti come un sacco di
patate, e alla fine, quando non aveva più neanche le mutande, lo infilavano in
un sacco della farina e dopo avergli dato l’ultima scarica di botte
“colpiscilo tu!
No colpiscilo tu…
No… prima tu…
Insieme dai! Pooom!
Ancora una! Pooom!
Più forte! Ecco, così, Pooom, così, Pooom, così,
Pooom, così… Pooom”
Bellissimo! E a quel punto lo sollevavano e lo
buttavano nel fiume…
Bellissimo!
Ma vi rendete conto… avevo trovato un posto dove
i mascalzoni, i prepotenti, e tutti i farabutti assassini del mondo vengono
presi a bastonate e mazzolati come si deve…
AVEVO TROVATO IL TEATRO!
Oh… Non ci crederete, ma io mi sentivo… io mi
sentivo… come posso dire… come se mi avessero vendicato… perfettamente
vendicato.
E in quel momento preciso io avevo deciso… io
volevo stare anch’io nel teatro, e prendere anch’io, a bastonate i mascalzoni
prepotenti e i farabutti assassini.
Quel giorno, la mia vita era cambiata, cambiata
totalmente, cambiata per sempre.
Appena la gente se ne era andata…
… alla fine dello spettacolo, quasi tutti quelli
che c’erano lì a vedere… erano andati dai comici, e avevano portato pagnotte,
vino, due galline, latte, mele e anche un pezzo di carne di maiale secca…
perché alla fine dello spettacolo tutti portavano qualcosa…
Quando la gente se ne era andata via, io sono
andato dall’oste per dirgli che aveva fatto bene a riempire di botte il
soldato.
Oh!… Proprio in quel momento lì è arrivato il
soldato, che stava benissimo.
Io ho avuto un po’ paura, perché credevo che lui
era mezzo morto, e invece stava lì… diritto, in piedi, che rideva e mangiava
una mela… e non era neanche ubriaco… ma prima… oh… era proprio ubriaco-ubriaco
che non riusciva neanche a parlare…
L’oste ha visto che avevo paura…
“… ma allora non l’avete picchiato davvero…”
“Certo che no!... se no, domani, come facciamo a
picchiarlo di nuovo?”
“… ma perché? Voi lo picchiate di nuovo tutti i
giorni?”
“Certo, è questo il bello della Commedia… noi
possiamo picchiare…
possiamo anche uccidere qualcuno… un soldato, un
prete… anche un re o una regina… ma è per finta. Alla fine dello spettacolo i
morti si rialzano…
per morire di nuovo al prossimo spettacolo”
“… e lui è d’accordo che voi lo picchiate ogni
giorno?”
“Ma certamente!”
… questa cosa mi piaceva proprio!
Non solo avevo trovato un posto dove i
mascalzoni, i prepotenti, e i farabutti assassini vengono presi a bastonate… ma
addirittura, questa cosa, succede ogni giorno. Volevo anch’io stare lì con
l’oste e aiutarlo a riempire di mazzate il soldato!
Glielo dissi… e fui anche fortunato.
Dovete sapere che l’oste e l’ostessa, che erano
davvero marito e moglie, e si chiamavano Battista e Isabella, avevano avuto un
figlio che aveva più o meno la mia età. Questo figlio che si chiamava Giovanni,
lavorava con loro… faceva il bagatto… faceva giochi con le carte… era un po’
mago, un po’ valletto, un po’ musicista… suonava il piffero e il liuto…
scriveva canzoni e le cantava sulle piazze… e soprattutto lavorava sul palco
con Battista e Isabella.
Questo figlio era morto…
Una volta… Isabella… una volta che era triste…
mi raccontò che quando erano stati in Francia a lavorare… in Savoia, vicino
alle Alpi… Giovanni si era sentito male, gli era venuta una febbre… e
all’ospedale non l’avevano voluto, perché avevano avuto paura che lui portava
la peste… e nessuno aveva voluto farli entrare in una casa… sempre per paura
della peste… e così, in un paio di giorni Giovanni era morto. Isabella diceva
che però la cosa più brutta di tutte, erano stati i preti, perché nessuno,
nessun prete aveva voluto seppellire Giovanni in chiesa o in qualche cimitero,
perché dicevano che loro erano attori… che era come dire eretici… o le donne… donnacce…
e allora per seppellirlo, hanno dovuto andare nei boschi… e scavare una buca,
profonda, e buttarlo lì dentro, avvolto in un sacco… e un prete diceva delle
preghiere in latino, e ripeteva sempre “anatema, anatema”, e quando la buca è
stata riempita gli aveva detto:
“E ora andate, gente maledetta da Dio, e non
ritornate mai più a profanare queste terre cristiane!” … e con la mano aveva
indicato un sentiero giù nella pianura…
Ma non era vero… non era gente maledetta da Dio.
Erano persone buone… e anche simpatiche e divertenti… e poi loro avevano
bisogno di un figlio e io di una famiglia. Mi presero con loro.
… l’altro, quello che faceva il soldato, quello
era con loro dall’inizio… da quando avevano cominciato a girare sulle piazze.
Forse era un francese… diceva di chiamarsi Louis
de Ferdinand…
Lui era un poeta… era uno che scriveva canzoni…
inventava storie… cioè, quando andava in giro, e sentiva una storia, la
aggiustava un po’, e poi andava sulle piazze, o nelle locande… la gente si
metteva in cerchio… e lui raccontava.
Viveva così… era così che aveva incontrato
Battista e Isabella… su una piazza… si erano piaciuti e avevano deciso di
mettersi insieme e di “fare società” …
Lui gli aveva insegnato tutto, perché lui aveva
già fatto spettacoli con un gruppo in Francia… poi i suoi compagni erano stati
arrestati perché avevano preso in giro un conte, un cattolico fanatico… e
allora il conte aveva mandato le sue guardie, gli aveva fatto bruciare la
baracca… Louis diceva che era riuscito a salvarsi perché quella notte era
riuscito a convincere una serva… una domestica… a trovarsi con lui in un
fienile, in un posto tranquillo… quando era tornato sulla piazza… al posto del
teatro c’era solo un mucchio di cenere… e degli altri compagni… il capo era
morto bruciato nell’incendio… gli altri… erano feriti e li avevano portati alla
prigione… e le donne… le donne non si sa… forse le avevano processate come
streghe…
Quando dissero a Louis che io entravo nella
famiglia, lui subito disse che allora dovevano rimettere in scena la farsa del
mugnaio…
Era una storia divertentissima. Non me la
dimenticherò mai…
Allora… la storia era così…
Dunque… Louis faceva il mugnaio, e Isabella la
moglie… erano a tavola e stavano mangiando… e Louis mangiava veramente come un
porco, e se la rideva perché aveva fregato i suoi lavoratori… e aveva trovato
delle scuse per non pagarli…
“I clienti non mi pagano… quest’anno c’è la
carestia… la gente non ha niente da macinare…”, ma non era vero, anzi, era lui
che rubava un po’ del grano che usciva dalla macina…
Insomma… lui era lì che mangiava e beveva come
una bestia, la moglie cucinava e io ero il domestico che serviva… e a un certo
punto al mugnaio gli viene un mal di pancia terribile… talmente forte che lui
crede che sta per morire… e siccome lo sa di essere un mascalzone, vuole che io
vada subito a chiamare il prete per confessarsi e liberarsi dai peccati prima
di morire. Anche la moglie vuole che io vada in fretta, ma invece di mandarmi
dal prete mi dice di andare a chiamare un monaco che stava in un convento non
lontano da lì… e quello era un monaco dove lei tutte le settimane andava a
confessarsi.
Io andavo e mentre lui continuava a star male e
a chiamare aiuto
“aiuto… aiuto… sto morendo… chiamate il prete…”
Poi scorreggiava e diceva “avete sentito? È la
mia anima che sta fuggendo” … e tutti ridevano come matti… e intanto lei si
cambiava vestito… si metteva tutta carina… e rimetteva in ordine la roba sulla
tavola… tutto questo si capiva quando arrivavo io col monaco… che era Battista…
e il monaco per prima cosa gli dava un pugno in testa e lo tramortiva, e poi
incominciava a baciare e palpare tutta la bella mugnaia. A quel punto
intervenivo io che incominciavo a minacciare i due amanti… “Quando si sveglia
glielo dico!”, poi andavo alla finestra e incominciavo a urlare fuori… “Si
baciano! Si Baciano!”…
Insomma sul palco c’erano quattro belle carogne,
uno più bastardo dell’altro.
Il monaco, per cercare di farmi star buono mi
dava qualche moneta… io la prendevo ma subito dopo cominciavo a rompere di
nuovo. I soldi non mi bastavano mai.
La moglie cercava di mandarmi a comperare
qualche cosa… del montone… fuori di casa… io facevo sempre finta di andare… ma
poi avevo sempre bisogno di nuove indicazioni… “Ma dov’è il negozio? – Ma
quanto ne devo comperare? – ma devo comperare la coscia o il petto? – ma a me
mi piace di più la scoscia – ma lo devo comperare da cuocere o già cotto…” …
insomma non me ne andavo mai.
A un certo punto… il mugnaio rinveniva… proprio
mentre la moglie e il monaco… erano caduti sul letto… ma siccome gli scoppiava
la pancia mi chiedeva di portarlo al gabinetto… il gabinetto era dietro una
tenda che stava lì sul palco… appena arrivavamo lì dietro… porca vacca!
Sembrava che scoppiava un vulcano… una tempesta… tron-to-to-ton fulmini… un
disastro.
Poi c’era qualche istante di silenzio… … … e poi
ricompariva il mugnaio, che ora stava benissimo… si era scaricato… e aveva in
mano uno scopettone fradicio.
Il monaco, prendeva un mattarello per stendere
la pasta che c’era lì vicino, e i due cominciavano a girare nella stanza come
se stessero per fare un duello.
Ogni volta che il monaco passava vicino a me io
lo pigliavo a calci nel culo e negli stinchi… o lo prendevo a mazzate con un
mestolo…
A questo punto interveniva la mugnaia che minacciava
tutti e due, marito e amante. Il marito doveva calmarsi, altrimenti lei avrebbe
raccontato a tutto il paese come lui derubava lavoranti e clienti… il monaco
doveva calmarsi altrimenti lei avrebbe raccontato a tutti cosa succedeva ogni
settimana quando lei andava a confessarsi… e ultimo, io, dovevo restituire
tutti i soldi che mi ero fatto dare prima e ringraziare… ché lei non mi
licenziava.
A questo punto lei baciava il monaco e gli dava
appuntamento a sabato, poi metteva davanti al marito una coscia di agnello per
consolarsi delle corna, a me mi mandava in cucina a lavare i piatti e al
pubblico gli diceva…
“… e voi cosa fate ancora lì? Non c’è più niente
da guardare qui… andate a casa, adesso… ma prima di andare venite qui e
lasciate quello che le vostre tasche, il vostro divertimento e il vostro buon
cuore vi dicono di lasciare…”.
La gente si divertiva… si divertiva da matti… e
quando la gente si diverte, è più facile che sia generosa. Devo dire che non ce
la passavamo male.
Ogni tanto ci chiamavano a lavorare nei palazzi
dei signori o dei conti e allora ce la passavamo un po’ meglio… altre volte,
invece, le autorità… o quelle religiose, o quelle di polizia, ci impedivano di
lavorare ma per noi non era un grave problema. Ci spostavamo al paese vicino e
lavoravamo lì.
Ci divertivamo… io imparavo a cantare, a
suonare, a far spettacolo… era bello.
● Poi un giorno
arrivammo a far spettacolo a Genova.
Genova… ma voi non avete idea… Genova…
Genova è una città grandissima. Ci sono un sacco
di piazze. Non è come i paesini… che lì c’è qualche casa… uno slargo… puoi fare
spettacolo una volta, due, al massimo… poi, povera gente… quelli devono
lavorare… e non è che hanno tanta roba da darti… lì puoi fare spettacolo un
giorno, poi si resta lì a dormire una notte, in un fienile… in una stalla… poi
il giorno dopo devi partire subito per arrivare al borgo che c’è dopo… che
magari ci sono 10, 15 miglia e bisogna camminare 4 o 5 ore, col carro, con
tutti i bauli, con tutti i costumi, le maschere…
No… Genova ci sono un sacco di piazze… un sacco
di posti dove fare spettacoli… ci sono i pescatori, ci sono i soldati, e dove
ci sono i soldati, ci sono le donne… ci sono i palazzi dei signori, ci sono le
locande… e nelle locande, si mangia roba buona… si beve il vino buono… si può
far festa…
Il primo giorno che siamo arrivati, Louis ha
detto di andare subito a sistemarci alla locanda… alla locanda ci potevamo
prendere un paio di camere, e alla sera potevamo fare un po’ di festa… cantare…
ballare… recitare qualche scenetta… così, tanto per farci conoscere… per far
girare nel quartiere la notizia che erano arrivati i comici… e dare
appuntamento, il giorno dopo, in piazza, per lo spettacolo…
Siamo andati alla locanda… abbiamo preso le
camere… il padrone ha voluto che pagassimo subito. Noi abbiamo pensato che non
si fidava… e abbiamo pagato…
Poi più tardi, siamo scesi giù dove si mangiava,
e Louis ha portato il liuto… ha cominciato a cantare canzoni… (rif. Baraban) a
raccontare storie, a far festa… c’era festa… si sentiva anche da fuori, nella
piazzetta… e la gente entrava. Anch’io cantavo e raccontavo storie. Dopo un po’
la locanda era piena. L’oste era contentissimo.
A un certo
punto entrarono un gruppo… che saranno stati 5 o 6 soldati… e andarono a
parlare con il padrone… parlavano di noi… poi si sedettero e rimasero lì a bere
e a mangiare… tranquilli…
Louis, che era
uno che sapeva stare al mondo, mi strizzò l’occhio. come dire… “se questi fanno
casino, stai tranquillo… non ti preoccupare… lascia fare a me…”
Ma un secchio
grosso così! Ero fradicio, tutti i vestiti, le scarpe… tutto… tutto fradicio… e
c’era lí uno che mi guardava… uno con un fazzoletto rosso in testa, con tutti
disegni i bianchi e neri...
“Non vedete che
è un bambino? Può solo far perdere il ritmo agli altri...”, poi si mise dritto
in piedi, “... non possiamo tenerlo, non serve a niente… nostromo… buttatelo a
mare…”.
Due soldati mi
sollevarono di peso… non toccavo neanche per terra… mi tenevano così forte che
non c’era nessuna possibilità di liberarmi ma quello che mi paralizzava
davvero, completamente… fu quello che vidi…
Ero su una
nave… una roba enorme, spaventosa… una roba che si muoveva col vento… e ora
stavano per buttarmi giù, in quel cielo di acqua nera. Avevo paura… sissignori,
avevo paura, e cominciai a scalciare come un… come un animale in trappola.
Tutti ridevano.
“Aspettate!”...
Aspettate… disse una voce che si capiva che era uno che comandava…
“Aspettate!”. Mi misero giù.
Si avvicinò
uno… un po' pelato, con una barbetta tutta tagliata precisa… c’aveva tutta una
roba bianca… come una torta, intorno al collo… una roba che si chiama gorgiera
e poi aveva una specie di gonnellino a sacchetto intorno al culo da cui
uscivano due gambette con le calze lunghe, bianche, fini-fini… e le scarpine
bianche col fiocchetto. Non avevo mai visto uno vestito così. Si rivolse a
quello col fazzoletto in testa… “Cosa sta succedendo?”
“Avevo mandato
a terra a prendere qualche rinforzo… qualche riserva, nel caso ci siano delle
perdite tra i rematori… mi hanno portato questo ragazzo… per noi è inutile,
anzi… è solo un intralcio”.
“Dove l’avete
preso?”, “In una taverna”, “... e cosa facevi, in una taverna?”, “Cantavamo,
facevamo festa per farci conoscere… noi siamo comici… facciamo spettacoli sulle
piazze”, “e gli altri dove sono?”. “Quando abbiamo preso il ragazzo… sono
riusciti a scappare… c’era anche una donna con loro…”.
Vidi il baule
delle maschere della compagnia… lo avevano aperto e avevano tirato fuori alcune
maschere.
Era l’unica
occasione che avevo per non finire in pasto ai pesci, e salvare la pelle. Presi
la maschera della ragazza e quella del vecchio straccione e cominciai a
raccontare la storia della lavandaia che un giorno mentre andava al fiume a
lavare i panni, incontrava l’eremita zoppo… quella lì è una storia che funziona
sempre… e anche questa volta, tutti si misero a ridere… e ridevano così tanto
che quello con le scarpe bianche, quello che comandava… disse che mi voleva
come cameriere, e mi salvò la vita… e ogni giorno dopo che aveva mangiato,
voleva che gli raccontassi una storia, o che gli cantassi una canzone. Per
fortuna che Louis… Louis de Ferdinand me ne aveva insegnate così tante, che
ogni giorno gliene potevo raccontare o cantare una diversa, e lui era contento.
Navigammo per
almeno una settimana, certi giorni non c’era un alito di vento, e la nave non
si muoveva, e allora c’erano quelli con la sferza… gli aguzzini, si chiamavano…
che andavano giù dai rematori e a forza di nerbate, li facevano remare, e la
nave andava avanti lo stesso, finché non arrivammo a Messina.
Da quello che
ho capito io… il papa aveva fatto riunire tutte le navi dei paesi cristiani a
Messina, per fare la guerra contro i musulmani che volevano cacciare i
cristiani da tutte le terre che erano state occupate in tutto il mediterraneo
fin dai tempi delle crociate.
Ai musulmani
gli dava fastidio che i cristiani comandassero a Cipro, a Nicosia, in terra
santa, in Dalmazia, in tutta la costa da Venezia alla Grecia, in tutto il nord
Africa… e allora il figlio di Solimano aveva raccolto una grande flotta e era
pronto ad attaccare la repubblica veneziana.
Insomma era una
guerra che andava avanti da centinaia di anni e i cristiani erano decisi a
farla finita una volta per tutte.
Quando
arrivammo a Messina… era impressionante le navi che c’erano… lunghe e strette,
coi cannoni, senza cannoni, con le vele di tutti i colori, di tutte le forme…
una roba da paura.
Io avevo paura
anche che ci si scontrasse e che succedesse un macello, con tutte quelle navi…
invece la nostra nave arrivò al centro del porto senza nessun problema.
Il fatto è che
la mia nave… quella del signore con le scarpine bianche, che io ero il suo
cameriere… sapete che era quello lì che mi aveva salvato la vita… quello era
don Giovanni d’Austria… l’ammiraglio… il capo… fratello del re di Spagna…
quello che comandava tutta la flotta cristiana.
A un certo
punto, sulla nostra nave incominciarono ad arrivare tutti i generali… c’era un
consigliere di don Giovanni, che quando arrivavano i capi, lì annunciava per
nome… Marcantonio Colonna… Niccolò Doria… Agostino Barbarigo e Sebastiano
Venier… monsignor Odescalchi… l’inviato del papa...
Si chiusero
nello studio di don Giovanni e rimasero lì a discutere per ore. Stavano
preparando i piani per la battaglia di Lepanto.
Qualche giorno
dopo, tutta la flotta fece rotta verso Corfù, e da lì a Cefalonia. Era notte,
ma nessuno dormiva… gli uomini ai remi tremavano… anche a me mi avevano mandato
di sotto… io, con le mie maschere… sopra potevo solo dare fastidio.
Mancava poco
all'alba. Don Giovanni, Sebastiano Veniero e Marcantonio Colonna salirono su
una fregata e passarono tra le galere incitando alla battaglia.
“Uomini,
combatteremo fianco a fianco come fratelli… insieme correremo incontro al
nemico, combatteremo con valore, finché la Santa Lega non trionferà!”
Don Giovanni,
calmo… padrone della situazione, diede ordine di dare il segnale; venne sparato
il colpo di cannone.
Sull’ammiraglia
fu innalzato lo stendardo della Lega… un drappo di seta con l’immagine di
Cristo in croce, e tutti scoprirono il capo, si inginocchiarono e si fecero il
segno della croce.
Don Giovanni
ordinò che tutti i forzati fossero sciolti dalle catene, … “e dopo la vittoria
saranno rimessi in libertà!”.
I turchi
avanzavano a tutta velocità per investirci… ma le nostre galeazze, quando i
turchi furono a portata di tiro incominciarono a sparare e fu l’inizio della
strage.
Lo scontro fu
terribile, tremendo. La nave di Don Giovanni fu speronata e cominciò a colare a
picco. Don Giovanni si salvò sulla nave di Marcantonio Colonna.
Quando ero
abbastanza lontano sentii suonare le trombe e gridare “Vittoria, vittoria…”. Il
mare era cosparso di cadaveri… turchi e cristiani… non so quanti uomini erano
morti, quel giorno… tanti, migliaia e migliaia… li vedevo galleggiare vicino a
me, per un po', poi andavano a fondo… io restai aggrappato al mio baule… ero
così stanco, non avevo dormito tutta la notte… e mi addormentai… sperando di
non scivolare in acqua nel sonno e di risvegliarmi.
●
Non so quanto tempo ho dormito… un bel po'... un bel po', certamente…
ogni tanto mi svegliavo, mi guardavo in giro, vedevo solo mare… non c’era
terra, non c’era navi… restavo lì, ancora aggrappato al mio baule… a volte era
giorno, a volte era notte… restavo lì così un po'... poi mi riaddormentavo…
una volta… una
volta che ero ancora addormentato, un’ondata mi ha sbattuto, me e il mio baule
e mi ha sbattuto a riva, sulla spiaggia… son caduto.
Mi son
svegliato, come… di colpo. Ho preso il baule,, che c’era un’onda che lo stava
già riportando in mare, e l’ho portato in secca, al sicuro. Non c’ho altro… se
perdo anche il baule…
Mi sono
guardato in giro… oh! Non c’era niente… deserto… deserta la spiaggia, deserto
il mare… come quest’isola qua…
Doveva essere passato
un bel po' di tempo, perché non ero più un ragazzo… adesso ero un uomo… avrò
avuto 25 anni… non chiedetemi come è successo perché non lo so… so solo che mi
son messo a camminare, col mio baule… anche perché… cioè, la fame… la fame è
fame…
Allora… mi son
messo a camminare lungo la riva… dopo un po' dietro una duna, c’era, una specie
di rada… e lì in mezzo… un veliero… ma grande…
Era grande… ma
non era come quelli della battaglia di Lepanto. Aveva una bandiera bianca rossa
e blu… ma non aveva i remi…
C’era un paio
di barconi sulla spiaggia e quattro uomini che stavano lì… fumavano… sembrava
che facevano la guardia.
Io ho detto…
“non mi sembra che sono gente che fanno la guerra… non credo che questi mi
prendono e mi portano a fare qualche battaglia…”... mi sono avvicinato.
Man mano che
arrivavo vicino… man mano, si sentiva una puzza… una puzza… oh, uno schifo… e
ho visto che c’erano anche degli altri, sulla nave, che andavano dentro la
nave, poi uscivano con dei secchi, pieni di schifo… ma uno schifo… sembrava
merda, e puzzava anche di merda e di piscio, buttavano tutto in mare, poi
buttavano in mare i secchi, con una corda, e lì ritiravano su pieni d’acqua
pulita… cioè, si, insomma, pulita abbastanza… e poi tornavano dentro la nave.
Oh! Uno, quando
m’ha visto… ha cominciato… io non capivo cosa diceva… credo che bestemmiava, e
ha tirato fuori una pistola, e me l’ha puntata contro.
“Oh, oooh…
calmo eh!”, io ho tirato su le mani, subito… “calmo! mi arrendo…”. Ho lasciato
andare il baule. Quello è venuto vicino… e continuava con le parole e faceva
segno come dire “Apri il baule! Apri il baule!”. Io ho aperto, lui ha visto le
maschere, sono arrivati anche gli altri… non so cosa hanno detto… però hanno
cominciato a ridere… uno ha preso una maschera, se l’è messa, e ha tirato fuori
una vocina… (rif. Pulcinella o Puch) e si muoveva come se fosse di legno. Tutti
ridevano e allora ho capito che anche questa volta, forse l’avevo fatta franca…
Quello che mi
aveva preso la maschera, poi me l’ha ridata e ha cominciato a dire delle parole
che non capivo finché a un certo punto non ha cominciato (nota: accento
inglese) “Signore, signore tu parla italiano? Roma, Napoli, mangiare…?”. “Si,
si, io parlo italiano… si mangiare, si io voglio mangiare”. Lui si è messo a
ridere, ha parlato con gli altri, poi il capo, quello con la pistola gli ha
detto di dirmi qualcosa.
Non avevo
capito bene cosa diceva… America, vende uomini… avevo un po’ paura che pulire
fosse levare la merda dalla nave e buttarla fuori, come stavano facendo quelli
sulla nave… ma la fame… la fame… io non lo so neanche quant’era che non
mangiavo… al massimo dopo un po' me la filavo.
Hanno chiamato
quelli che stavano su… che hanno buttato
una scaletta e mi hanno fatto salire, me e il mio baule.
Mi hanno fatto
vedere un posto dove potevo stare io con il mio baule… che non ci stava neanche
il baule da solo e poi mi hanno portato dentro… dentro… dove c’era da pulire…
Il lavoro...
bisognava prendere lo schifo che c’era per terra, con la pala, buttarlo dentro
ai secchi, poi, quando i secchi erano pieni, bisognava andare di sopra,
vuotarli, pulirli e portare giù dell’acqua per cercare di lavare il pavimento…
ci davano anche un po' di aceto per lavare… come avevano fatto a ridurre così
quella nave io non lo so… cioè, non lo sapevo ancora.
Comunque,
quando abbiamo pulito il grosso, alla fine ci hanno dato del riso, del mais, un
frutto… una roba che non so neanche come si chiamava, ma però, quando uno ha
fame… non è che sta tanto a guardare…
Abbiamo
continuato così ancora qualche giorno. Poi un pomeriggio, poco dopo
mezzogiorno… a riva sulla spiaggia, abbiamo cominciato a sentire delle grida…
un casiii-no…
Una folla…
saranno state 500 persone… una trentina
erano bianchi, gli altri erano neri, ma neri! Non avevo mai visto uomini neri
in quel modo. Nigga li chiamavano… nigga. Erano omoni grandi e grossi, alcuni
erano legati a 2 a 2… certi avevano una roba di ferro che gli stringeva il
collo, come una tenaglia, ma era doppia, così con lo stesso ferro erano
incatenati in 2. Altri avevano un piede incatenato al piede di un altro…
c’erano catene di 30 o 40 uomini tutti legati uno con l’altro. Era quasi
impossibile camminare… poveretti, praticamente impossibile scappare.
In quelle
condizioni erano costretti a portare ceste piene di roba da mangiare… alcuni
avevano delle cose bianche… lunghe… io non le avevo mai viste…. non so neanche
a cosa servivano… zanne… si chiamavano zanne… altri ancora avevano delle pelli
di animali…
Mi hanno
spiegato che li portavano in America… che è un posto che bisogna attraversare
un mare… che ci vogliono due mesi, tre mesi… a volte anche sei mesi, per
arrivare… e poi, quando si arriva, quelli che sono ancora vivi… si mettono un
po’ apposto, si lavano… si portano al mercato… e si vendono… come le pecore…
come le galline… animali. Solo che gli animali si vendono per mangiare, questi
lì vendevano per lavorare… per le piantagioni di caffè, di cacao, di canna da
zucchero… anche per le miniere…
La prima cosa,
hanno portato a bordo le ceste e le hanno sistemate in una specie di magazzino…
poi hanno cominciato a caricare i nigga. Dei bianchi una decina avevano dei
fucili, gli altri, preparavano i nigga… prima cosa li spogliavano… nudi,
completamente nudi, poi li rasavano in tutto il corpo… capelli, peli, tutto…
sempre tenendoli legati, che non potevano muoversi. Poi a gruppi di trenta,
quaranta li portavano alla nave, poi li portavano di sotto, e lì, li legavano
distesi per terra, o seduti, che non potevano neanche alzarsi. E comunque, lì
il posto, la stiva era così bassa, che loro non ci stavano neanche in piedi
Anche le donne
le spogliavano nude, le rasavano tutte anche loro, ma loro le mettevano tutte
da un’altra parte… perché le donne, poi, alla notte… i bianchi scendevano… e le
prendevano… le prendevano lì dove erano incatenate…
Quando siamo
partiti, che siamo usciti dalla baia, la nave ha cominciato a muoversi tutta
“così”… che alcuni hanno cominciato a vomitare… e allora la puzza… dopo un’ora
vomitavano tutti… anch’io ho vomitato… devo essere sincero… ho vomitato
anch’io…
Era
bruttissimo… alcuni avevano fatto anche i bisogni… e quando la nave si
inclinava, c’era per terra uno schifo di vomito, merda e piscio che si spostava
tutto… e dovevi stare attento che non ti veniva addosso, perché… cioè… provate
a immaginare…
Là sotto c’era
il panico… gente incatenata che urlava… gli aguzzini con le fruste, che
frustavano chi urlava… io e altri due con le pale e con i secchi, che cercavamo
di raccogliere quello che riuscivamo e lo buttavamo di fuori…
C’era un nero,
uno grande e grosso, che urlava e scuoteva le catene… come una bestia… un toro…
dove c’aveva le catene strette, gli veniva fuori il sangue… rosso, rosso… non
so se era così rosso perché sulla pelle nera si vedeva di più… l’aguzzino andò
vicino a lui e incominciò a frustare… a frustare… ma così forte… e più quello
frustava e più il nero si agitava… a un certo punto c’erano i pezzi di pelle
che saltavano via a ogni frustata… pezzi di pelle così…
A un certo
punto è venuto giù uno… il capo delle guardie, con un fucile, un moschetto…
gliela appoggiò sulla faccia, sull’occhio, poi sparò. Morto. Morto sul colpo…
non si muoveva più…
Il capo se ne
andò… in silenzio… c’era un silenzio che faceva paura… uno dei mozzi, uno come
me, mi disse di andare con lui, lo sciolse dalle catene, poi mi disse di
prenderlo per i piedi, ché dovevamo portarlo su… pesava così tanto che abbiamo
dovuto portarlo su in quattro… e quando l’abbiamo portato su… io seguivo quello
che facevano gli altri… lo abbiamo buttato di fuori… in mare… in acqua…
Il mare si era
un po' calmato… io sono tornato giù e ho ripreso a spalare lo schifo… il fetore
era ancora ripugnante… dovevo fare qualcosa… dovevo fare qualcosa perché stare
fermo era roba da impazzire… dovevo fare qualcosa… ho spalato tutta la notte…
tra i lamenti, il battere delle onde, il fruscio del vento. Al mattino sono
crollato. Mi sono addormentato lì, vicino alla scala…
C’era da
portare da mangiare ai nigga… bisognava andare con un secchio pieno di una
pappa di riso e mais, bolliti e mischiati… e metterne un mestolo in mano ai
prigionieri, e poi loro se la mangiavano così, dalle mani, come i cani.
Quando abbiamo
finito di distribuire il pastone… io sono tornato al mio posto… c’era un nero
che non aveva avuto niente da mangiare… e mi guardava… una maschera nera…
Ogni tanto
apriva e chiudeva la bocca vuota come se volesse dire… ho fame… “Ho fame”... e
io cosa posso fare?
Mi venne in
mente una cosa che avevo visto fare una volta da un comico… in piazza… uno che
faceva un contadino…
Questo era un
contadino che non aveva da mangiare… uno che proprio erano giorni che moriva di
fame… e raccontava alla gente che a lui gli sarebbe piaciuto mangiare… un
pollo, un tacchino… un maiale… un salame… una torta… uno che aveva così fame
che si sarebbe mangiato anche tutto il tavolo, e anche la casa, e tutta la
città, anche il sindaco e il vescovo… e anche il papà e il re… ma non aveva
niente, neanche le suole delle scarpe… ma a un certo punto, per fortuna… per
fortuna riusciva a prendere un moscone… bello, grasso… e allora a un pezzettino
per volta… prima le ali, poi le cosce, poi la testa e il petto… insomma se lo
mangiava tutto e finalmente, con lo stomaco pieno, si addormentava sazio e
felice.
Tutti ridevano,
sulla piazza, quando il comico raccontava questa storia… e allora sono andato
su… dove c’era il mio baule… ho preso una maschera nera… e son tornato giù
nella stiva… e gliel’ho fatto io, a loro
lo spettacolo del contadino che mangia la mosca…
All’inizio,
quando ho messo la maschera nera, loro hanno avuto paura… poi hanno capito, e
qualcuno ha cominciato a ridere e alla fine ridevano tutti… era troppo bello,
che ridevano tutti, e allora io ho capito… ho capito che è troppo bello quando
le persone sono libere e ridono, e tutti quegli uomini, tutte quelle donne,
avevano il diritto di essere liberi e di vivere… e non potevano vivere tutta la
vita da schiavi… e allora ho deciso… questa notte lì avrei liberati tutti.
Il capitano
aveva approvato che io avessi fatto il mio spettacolino e che tutti i
prigionieri si fossero calmati, e per premio mi offrì una bottiglia di rhum… io
accettai, anche se non ne bevevo… ma ne offrii ai miei compagni, che si bevvero
tutta la bottiglia.
Alla fine della
serata, quando tutti si erano addormentati tranquilli… lasciai scivolare in
mare una delle due scialuppe, sull’altra caricai il mio baule e la misi in
mare, e poi, presi dalla cucina alcune braci di legno e le buttai sulle vele e
su alcuni teloni che c’erano sopra coperta… la nave prese fuoco in pochi
minuti, io vidi tutto mentre mi allontanavo… gli ufficiali, i marinai, i mozzi…
tutti correvano avanti e indietro cercando di spegnere il fuoco, ma oramai
l’incendio era fuori controllo… prima dell’alba la Principe Edoardo colò a
picco con tutto il suo carico… con le zanne, con le pelli, con il capitano, con
gli ufficiali, con i marinai, con i servi come me… tutti morti…
con gli schiavi
neri nudi, rasati e affamati, con le schiave nere nude, rasate e affamate… tutti liberati…
Lo so che ho
fatto morire 6 o 700 persone… lo so… ma sono convinto di aver fatto la cosa
giusta… o almeno, la mia coscienza mi ha detto così… e infatti all’alba… mi
sono addormentato, sereno, e ho dormito… non so quanto ho dormito.
doveva essere
passato un bel po’ di tempo, perché quelli che mi avevano preso a bordo avevano
vestiti strani…
Da quel che ho
capito… erano tre giorni che mi avevano preso a bordo, me e il mio baule… e per
tre giorni io avevo continuato a dormire.
Andarono a
chiamare il capitano. Aveva detto di chiamarlo quando mi fossi svegliato, ché
voleva interrogarmi, voleva sapere chi ero, da dove venivo… insomma… tutta la
mia storia… e io gliel’ho raccontata, tutta… tutta, senza dimenticare nulla,
così come l’ho raccontata a voi, adesso… con le maschere e tutto…
Alla fine lui
ha detto qualcosa… come… tipo… “bianfù… bian fù se mecclà”... che per quel che
so io di francese, credo che voleva dire… “questo tipo qua è proprio fuori di
testa”.
Mi hanno
portato dentro la nave… una nave che si chiamava Olimpià… Olimpià… e che era
diversa da tutte quelle che avevo visto fino a quel momento… cioè… non capivo
dove erano le vele… cioè, nel senso che le vele, proprio non c’erano… c’era un
tubo… ma un tubo grosso così… che usciva il fumo… e la nave andava.
Mi hanno
portato dentro la nave… mi hanno dato una divisa con la giacca blu… era un po'
larga… ma insomma… poteva andare…
Poi mi hanno
portato a mangiare e dopo mi hanno insegnato a usare il fucile… pulire,
montare, smontare, caricare… ho anche sparato… mi hanno fatto tirare 5 volte
contro un pupazzo, un pupazzo che aveva una giacca bianca piena di paglia.
Alla sera, si
vedeva già la costa… che c’era una città… un porto, poi dietro una collina… e
sulla collina una chiesa…
Giù dove
dormivo io era pieno di soldati come me… cioè vestiti come me, che parlavano
tutti francese e venivano da un posto che si chiamava Aljié. Erano abbastanza
scuri di pelle, ma non come i nigga… erano più come i turchi della battaglia di
Lepanto… solo che questa volta non erano i nemici… questa volta io… noi
bianchi, combattevamo insieme a loro.
Poco dopo
essere entrati in porto e scesi a terra, ci organizzarono in battaglioni e ci
fecero partire… in marcia attraverso le campagne… abbiamo attraversato anche
dei passi in mezzo alle montagne… io ero riuscito a ottenere di portare con me
il mio baule… non c'era posto sui carri, ma non era troppo pesante… e ogni
tanto qualcuno dei miei compagni mi dava una mano. A un certo punto… non ho
riconosciuto proprio i posti… però mi sembrava che erano proprio i posti dove
ero nato… dove la mia famiglia lavorava la terra…
Da quello che
ho capito poi, stavamo andando alla famosa battaglia di Magenta… cioè… dunque
da una parte c’erano gli Austriaci… austroungheresi… che erano vestiti di
bianco come il manichino che mi avevano fatto sparare contro…
Dall’altra
parte c’eravamo noi… cioè i francesi… noi eravamo quasi tutti algerini… e con
noi c’erano i piemontesi…
Una mattina…
una mattina all’alba… è arrivato l’ordine di prepararsi… poi a ognuno ci hanno
dato una bottiglia di liquore… come una grappa… fortissimo… io ne ho bevuto un
sorso, ma l’ho sputato subito… davvero… bruciava la bocca, che non avevo mai
provato una cosa così…
gli altri
invece… gli algerini, hanno cominciato a bere… certi dopo mezz’ora erano
ubriachi… così ubriachi che quasi non si reggevano in piedi… a quel punto è
arrivato l’ordine di avanzare coi fucili puntati e di sparare quando vedevamo i
soldati vestiti di bianco.
Abbiamo
incominciato a marciare verso… verso dove stava sorgendo il sole… davanti a noi
non vedevamo quasi niente… a un certo punto ci siamo ritrovati infangati in una
specie di palude… gli austriaci avevano allagato le risaie… sprofondavamo fino
a sopra le caviglie… io sprofondavo anche di più, perché col baule… era un
peso… e quindi restavo anche un po' indietro… è stata la mia fortuna… gli
altri, ubriachi, accecati dal sole cadevano uno a uno… gli austriaci e gli
ungheresi sparavano… e gli algerini cadevano… sparavano, anche, ma sparavano a
vuoto…
poi, io non so
di battaglie… i francesi e i piemontesi hanno attaccato da un’altra parte… era
una trappola… e gli austriaci si sono ritirati…
nelle risaie
allagate, giacevano tutti gli algerini morti… le risaie erano un lago di
sangue… per anni, non hanno potuto più raccogliere il riso… hanno dovuto
aspettare che mesi e mesi di piogge lavassero la terra… dal sangue, dalla
polvere da sparo, dai resti… anche se i cadaveri li avevano raccolti… c’erano
lo stesso dei resti… scarpe, pezzi di stoffa…
Quando il
massacro è finito… io dovevo tornare indietro… ma non ho voluto… ho trascinato
il mio baule e sono andato avanti… sono arrivato fino al fiume… fiume Ticino… e
lì mi sono lasciato andare nell’acqua… io e il mio baule… ho pensato che tutti
i fiumi portano al mare… e forse se mi lasciavo portare dalla corrente, prima o
poi arrivavo al mare… e in mare… magari…
Mentre l’acqua
mi portava al mare… ripensavo a quegli algerini che li hanno portati a morire a
Magenta… per fare l’Italia… se un fosse una tragedia, sarebbe da ridere.
Mi sono addormentato... la corrente mi
trascinava... io e il baule scivolavamo lungo il fiume tra le acque
impetuose...
e in quei momenti... per la prima volta... per la prima volta ho fatto un sogno...
Un sogno bellissimo... ho sognato che era l'inizio di un secolo nuovo... un secolo che nasceva sotto il segno del progresso, della scienza, della tecnica... e all'inizio di questo secolo avevano costruito una nave bellissima... una nave come non se ne erano mai viste prima... grande... grande come un paese... c'erano migliaia di persone, su quella nave... ma nessuno era schiavo... c'erano lavoratori, questo si, ma schiavi non ce n'erano... c'erano tante stanze, e in ogni stanza abitavano due o tre persone... c'erano delle donne con dei vestiti bellissimi, e quando passavano si sentiva il profumo di tutti i più bei fiori di campo... e nelle sale c'erano specchi, e luci... tante luci... delle luci molto forti, non come quelle delle candele... e c'erano dei tavoli, dei grandi tavoli, dove le signore con i vestiti bellissimi e i signori vestiti di nero ma con la camicia bianca, mangiavano delle cose... che dovevano essere molto buone, ma erano anche molto belle... e c'erano degli uomini con la giacca bianca che portavano le cose ai tavoli e le mettevano nei piatti. Gustavano dei vini profumati, e spesso bevevano champagne. Gli uomini erano gentili con le signore, e le signore sorridevano.
C'ero anch'io su quella nave... io suonavo, su quella nave... c'era una sala, un grande salone, col pavimento di legno, e su quel pavimento le coppie ballavano. C'era un'orchestrina, eravamo una dozzina... io suonavo il violino.
Io suonavo alla sera... cominciavamo quando la gente andava a cena, e andavamo avanti fin dopo la mezzanotte, quando le ultime coppie finivano di danzare.
Poi avevamo tutto il tempo di riposarci... mangiavamo bene anche noi, e ci pagavano bene. Era bellissimo, e io speravo che non finisse mai. Pensavo... "che fortunati", quelli che potranno vivere in quel secolo che cominciava adesso... ma a un certo punto il sogno finiva malamente... perché una sera, mentre i signori stavano ballando, e noi facevamo la musica... ecco una sera, la nave, nel buio, andò a sbattere contro un enorme blocco di ghiaccio e si spezzò in 2... tante persone si salvarono... altre affogarono... ma quando i due pezzi della nave colarono a picco... il sogno del nuovo secolo finì, e io mi svegliai. La discesa lungo il fiume era finita e io mi ritrovavo in mezzo al mare... mi sistemai meglio sul baule... e mi riaddormentai...
e in quei momenti... per la prima volta... per la prima volta ho fatto un sogno...
Un sogno bellissimo... ho sognato che era l'inizio di un secolo nuovo... un secolo che nasceva sotto il segno del progresso, della scienza, della tecnica... e all'inizio di questo secolo avevano costruito una nave bellissima... una nave come non se ne erano mai viste prima... grande... grande come un paese... c'erano migliaia di persone, su quella nave... ma nessuno era schiavo... c'erano lavoratori, questo si, ma schiavi non ce n'erano... c'erano tante stanze, e in ogni stanza abitavano due o tre persone... c'erano delle donne con dei vestiti bellissimi, e quando passavano si sentiva il profumo di tutti i più bei fiori di campo... e nelle sale c'erano specchi, e luci... tante luci... delle luci molto forti, non come quelle delle candele... e c'erano dei tavoli, dei grandi tavoli, dove le signore con i vestiti bellissimi e i signori vestiti di nero ma con la camicia bianca, mangiavano delle cose... che dovevano essere molto buone, ma erano anche molto belle... e c'erano degli uomini con la giacca bianca che portavano le cose ai tavoli e le mettevano nei piatti. Gustavano dei vini profumati, e spesso bevevano champagne. Gli uomini erano gentili con le signore, e le signore sorridevano.
C'ero anch'io su quella nave... io suonavo, su quella nave... c'era una sala, un grande salone, col pavimento di legno, e su quel pavimento le coppie ballavano. C'era un'orchestrina, eravamo una dozzina... io suonavo il violino.
Io suonavo alla sera... cominciavamo quando la gente andava a cena, e andavamo avanti fin dopo la mezzanotte, quando le ultime coppie finivano di danzare.
Poi avevamo tutto il tempo di riposarci... mangiavamo bene anche noi, e ci pagavano bene. Era bellissimo, e io speravo che non finisse mai. Pensavo... "che fortunati", quelli che potranno vivere in quel secolo che cominciava adesso... ma a un certo punto il sogno finiva malamente... perché una sera, mentre i signori stavano ballando, e noi facevamo la musica... ecco una sera, la nave, nel buio, andò a sbattere contro un enorme blocco di ghiaccio e si spezzò in 2... tante persone si salvarono... altre affogarono... ma quando i due pezzi della nave colarono a picco... il sogno del nuovo secolo finì, e io mi svegliai. La discesa lungo il fiume era finita e io mi ritrovavo in mezzo al mare... mi sistemai meglio sul baule... e mi riaddormentai...
Chiamavano, da
un barcone… c’era un barcone stracarico di neri… chiamavano… erano lì… fermi,
in mezzo al mare… il motore doveva essersi rotto, o aveva finito il carburante…
Erano neri…
neri come quelli delle navi degli schiavi… come quelli della nave a cui avevo
dato fuoco, una volta… tanto tempo fa...
Urlavano perché
il barcone si stava riempiendo d’acqua… erano terrorizzati… c’erano anche delle
donne, che urlavano…
quando sono
stato vicinissimo, che potevo quasi toccarli, il barcone ha cominciato a
inclinarsi… uno degli uomini che erano a bordo tendeva una mano verso di me…
(rif. Adamo e Dio di Michelangelo) e il barcone si è rovesciato.
Una catastrofe…
il mare… l’acqua era come se bollisse… tutti che sbattevano le braccia… quello
che mi tendeva la mano… siamo riusciti ad afferrarla, la mano… e a tenerci…
così… con una stretta fortissima…
Abbiamo
incominciato a andare a fondo… tutti e due… lentamente… da una parte tenevo la
sua mano… dall’altra tenevo il baule… e scendevamo…. scendevamo… e intorno
tutti gli altri… non lo so quanti erano… più di cento… e tutti scendevano, come
noi… ci vorrebbe un pittore, per disegnare quella folla che stava scendendo
verso il fondo del mare… coi vestiti che… sembrava che ballavano… alcuni
sorridevano… altri tenevano gli occhi chiusi… e sembrava che dormissero…
dormivano e danzavano…
Poi è successa
una cosa stranissima… quando siamo arrivati in fondo, c’era una folla di gente…
uomini, donne, ragazzi, bambini… e tutti camminavano… andavano avanti… piano
piano… sulla sabbia… sulle rocce… respiravano lentamente… era come se fosse una
passeggiata in montagna… andavano avanti con gli occhi chiusi, e ogni tanto
quando qualcuno passava vicino a me, apriva gli occhi e io sentivo i suoi
pensieri… giuro, guardate qui… me li sono scritti…
●
Il riconoscimento
della dignità di tutti gli esseri umani e dei loro diritti, uguali e
inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della
pace nel mondo
●
Il disprezzo
dei diritti umani ha portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza
dell’umanità
●
Tutti gli
esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti… ogni individuo ha
diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona… tutti
hanno diritto a uguale tutela contro ogni discriminazione… ogni individuo ha
diritto alla istruzione…
●
Ogni individuo
ha diritto, in ogni luogo al riconoscimento della sua personalità giuridica e
nessuno potrà essere arbitrariamente arrestato o detenuto
queste frasi
sono state scritte e sottoscritte da tutti i governi di tutti gli stati del
mondo… quando da poco era finita la seconda guerra mondiale…”
“Oggi però,
troppi… in Europa, in America, nel mondo… hanno dimenticato di avere
sottoscritto questi principi…”
“E allora, di
nuovo… razzismo, ipocrisia… discriminazione, Muri… muri armati, invalicabili…
prigioni… campi di concentramento… l’Africa intera è diventata un immenso campo
di concentramento… di concentramento e di sterminio… da cui è quasi impossibile
fuggire”
Restammo in
silenzio per un po'... mentre le centinaia e centinaia di persone, in fondo al
mare, a poco a poco, avanzavano silenziosamente, lentamente.
“Stiamo venendo
da voi… cammineremo fino a quando non avremo risalito tutta questa valle
sommersa… cammineremo fino a quando non arriveremo alle vostre spiaggia, alle
vostre città… e allora usciremo…”
“Non avete
paura che vi buttino di nuovo in mare, che vi fermino, lì sulla riva e vi
impediscano di avanzare”
Certo loro
saranno terrorizzati e faranno di tutto… fuggiranno… cercheranno di fuggire… ma
sarà tutto inutile…
noi ormai siamo
più pesanti del piombo, più forti di qualunque macchina sia mai stata, o sarà
mai costruita… nessun muro potrà mai fermarci… nessun esercito potrà mai
fermarci… nessuna arma potrà mai scalfirci… noi avanzeremo fino al centro delle
città, noi entreremo in tutte le case degli uomini bianchi… saremo seduti alla
loro tavola, e li guarderemo mangiare… entreremo nelle loro camere da letto, e
li guarderemo dormire… entreremo nei loro cuori, nelle loro menti e persino nei
loro sogni… si, resteremo lì e gli faremo compagnia, anche nei loro sogni… per
sempre…”.
“E io cosa
posso fare?... io sono solo un comico… metto le maschere… racconto le storie… canto
canzoni… faccio ridere la gente, i bambini… cosa posso fare?”.
“È vero… molti
non ti vorranno ascoltare, e tanti non ti crederanno… tu però ricorda loro una
cosa… una semplice cosa…
La pace, anche
la loro pace, non si costruisce costruendo muri, isolandosi e circondandosi di
guardie armate… la pace si costruisce lavorando per la giustizia… rendendo
giustizia a chi, nella sua storia, giustizia non ha avuto mai e ha solo subìto
i soprusi e la violenza dei prepotenti…”
L’uomo lasciò
la mia mano e in quel momento il mio baule cominciò a tirarmi verso l’alto…
loro erano rimasti lì in fondo… e io salivo… e salivo e più salivo e più vedevo
che erano una moltitudine incalcolabile… una marea… e più ne vedevo e più
salivo… finché… finché… eccomi qua…
un’isola
deserta e quadrata… a chi la racconto ora, io la mia storia… su un’isola
deserta e quadrata...
e c’ho anche
fame… quasi-quasi metto in acqua il baule e mi faccio portare dalla corrente…
altrimenti qui… mi sa che muoio di fame…