giovedì 16 agosto 2018

Naufragi


NAUFRAGI


Luigi Alcide Fusani
 
Corso Pavia, 26
27029 – Vigevano (PV)
+39 0381 903246
+39 338 8262665




Naufragi

La scena è deserta. Solo un pezzo di un tronco scorticato giace più o meno al centro del palco; intorno qualche pietra. Un lungo telo azzurro/blu attraversa in larghezza tutto il palco; qua e là è arricciato e ogni tanto viene sollevato da un’onda che lo percorre.
Entra un uomo, evidentemente un naufrago, trascinandosi dietro un grosso baule.
È spossato, si accuccia per terra davanti al tronco e sbuffa…

     Porca boia… ma dove sono finito questa volta? … Qui non c’è nessuno…
Questa non è un’isola… questo è uno scoglio…
Speriamo che passi presto qualche nave… che mi prendano su… sennò questa volta… caro me… senza mangiare, senza bere… al sole…
boia che caldo… al sole che picchia come un martello…
mi ritrovano secco come un legno vecchio… se mi ritrovano…
duro come uno stoccafisso… se non mi mangiano prima gli uccelli…
me ne son capitate tante nella mia vita, ma questa proprio non mi piacerebbe… diventare cacca di gabbiano…
che schifo… questa proprio non mi piace…
ché poi mi usano per fare il concime…
Ma che isola è questa?... boh? Sembra un’isola quadrata… non mi pare di averla mai vista un’isola così… neanche sulle carte di navigazione…
E poi così isolata… oh! Non si vede niente… neanche all’orizzonte…
Almeno un fumo… che faccia pensare a un’altra isola… una terra…
Sarà mica un’isola stregata? Un’isola magica… che poi magari scompare di colpo e io mi ritrovo a bagno un’altra volta…
Miii che situazione! Perché poi, se questa è un’isola stregata… e allora poi magari quando dormo, vengono fuori tutti gli spiriti… com’era quella storia dell’isola… della Tempesta… che l’avevamo anche recitata… che c’era lo spirito… buono… quello che… che era leggero e volava, e quell’altro che era cattivo e puzzava come una bestia e strisciava come un verme… mi pare…
Com’era quella storia? Non me la ricordo più… mi ricordo solo che c’era il mago… che aveva una figlia… e che era stato abbandonato dal fratello su uno scoglio in mezzo al mare… non me la ricordo…
Però adesso mi è venuta la paura… perché se sull’isola ci sono gli spiriti… poi, questa notte quando mi addormento… poi loro vengono qui e mi fanno i dispetti… e magari mi ributtano in acqua… e i pesci credono che io sono morto e mi mangiano crudo… e quando io sono morto… loro si prendono il mio baule… e a quel punto si, che sarò morto davvero!
Si siede sul baule.
     … ecco fatto… ecco! Venite a prendermelo adesso, il mio baule… dovete buttarmi giù… perché io non mollo… sappiatelo! Io non mollo!
Io qui sopra ci dormo anche, ma il baule non lo mollo… Il baule è tutta la mia vita… è tutta la mia storia… e se mi togliete la mia storia io non sono più niente… senza la mia storia io… io divento niente… niente… come un pezzo di legno, come un sasso… cosa ci fai con un sasso?
Ci puoi parlare con un sasso? … Nooo!
Ti può raccontare una storia un sasso? … Nooo!
E allora cosa fai? Quando te lo trovi davanti, che ti intralcia la strada… gli dai un calcio, e lo levi di mezzo…
Questo è quello che succede ai sassi!
Ma io non sono un sasso… no! Io ce l’ho la storia da raccontare… la mia storia… è una bella storia… spiriti?… spiriti?... la volete sentire la mia storia?...
Spiriti?... facciamo un patto… io vi racconto la mia storia… almeno un pezzo… se vi piace, voi questa notte mi lasciate riposare tranquillo… e io poi, domani, ve ne racconto un altro pezzo… va bene?... Va bene?...
Silenzio di tomba… sono tosti questi… fanno finta che non ci sono… e poi … quando meno te l’aspetti… zak… che ti fregano!
Vabbè… vediamo… vediamo da dove cominciamo… con le storie il problema è sempre da dove cominciare…
Proviamo a vedere cosa c’è qui…
Apre il baule e tira fuori una maschera da soldataccio, con folti baffi e sopracciglia …
     Eravamo all’inizio del 1500… a quel tempo l’Italia era il campo di battaglia di eserciti stranieri che al servizio di re e imperatori di tutta Europa, si contendevano i brandelli del Sacro Romano Impero. La mia era una famiglia di poveri contadini, lavoravano la terra dalle parti di Pavia.
Un giorno arrivò un manipolo di mercenari… dovevano essere dei lanzichenecchi.
Indossa la maschera del soldato e parla con accento tedesco
     Tok tok tok… apre di qvesta porta! Se voi non volere che io butta giù con potentissimo calcio di mio piede.
Col braccio fa il gesto della porta che si apre cigolando
     Bene, io vede voi subito capito che meglio non scherzare con capitan Spakamaroni!
Tu, donna… cosa tu preparato per mangiando?
Fai vedere cosa in pentola… Mmmm… buona zuppa faccioli con cavolo rosso… e perché non anche uno buono pezzo di cotica maiale?
Come!? voi non afere maiale! Tutti contadini afere maiale.
Tu… padrone di casa… contadino gnorante i ecoista… trofa subito cotica maiale da cuocere con faccioni e cafolo rosso!
Come?--- tu dice ancora che tu contatino povero, no avere cotica maiale?
Se tu non porta subito uno bello pezzo carne di maiale, io prende divertimento con pezzo di bella contadina…
Si leva la maschera
     Andò così… il pezzo di cotica di maiale non c’era…
Mio padre fu preso e legato a un albero di ciliegie vicino a casa…
Mia madre fu presa dai soldati per il loro divertimento… ma siccome continuava a piangere, i soldati si innervosirono e la uccisero, e per non lasciare le cose a metà decisero di impiccare mio padre.
Io vidi tutto da lontano… i soldati mi cercarono per un po’, poi presero tutto quello che si poteva prendere… pane, grano, farina, frutta, verdure e se ne andarono. Io cercai aiuto nelle campagne, ma i soldati avevano già fatto razzie dappertutto e nessuno poteva aiutarmi.
Fu così che arrivai in città.

Mi avevano detto che forse lì qualcuno mi avrebbe preso in qualche bottega. Forse mi avrebbero dato qualcosa da mangiare e un posto dove dormire… camminai due giorni.
Quando arrivai c’era un gran movimento di gente.
Erano i giorni della festa del santo. Una specie di monaco che veniva dall’Africa; si chiamava Nacotio… san Nacotio… lo avevano cacciato dal suo paese perché si era convertito al cristianesimo. Il re del suo paese, allora, per punizione, lo aveva fatto legare all’albero di una barca, lo aveva fatto portare al largo, e lì lo aveva fatto abbandonare.
La barca, però era entrata in una corrente che, insieme al vento, l’aveva spinta sulle coste del mar ligure… la gente diceva che era stato un miracolo…
ma io non è che credo tanto ai miracoli… comunque la gente diceva che… senza che nessuno la guidasse la barca era arrivata in un piccolo porto, si era avvicinata alla riva da sola e lì si era fermata. A quel punto quelli che erano lì… i pescatori, le donne, avevano visto che le corde che lo tenevano legato… si erano sciolte da sole, e il santo era sceso a terra… dicono che avesse camminato sulle acque senza bagnarsi e quando fu sulla riva…
Quando fu sulla riva… vide un bambino che stava in una carrozzina, perché non poteva camminare… le sue gambe sembrava che avessero solo le ossa… ma lui lo prese per mano… e allora il bambino si alzò e cominciò a camminare.
Il santo restò qualche giorno nel paese, lì sulla costa; c’era tanta gente che aveva bisogno di essere curata, e lui aveva un rimedio e una preghiera per tutti… ma non solo… tutti i giorni i pescatori quando tornavano dalla pesca avevano le barche piene di pesce.
Dopo un po’ di tempo il santo lasciò il villaggio e andò verso la città, perché anche lì c’era tanta gente che aveva bisogno di essere curata…
Dicono che sia vissuto lì fino a cento anni, e che anche dopo la sua morte, se uno toccava la sua tomba o la sua statua e diceva una preghiera… il santo lo guariva.
Per me, queste son tutte leggende… comunque… in suo onore, ogni anno, in primavera, tutta la città celebrava la festa di San Nacotio. Per l’occasione i contadini arrivavano con tutta la famiglia…
C’erano dei monaci che raccontavano gli episodi della vita del santo… avevano dei grandi pannelli con tanti riquadri, e in ogni riquadro c’era un miracolo, una guarigione o una conversione… la gente restava a bocca aperta ad ascoltare… alcuni si commuovevano anche… piangevano… e poi i monaci raccoglievano le elemosine…

Ci sono dei giorni, che uno, quando si sveglia al mattino, pensa che quel giorno sarà un giorno come tutti gli altri.
Invece quel giorno succede qualcosa.
Qualcosa di inaspettato, e quel qualcosa gli cambia la vita.
Può essere qualcosa di straordinariamente bello,
può essere l'incontro inatteso
con quello che sarà l'amore della sua vita,
oppure può essere qualcosa di drammatico, di terribile.
A volte tutte due le cose insieme.
A volte capita anche che uno non se ne accorge nemmeno che quel giorno la sua vita ha fatto una svolta…
e invece da quel giorno per lui tutto sarà diverso.

Per me quel giorno fu il giorno del mio arrivo in città.
Stavo guardando tutti quei palazzi… tutti quei palazzi con tutte le finestre con i drappi colorati… colore del vino nero… che poi era il colore del santo… perché il santo era un africano… era bellissimo.
Quando arrivai sulla piazza grande… quella che da una parte c’era la chiesa di San Nacotio, e dall’altra la casa del capitano… c’era un sacco di gente che rideva…
Cosa c’avevano da ridere?...
Mi sono avvicinato… c’era un palchetto… un palchetto… ma piccolo, sarà stato 3 metri per 4… sopra una donna e due uomini … erano tre attori….
Gli uomini avevano la maschera. Uno, magro e alto era vestito da soldato e sembrava proprio il lanzichenecco che aveva ucciso i miei genitori; l’altro, piccolo e grasso era l’oste, e la donna era sua moglie.
Il soldato faceva il prepotente e tutto quello che l’oste gli metteva nel piatto non andava mai bene… prima se lo mangiava, poi diceva che non andava bene, che faceva schifo e buttava il piatto all’aria
“io non pacare questa zuppa di skifo… tu dà di mangiare qvesto tuoi maiali… cosa crede tu che io è tuo maiale?
Porta uno di arrosto…”
Quello andava dietro a prendere un piatto di arrosto, e lui di nuovo:
“Ma cosa tu fatto di qvesto povero montone? Tu vuole che io muoro?”
E tra una scenata e l’altra allungava le mani sulla bella ostessa e cercava di baciarla tirando fuori una linguaccia schifosa tutta rossa, ma lei ogni volta gli piazzava in mano un boccale di vino e lo costringeva a bere alla sua salute…
Dopo un po’ il soldataccio era completamente sbronzo… non riusciva neanche a tenere in mano il coltellaccio e il piron… che era una specie di forchetta, ma solo con due punte, che si usava a quei tempi…
Si sbagliava e invece di tagliare una coscia del pollo si tagliava una mano…
A un certo punto era così bollito che cadeva addormentato con la testa nel culo di un maiale… e qui veniva il bello… perché l’oste e la moglie prima lo prendevano a mazzate, poi lo derubavano di tutti i soldi, poi gli toglievano tutti i vestiti…
Lo giravano da tutte le parti come un sacco di patate, e alla fine, quando non aveva più neanche le mutande, lo infilavano in un sacco della farina e dopo avergli dato l’ultima scarica di botte
“colpiscilo tu!
No colpiscilo tu…
No… prima tu…
Insieme dai! Pooom!
Ancora una! Pooom!
Più forte! Ecco, così, Pooom, così, Pooom, così, Pooom, così… Pooom”
Bellissimo! E a quel punto lo sollevavano e lo buttavano nel fiume…
Bellissimo!
Ma vi rendete conto… avevo trovato un posto dove i mascalzoni, i prepotenti, e tutti i farabutti assassini del mondo vengono presi a bastonate e mazzolati come si deve…
AVEVO TROVATO IL TEATRO!
Oh… Non ci crederete, ma io mi sentivo… io mi sentivo… come posso dire… come se mi avessero vendicato… perfettamente vendicato.
E in quel momento preciso io avevo deciso… io volevo stare anch’io nel teatro, e prendere anch’io, a bastonate i mascalzoni prepotenti e i farabutti assassini.
Quel giorno, la mia vita era cambiata, cambiata totalmente, cambiata per sempre.

Appena la gente se ne era andata…
… alla fine dello spettacolo, quasi tutti quelli che c’erano lì a vedere… erano andati dai comici, e avevano portato pagnotte, vino, due galline, latte, mele e anche un pezzo di carne di maiale secca… perché alla fine dello spettacolo tutti portavano qualcosa…
Quando la gente se ne era andata via, io sono andato dall’oste per dirgli che aveva fatto bene a riempire di botte il soldato.
Oh!… Proprio in quel momento lì è arrivato il soldato, che stava benissimo.
Io ho avuto un po’ paura, perché credevo che lui era mezzo morto, e invece stava lì… diritto, in piedi, che rideva e mangiava una mela… e non era neanche ubriaco… ma prima… oh… era proprio ubriaco-ubriaco che non riusciva neanche a parlare…
L’oste ha visto che avevo paura…
“… ma allora non l’avete picchiato davvero…”
“Certo che no!... se no, domani, come facciamo a picchiarlo di nuovo?”
“… ma perché? Voi lo picchiate di nuovo tutti i giorni?”
“Certo, è questo il bello della Commedia… noi possiamo picchiare…
possiamo anche uccidere qualcuno… un soldato, un prete… anche un re o una regina… ma è per finta. Alla fine dello spettacolo i morti si rialzano…
per morire di nuovo al prossimo spettacolo”
“… e lui è d’accordo che voi lo picchiate ogni giorno?”
“Ma certamente!”
… questa cosa mi piaceva proprio!
Non solo avevo trovato un posto dove i mascalzoni, i prepotenti, e i farabutti assassini vengono presi a bastonate… ma addirittura, questa cosa, succede ogni giorno. Volevo anch’io stare lì con l’oste e aiutarlo a riempire di mazzate il soldato!
Glielo dissi… e fui anche fortunato.
Dovete sapere che l’oste e l’ostessa, che erano davvero marito e moglie, e si chiamavano Battista e Isabella, avevano avuto un figlio che aveva più o meno la mia età. Questo figlio che si chiamava Giovanni, lavorava con loro… faceva il bagatto… faceva giochi con le carte… era un po’ mago, un po’ valletto, un po’ musicista… suonava il piffero e il liuto… scriveva canzoni e le cantava sulle piazze… e soprattutto lavorava sul palco con Battista e Isabella.
Questo figlio era morto…
Una volta… Isabella… una volta che era triste… mi raccontò che quando erano stati in Francia a lavorare… in Savoia, vicino alle Alpi… Giovanni si era sentito male, gli era venuta una febbre… e all’ospedale non l’avevano voluto, perché avevano avuto paura che lui portava la peste… e nessuno aveva voluto farli entrare in una casa… sempre per paura della peste… e così, in un paio di giorni Giovanni era morto. Isabella diceva che però la cosa più brutta di tutte, erano stati i preti, perché nessuno, nessun prete aveva voluto seppellire Giovanni in chiesa o in qualche cimitero, perché dicevano che loro erano attori… che era come dire eretici… o le donne… donnacce… e allora per seppellirlo, hanno dovuto andare nei boschi… e scavare una buca, profonda, e buttarlo lì dentro, avvolto in un sacco… e un prete diceva delle preghiere in latino, e ripeteva sempre “anatema, anatema”, e quando la buca è stata riempita gli aveva detto:
“E ora andate, gente maledetta da Dio, e non ritornate mai più a profanare queste terre cristiane!” … e con la mano aveva indicato un sentiero giù nella pianura…
Ma non era vero… non era gente maledetta da Dio. Erano persone buone… e anche simpatiche e divertenti… e poi loro avevano bisogno di un figlio e io di una famiglia. Mi presero con loro.
… l’altro, quello che faceva il soldato, quello era con loro dall’inizio… da quando avevano cominciato a girare sulle piazze.
Forse era un francese… diceva di chiamarsi Louis de Ferdinand…
Lui era un poeta… era uno che scriveva canzoni… inventava storie… cioè, quando andava in giro, e sentiva una storia, la aggiustava un po’, e poi andava sulle piazze, o nelle locande… la gente si metteva in cerchio… e lui raccontava.
Viveva così… era così che aveva incontrato Battista e Isabella… su una piazza… si erano piaciuti e avevano deciso di mettersi insieme e di “fare società” …
Lui gli aveva insegnato tutto, perché lui aveva già fatto spettacoli con un gruppo in Francia… poi i suoi compagni erano stati arrestati perché avevano preso in giro un conte, un cattolico fanatico… e allora il conte aveva mandato le sue guardie, gli aveva fatto bruciare la baracca… Louis diceva che era riuscito a salvarsi perché quella notte era riuscito a convincere una serva… una domestica… a trovarsi con lui in un fienile, in un posto tranquillo… quando era tornato sulla piazza… al posto del teatro c’era solo un mucchio di cenere… e degli altri compagni… il capo era morto bruciato nell’incendio… gli altri… erano feriti e li avevano portati alla prigione… e le donne… le donne non si sa… forse le avevano processate come streghe…

Quando dissero a Louis che io entravo nella famiglia, lui subito disse che allora dovevano rimettere in scena la farsa del mugnaio…
Era una storia divertentissima. Non me la dimenticherò mai…
Allora… la storia era così…
Dunque… Louis faceva il mugnaio, e Isabella la moglie… erano a tavola e stavano mangiando… e Louis mangiava veramente come un porco, e se la rideva perché aveva fregato i suoi lavoratori… e aveva trovato delle scuse per non pagarli…
“I clienti non mi pagano… quest’anno c’è la carestia… la gente non ha niente da macinare…”, ma non era vero, anzi, era lui che rubava un po’ del grano che usciva dalla macina…
Insomma… lui era lì che mangiava e beveva come una bestia, la moglie cucinava e io ero il domestico che serviva… e a un certo punto al mugnaio gli viene un mal di pancia terribile… talmente forte che lui crede che sta per morire… e siccome lo sa di essere un mascalzone, vuole che io vada subito a chiamare il prete per confessarsi e liberarsi dai peccati prima di morire. Anche la moglie vuole che io vada in fretta, ma invece di mandarmi dal prete mi dice di andare a chiamare un monaco che stava in un convento non lontano da lì… e quello era un monaco dove lei tutte le settimane andava a confessarsi.
Io andavo e mentre lui continuava a star male e a chiamare aiuto
“aiuto… aiuto… sto morendo… chiamate il prete…”
Poi scorreggiava e diceva “avete sentito? È la mia anima che sta fuggendo” … e tutti ridevano come matti… e intanto lei si cambiava vestito… si metteva tutta carina… e rimetteva in ordine la roba sulla tavola… tutto questo si capiva quando arrivavo io col monaco… che era Battista… e il monaco per prima cosa gli dava un pugno in testa e lo tramortiva, e poi incominciava a baciare e palpare tutta la bella mugnaia. A quel punto intervenivo io che incominciavo a minacciare i due amanti… “Quando si sveglia glielo dico!”, poi andavo alla finestra e incominciavo a urlare fuori… “Si baciano! Si Baciano!”…
Insomma sul palco c’erano quattro belle carogne, uno più bastardo dell’altro.
Il monaco, per cercare di farmi star buono mi dava qualche moneta… io la prendevo ma subito dopo cominciavo a rompere di nuovo. I soldi non mi bastavano mai.
La moglie cercava di mandarmi a comperare qualche cosa… del montone… fuori di casa… io facevo sempre finta di andare… ma poi avevo sempre bisogno di nuove indicazioni… “Ma dov’è il negozio? – Ma quanto ne devo comperare? – ma devo comperare la coscia o il petto? – ma a me mi piace di più la scoscia – ma lo devo comperare da cuocere o già cotto…” … insomma non me ne andavo mai.
A un certo punto… il mugnaio rinveniva… proprio mentre la moglie e il monaco… erano caduti sul letto… ma siccome gli scoppiava la pancia mi chiedeva di portarlo al gabinetto… il gabinetto era dietro una tenda che stava lì sul palco… appena arrivavamo lì dietro… porca vacca! Sembrava che scoppiava un vulcano… una tempesta… tron-to-to-ton fulmini… un disastro.
Poi c’era qualche istante di silenzio… … … e poi ricompariva il mugnaio, che ora stava benissimo… si era scaricato… e aveva in mano uno scopettone fradicio.
Il monaco, prendeva un mattarello per stendere la pasta che c’era lì vicino, e i due cominciavano a girare nella stanza come se stessero per fare un duello.
Ogni volta che il monaco passava vicino a me io lo pigliavo a calci nel culo e negli stinchi… o lo prendevo a mazzate con un mestolo…
A questo punto interveniva la mugnaia che minacciava tutti e due, marito e amante. Il marito doveva calmarsi, altrimenti lei avrebbe raccontato a tutto il paese come lui derubava lavoranti e clienti… il monaco doveva calmarsi altrimenti lei avrebbe raccontato a tutti cosa succedeva ogni settimana quando lei andava a confessarsi… e ultimo, io, dovevo restituire tutti i soldi che mi ero fatto dare prima e ringraziare… ché lei non mi licenziava.
A questo punto lei baciava il monaco e gli dava appuntamento a sabato, poi metteva davanti al marito una coscia di agnello per consolarsi delle corna, a me mi mandava in cucina a lavare i piatti e al pubblico gli diceva…
“… e voi cosa fate ancora lì? Non c’è più niente da guardare qui… andate a casa, adesso… ma prima di andare venite qui e lasciate quello che le vostre tasche, il vostro divertimento e il vostro buon cuore vi dicono di lasciare…”.
La gente si divertiva… si divertiva da matti… e quando la gente si diverte, è più facile che sia generosa. Devo dire che non ce la passavamo male.
Ogni tanto ci chiamavano a lavorare nei palazzi dei signori o dei conti e allora ce la passavamo un po’ meglio… altre volte, invece, le autorità… o quelle religiose, o quelle di polizia, ci impedivano di lavorare ma per noi non era un grave problema. Ci spostavamo al paese vicino e lavoravamo lì.
Ci divertivamo… io imparavo a cantare, a suonare, a far spettacolo… era bello.

       Poi un giorno arrivammo a far spettacolo a Genova.
Genova… ma voi non avete idea… Genova…
Genova è una città grandissima. Ci sono un sacco di piazze. Non è come i paesini… che lì c’è qualche casa… uno slargo… puoi fare spettacolo una volta, due, al massimo… poi, povera gente… quelli devono lavorare… e non è che hanno tanta roba da darti… lì puoi fare spettacolo un giorno, poi si resta lì a dormire una notte, in un fienile… in una stalla… poi il giorno dopo devi partire subito per arrivare al borgo che c’è dopo… che magari ci sono 10, 15 miglia e bisogna camminare 4 o 5 ore, col carro, con tutti i bauli, con tutti i costumi, le maschere…
No… Genova ci sono un sacco di piazze… un sacco di posti dove fare spettacoli… ci sono i pescatori, ci sono i soldati, e dove ci sono i soldati, ci sono le donne… ci sono i palazzi dei signori, ci sono le locande… e nelle locande, si mangia roba buona… si beve il vino buono… si può far festa…
Il primo giorno che siamo arrivati, Louis ha detto di andare subito a sistemarci alla locanda… alla locanda ci potevamo prendere un paio di camere, e alla sera potevamo fare un po’ di festa… cantare… ballare… recitare qualche scenetta… così, tanto per farci conoscere… per far girare nel quartiere la notizia che erano arrivati i comici… e dare appuntamento, il giorno dopo, in piazza, per lo spettacolo…

Siamo andati alla locanda… abbiamo preso le camere… il padrone ha voluto che pagassimo subito. Noi abbiamo pensato che non si fidava… e abbiamo pagato…
Poi più tardi, siamo scesi giù dove si mangiava, e Louis ha portato il liuto… ha cominciato a cantare canzoni… (rif. Baraban) a raccontare storie, a far festa… c’era festa… si sentiva anche da fuori, nella piazzetta… e la gente entrava. Anch’io cantavo e raccontavo storie. Dopo un po’ la locanda era piena. L’oste era contentissimo.

A un certo punto entrarono un gruppo… che saranno stati 5 o 6 soldati… e andarono a parlare con il padrone… parlavano di noi… poi si sedettero e rimasero lì a bere e a mangiare… tranquilli…
Louis, che era uno che sapeva stare al mondo, mi strizzò l’occhio. come dire… “se questi fanno casino, stai tranquillo… non ti preoccupare… lascia fare a me…”
Va bene… gli ho strizzato anch’io l’occhio… e abbiamo continuato a far festa.
Era stata proprio una bella serata...
fino a quel momento era stata proprio una bella serata…

       Quello che non mi ricordo è come è andata a finire…
Cioè… è come se mi fossi addormentato di colpo.
Quando mi sono svegliato, anzi, quando mi hanno svegliato…
mi è arrivato in faccia un secchio d’acqua salata…
Ma un secchio grosso così! Ero fradicio, tutti i vestiti, le scarpe… tutto… tutto fradicio… e c’era lí uno che mi guardava… uno con un fazzoletto rosso in testa, con tutti disegni i bianchi e neri...
mi teneva la faccia così… mi teneva la bocca aperta… e mi guardava in bocca… come un cavallo…
“Ma cosa avete portato?”
“L’altro è riuscito a scappare prima…”
“Quanti anni hai?”,
“... dodici, forse tredici… credo…”
“Tredici anni… imbecilli… cosa me ne faccio… ?”
“Lo mandiamo giù a remare”
“Non vedete che è un bambino? Può solo far perdere il ritmo agli altri...”, poi si mise dritto in piedi, “... non possiamo tenerlo, non serve a niente… nostromo… buttatelo a mare…”.
Due soldati mi sollevarono di peso… non toccavo neanche per terra… mi tenevano così forte che non c’era nessuna possibilità di liberarmi ma quello che mi paralizzava davvero, completamente… fu quello che vidi…
quello che vidi non l’avevo visto mai…
Acqua… tanta acqua… come un cielo d’acqua… un cielo d’acqua nera, spaventoso… dappertutto.
Ero su una nave… una roba enorme, spaventosa… una roba che si muoveva col vento… e ora stavano per buttarmi giù, in quel cielo di acqua nera. Avevo paura… sissignori, avevo paura, e cominciai a scalciare come un… come un animale in trappola. Tutti ridevano.
“Aspettate!”... Aspettate… disse una voce che si capiva che era uno che comandava… “Aspettate!”. Mi misero giù.
Si avvicinò uno… un po' pelato, con una barbetta tutta tagliata precisa… c’aveva tutta una roba bianca… come una torta, intorno al collo… una roba che si chiama gorgiera e poi aveva una specie di gonnellino a sacchetto intorno al culo da cui uscivano due gambette con le calze lunghe, bianche, fini-fini… e le scarpine bianche col fiocchetto. Non avevo mai visto uno vestito così. Si rivolse a quello col fazzoletto in testa… “Cosa sta succedendo?”
“Avevo mandato a terra a prendere qualche rinforzo… qualche riserva, nel caso ci siano delle perdite tra i rematori… mi hanno portato questo ragazzo… per noi è inutile, anzi… è solo un intralcio”.
“Dove l’avete preso?”, “In una taverna”, “... e cosa facevi, in una taverna?”, “Cantavamo, facevamo festa per farci conoscere… noi siamo comici… facciamo spettacoli sulle piazze”, “e gli altri dove sono?”. “Quando abbiamo preso il ragazzo… sono riusciti a scappare… c’era anche una donna con loro…”.
“Dunque tu sei un comico…?”
“Certo signore!”. “Bene, allora fammi ridere, avanti...”.
Vidi il baule delle maschere della compagnia… lo avevano aperto e avevano tirato fuori alcune maschere.
Era l’unica occasione che avevo per non finire in pasto ai pesci, e salvare la pelle. Presi la maschera della ragazza e quella del vecchio straccione e cominciai a raccontare la storia della lavandaia che un giorno mentre andava al fiume a lavare i panni, incontrava l’eremita zoppo… quella lì è una storia che funziona sempre… e anche questa volta, tutti si misero a ridere… e ridevano così tanto che quello con le scarpe bianche, quello che comandava… disse che mi voleva come cameriere, e mi salvò la vita… e ogni giorno dopo che aveva mangiato, voleva che gli raccontassi una storia, o che gli cantassi una canzone. Per fortuna che Louis… Louis de Ferdinand me ne aveva insegnate così tante, che ogni giorno gliene potevo raccontare o cantare una diversa, e lui era contento.

Navigammo per almeno una settimana, certi giorni non c’era un alito di vento, e la nave non si muoveva, e allora c’erano quelli con la sferza… gli aguzzini, si chiamavano… che andavano giù dai rematori e a forza di nerbate, li facevano remare, e la nave andava avanti lo stesso, finché non arrivammo a Messina.
Da quello che ho capito io… il papa aveva fatto riunire tutte le navi dei paesi cristiani a Messina, per fare la guerra contro i musulmani che volevano cacciare i cristiani da tutte le terre che erano state occupate in tutto il mediterraneo fin dai tempi delle crociate.
Ai musulmani gli dava fastidio che i cristiani comandassero a Cipro, a Nicosia, in terra santa, in Dalmazia, in tutta la costa da Venezia alla Grecia, in tutto il nord Africa… e allora il figlio di Solimano aveva raccolto una grande flotta e era pronto ad attaccare la repubblica veneziana.
Insomma era una guerra che andava avanti da centinaia di anni e i cristiani erano decisi a farla finita una volta per tutte.
Quando arrivammo a Messina… era impressionante le navi che c’erano… lunghe e strette, coi cannoni, senza cannoni, con le vele di tutti i colori, di tutte le forme… una roba da paura.
Io avevo paura anche che ci si scontrasse e che succedesse un macello, con tutte quelle navi… invece la nostra nave arrivò al centro del porto senza nessun problema.
Il fatto è che la mia nave… quella del signore con le scarpine bianche, che io ero il suo cameriere… sapete che era quello lì che mi aveva salvato la vita… quello era don Giovanni d’Austria… l’ammiraglio… il capo… fratello del re di Spagna… quello che comandava tutta la flotta cristiana.
A un certo punto, sulla nostra nave incominciarono ad arrivare tutti i generali… c’era un consigliere di don Giovanni, che quando arrivavano i capi, lì annunciava per nome… Marcantonio Colonna… Niccolò Doria… Agostino Barbarigo e Sebastiano Venier… monsignor Odescalchi… l’inviato del papa...
Si chiusero nello studio di don Giovanni e rimasero lì a discutere per ore. Stavano preparando i piani per la battaglia di Lepanto.
Qualche giorno dopo, tutta la flotta fece rotta verso Corfù, e da lì a Cefalonia. Era notte, ma nessuno dormiva… gli uomini ai remi tremavano… anche a me mi avevano mandato di sotto… io, con le mie maschere… sopra potevo solo dare fastidio.
Mancava poco all'alba. Don Giovanni, Sebastiano Veniero e Marcantonio Colonna salirono su una fregata e passarono tra le galere incitando alla battaglia.
“Uomini, combatteremo fianco a fianco come fratelli… insieme correremo incontro al nemico, combatteremo con valore, finché la Santa Lega non trionferà!”
All’alba comparve all' orizzonte l’armata turca.
Don Giovanni, calmo… padrone della situazione, diede ordine di dare il segnale; venne sparato il colpo di cannone.
Le galere si avvicinarono così tanto che c’era appena-appena lo spazio per remare.
“Con l’aiuto di Dio e col nostro valore sconfiggeremo il turco”
Sull’ammiraglia fu innalzato lo stendardo della Lega… un drappo di seta con l’immagine di Cristo in croce, e tutti scoprirono il capo, si inginocchiarono e si fecero il segno della croce.
Don Giovanni ordinò che tutti i forzati fossero sciolti dalle catene, … “e dopo la vittoria saranno rimessi in libertà!”.
I turchi avanzavano a tutta velocità per investirci… ma le nostre galeazze, quando i turchi furono a portata di tiro incominciarono a sparare e fu l’inizio della strage.
Anche le nostre galere avanzavano a forza di remi a tutta velocità.
Lo scontro fu terribile, tremendo. La nave di Don Giovanni fu speronata e cominciò a colare a picco. Don Giovanni si salvò sulla nave di Marcantonio Colonna.
Io mi aggrappai al mio baule e la corrente mi portò in salvo.
Quando ero abbastanza lontano sentii suonare le trombe e gridare “Vittoria, vittoria…”. Il mare era cosparso di cadaveri… turchi e cristiani… non so quanti uomini erano morti, quel giorno… tanti, migliaia e migliaia… li vedevo galleggiare vicino a me, per un po', poi andavano a fondo… io restai aggrappato al mio baule… ero così stanco, non avevo dormito tutta la notte… e mi addormentai… sperando di non scivolare in acqua nel sonno e di risvegliarmi.

       Non so quanto tempo ho dormito… un bel po'... un bel po', certamente… ogni tanto mi svegliavo, mi guardavo in giro, vedevo solo mare… non c’era terra, non c’era navi… restavo lì, ancora aggrappato al mio baule… a volte era giorno, a volte era notte… restavo lì così un po'... poi mi riaddormentavo…
una volta… una volta che ero ancora addormentato, un’ondata mi ha sbattuto, me e il mio baule e mi ha sbattuto a riva, sulla spiaggia… son caduto.
Mi son svegliato, come… di colpo. Ho preso il baule,, che c’era un’onda che lo stava già riportando in mare, e l’ho portato in secca, al sicuro. Non c’ho altro… se perdo anche il baule…
Mi sono guardato in giro… oh! Non c’era niente… deserto… deserta la spiaggia, deserto il mare… come quest’isola qua…
Doveva essere passato un bel po' di tempo, perché non ero più un ragazzo… adesso ero un uomo… avrò avuto 25 anni… non chiedetemi come è successo perché non lo so… so solo che mi son messo a camminare, col mio baule… anche perché… cioè, la fame… la fame è fame…
Allora… mi son messo a camminare lungo la riva… dopo un po' dietro una duna, c’era, una specie di rada… e lì in mezzo… un veliero… ma grande…
Era grande… ma non era come quelli della battaglia di Lepanto. Aveva una bandiera bianca rossa e blu… ma non aveva i remi…
C’era un paio di barconi sulla spiaggia e quattro uomini che stavano lì… fumavano… sembrava che facevano la guardia.
Io ho detto… “non mi sembra che sono gente che fanno la guerra… non credo che questi mi prendono e mi portano a fare qualche battaglia…”... mi sono avvicinato.
Man mano che arrivavo vicino… man mano, si sentiva una puzza… una puzza… oh, uno schifo… e ho visto che c’erano anche degli altri, sulla nave, che andavano dentro la nave, poi uscivano con dei secchi, pieni di schifo… ma uno schifo… sembrava merda, e puzzava anche di merda e di piscio, buttavano tutto in mare, poi buttavano in mare i secchi, con una corda, e lì ritiravano su pieni d’acqua pulita… cioè, si, insomma, pulita abbastanza… e poi tornavano dentro la nave.
Io mi sono avvicinato a quelli che stavano a terra, vicino alle barche, e fumavano.
Oh! Uno, quando m’ha visto… ha cominciato… io non capivo cosa diceva… credo che bestemmiava, e ha tirato fuori una pistola, e me l’ha puntata contro.
“Oh, oooh… calmo eh!”, io ho tirato su le mani, subito… “calmo! mi arrendo…”. Ho lasciato andare il baule. Quello è venuto vicino… e continuava con le parole e faceva segno come dire “Apri il baule! Apri il baule!”. Io ho aperto, lui ha visto le maschere, sono arrivati anche gli altri… non so cosa hanno detto… però hanno cominciato a ridere… uno ha preso una maschera, se l’è messa, e ha tirato fuori una vocina… (rif. Pulcinella o Puch) e si muoveva come se fosse di legno. Tutti ridevano e allora ho capito che anche questa volta, forse l’avevo fatta franca…
Quello che mi aveva preso la maschera, poi me l’ha ridata e ha cominciato a dire delle parole che non capivo finché a un certo punto non ha cominciato (nota: accento inglese) “Signore, signore tu parla italiano? Roma, Napoli, mangiare…?”. “Si, si, io parlo italiano… si mangiare, si io voglio mangiare”. Lui si è messo a ridere, ha parlato con gli altri, poi il capo, quello con la pistola gli ha detto di dirmi qualcosa.
“Tu vuoi, tu puoi venire con noi… tu lavora, tu mangiare…”
“Che lavoro?”
“Tu pulire, tu fare guardia uomini noi porta America… poi vende”
Non avevo capito bene cosa diceva… America, vende uomini… avevo un po’ paura che pulire fosse levare la merda dalla nave e buttarla fuori, come stavano facendo quelli sulla nave… ma la fame… la fame… io non lo so neanche quant’era che non mangiavo… al massimo dopo un po' me la filavo.
Feci capire che andava bene.
Mi hanno fatto salire su un barcone e mi hanno portato fino alla nave.
Hanno chiamato quelli che stavano su…  che hanno buttato una scaletta e mi hanno fatto salire, me e il mio baule.
La nave si chiamava Principe Edoardo…
Quelli che stavano pulendo si sono messi a ridere… e pazienza… va bene così…
Mi hanno fatto vedere un posto dove potevo stare io con il mio baule… che non ci stava neanche il baule da solo e poi mi hanno portato dentro… dentro… dove c’era da pulire…
giuro che non ho vomitato solo perché non avevo mangiato niente!
Il lavoro... bisognava prendere lo schifo che c’era per terra, con la pala, buttarlo dentro ai secchi, poi, quando i secchi erano pieni, bisognava andare di sopra, vuotarli, pulirli e portare giù dell’acqua per cercare di lavare il pavimento… ci davano anche un po' di aceto per lavare… come avevano fatto a ridurre così quella nave io non lo so… cioè, non lo sapevo ancora.
Comunque, quando abbiamo pulito il grosso, alla fine ci hanno dato del riso, del mais, un frutto… una roba che non so neanche come si chiamava, ma però, quando uno ha fame… non è che sta tanto a guardare…
Abbiamo continuato così ancora qualche giorno. Poi un pomeriggio, poco dopo mezzogiorno… a riva sulla spiaggia, abbiamo cominciato a sentire delle grida… un casiii-no…
Una folla… saranno state 500 persone…  una trentina erano bianchi, gli altri erano neri, ma neri! Non avevo mai visto uomini neri in quel modo. Nigga li chiamavano… nigga. Erano omoni grandi e grossi, alcuni erano legati a 2 a 2… certi avevano una roba di ferro che gli stringeva il collo, come una tenaglia, ma era doppia, così con lo stesso ferro erano incatenati in 2. Altri avevano un piede incatenato al piede di un altro… c’erano catene di 30 o 40 uomini tutti legati uno con l’altro. Era quasi impossibile camminare… poveretti, praticamente impossibile scappare.
In quelle condizioni erano costretti a portare ceste piene di roba da mangiare… alcuni avevano delle cose bianche… lunghe… io non le avevo mai viste…. non so neanche a cosa servivano… zanne… si chiamavano zanne… altri ancora avevano delle pelli di animali…
Mi hanno spiegato che li portavano in America… che è un posto che bisogna attraversare un mare… che ci vogliono due mesi, tre mesi… a volte anche sei mesi, per arrivare… e poi, quando si arriva, quelli che sono ancora vivi… si mettono un po’ apposto, si lavano… si portano al mercato… e si vendono… come le pecore… come le galline… animali. Solo che gli animali si vendono per mangiare, questi lì vendevano per lavorare… per le piantagioni di caffè, di cacao, di canna da zucchero… anche per le miniere…
La prima cosa, hanno portato a bordo le ceste e le hanno sistemate in una specie di magazzino… poi hanno cominciato a caricare i nigga. Dei bianchi una decina avevano dei fucili, gli altri, preparavano i nigga… prima cosa li spogliavano… nudi, completamente nudi, poi li rasavano in tutto il corpo… capelli, peli, tutto… sempre tenendoli legati, che non potevano muoversi. Poi a gruppi di trenta, quaranta li portavano alla nave, poi li portavano di sotto, e lì, li legavano distesi per terra, o seduti, che non potevano neanche alzarsi. E comunque, lì il posto, la stiva era così bassa, che loro non ci stavano neanche in piedi
Anche le donne le spogliavano nude, le rasavano tutte anche loro, ma loro le mettevano tutte da un’altra parte… perché le donne, poi, alla notte… i bianchi scendevano… e le prendevano… le prendevano lì dove erano incatenate…
Ci hanno impiegato quasi 3 giorni a riempire la nave…
Appena pronti siamo partiti subito perché il capitano non voleva perdere tempo…
Quando siamo partiti, che siamo usciti dalla baia, la nave ha cominciato a muoversi tutta “così”… che alcuni hanno cominciato a vomitare… e allora la puzza… dopo un’ora vomitavano tutti… anch’io ho vomitato… devo essere sincero… ho vomitato anch’io…
Era bruttissimo… alcuni avevano fatto anche i bisogni… e quando la nave si inclinava, c’era per terra uno schifo di vomito, merda e piscio che si spostava tutto… e dovevi stare attento che non ti veniva addosso, perché… cioè… provate a immaginare…
Là sotto c’era il panico… gente incatenata che urlava… gli aguzzini con le fruste, che frustavano chi urlava… io e altri due con le pale e con i secchi, che cercavamo di raccogliere quello che riuscivamo e lo buttavamo di fuori…
C’era un nero, uno grande e grosso, che urlava e scuoteva le catene… come una bestia… un toro… dove c’aveva le catene strette, gli veniva fuori il sangue… rosso, rosso… non so se era così rosso perché sulla pelle nera si vedeva di più… l’aguzzino andò vicino a lui e incominciò a frustare… a frustare… ma così forte… e più quello frustava e più il nero si agitava… a un certo punto c’erano i pezzi di pelle che saltavano via a ogni frustata… pezzi di pelle così…
Tutti nella sua fila erano agitati, e cominciavano tutti a sbattere le catene…
guarda… ti giuro che speravo che morisse… per lui… ormai era impazzito, completamente pezzo!
A un certo punto è venuto giù uno… il capo delle guardie, con un fucile, un moschetto… gliela appoggiò sulla faccia, sull’occhio, poi sparò. Morto. Morto sul colpo… non si muoveva più…
Il capo se ne andò… in silenzio… c’era un silenzio che faceva paura… uno dei mozzi, uno come me, mi disse di andare con lui, lo sciolse dalle catene, poi mi disse di prenderlo per i piedi, ché dovevamo portarlo su… pesava così tanto che abbiamo dovuto portarlo su in quattro… e quando l’abbiamo portato su… io seguivo quello che facevano gli altri… lo abbiamo buttato di fuori… in mare… in acqua…
È stata una cosa orribile… orribile…
Il mare si era un po' calmato… io sono tornato giù e ho ripreso a spalare lo schifo… il fetore era ancora ripugnante… dovevo fare qualcosa… dovevo fare qualcosa perché stare fermo era roba da impazzire… dovevo fare qualcosa… ho spalato tutta la notte… tra i lamenti, il battere delle onde, il fruscio del vento. Al mattino sono crollato. Mi sono addormentato lì, vicino alla scala…
Mi hanno svegliato… che il sole era alto in cielo… con un calcio.
C’era da portare da mangiare ai nigga… bisognava andare con un secchio pieno di una pappa di riso e mais, bolliti e mischiati… e metterne un mestolo in mano ai prigionieri, e poi loro se la mangiavano così, dalle mani, come i cani.
Quelli che avevano fatto casino, l’aguzzino aveva ordinato che oggi non mangiavano…
Quando abbiamo finito di distribuire il pastone… io sono tornato al mio posto… c’era un nero che non aveva avuto niente da mangiare… e mi guardava… una maschera nera…
Ogni tanto apriva e chiudeva la bocca vuota come se volesse dire… ho fame… “Ho fame”... e io cosa posso fare?

Mi venne in mente una cosa che avevo visto fare una volta da un comico… in piazza… uno che faceva un contadino…
Questo era un contadino che non aveva da mangiare… uno che proprio erano giorni che moriva di fame… e raccontava alla gente che a lui gli sarebbe piaciuto mangiare… un pollo, un tacchino… un maiale… un salame… una torta… uno che aveva così fame che si sarebbe mangiato anche tutto il tavolo, e anche la casa, e tutta la città, anche il sindaco e il vescovo… e anche il papà e il re… ma non aveva niente, neanche le suole delle scarpe… ma a un certo punto, per fortuna… per fortuna riusciva a prendere un moscone… bello, grasso… e allora a un pezzettino per volta… prima le ali, poi le cosce, poi la testa e il petto… insomma se lo mangiava tutto e finalmente, con lo stomaco pieno, si addormentava sazio e felice.
Tutti ridevano, sulla piazza, quando il comico raccontava questa storia… e allora sono andato su… dove c’era il mio baule… ho preso una maschera nera… e son tornato giù nella stiva… e gliel’ho fatto io,  a loro lo spettacolo del contadino che mangia la mosca…
All’inizio, quando ho messo la maschera nera, loro hanno avuto paura… poi hanno capito, e qualcuno ha cominciato a ridere e alla fine ridevano tutti… era troppo bello, che ridevano tutti, e allora io ho capito… ho capito che è troppo bello quando le persone sono libere e ridono, e tutti quegli uomini, tutte quelle donne, avevano il diritto di essere liberi e di vivere… e non potevano vivere tutta la vita da schiavi… e allora ho deciso… questa notte lì avrei liberati tutti.
Il capitano aveva approvato che io avessi fatto il mio spettacolino e che tutti i prigionieri si fossero calmati, e per premio mi offrì una bottiglia di rhum… io accettai, anche se non ne bevevo… ma ne offrii ai miei compagni, che si bevvero tutta la bottiglia.
Alla fine della serata, quando tutti si erano addormentati tranquilli… lasciai scivolare in mare una delle due scialuppe, sull’altra caricai il mio baule e la misi in mare, e poi, presi dalla cucina alcune braci di legno e le buttai sulle vele e su alcuni teloni che c’erano sopra coperta… la nave prese fuoco in pochi minuti, io vidi tutto mentre mi allontanavo… gli ufficiali, i marinai, i mozzi… tutti correvano avanti e indietro cercando di spegnere il fuoco, ma oramai l’incendio era fuori controllo… prima dell’alba la Principe Edoardo colò a picco con tutto il suo carico… con le zanne, con le pelli, con il capitano, con gli ufficiali, con i marinai, con i servi come me… tutti morti…
con gli schiavi neri nudi, rasati e affamati, con le schiave nere nude, rasate e affamate…  tutti liberati…
Lo so che ho fatto morire 6 o 700 persone… lo so… ma sono convinto di aver fatto la cosa giusta… o almeno, la mia coscienza mi ha detto così… e infatti all’alba… mi sono addormentato, sereno, e ho dormito… non so quanto ho dormito.

       So che mi sono svegliato su una nave francese…
L’ho capito subito perché ho riconosciuto la lingua che ogni tanto parlava Louis de Ferdinand...
doveva essere passato un bel po’ di tempo, perché quelli che mi avevano preso a bordo avevano vestiti strani…
Vicino a me c’era il mio baule…
“Ah bon dis donc… il s’est reveillé… en fin”
“Avete dormito bene signore?”. Tutti ridevano…
Da quel che ho capito… erano tre giorni che mi avevano preso a bordo, me e il mio baule… e per tre giorni io avevo continuato a dormire.
Andarono a chiamare il capitano. Aveva detto di chiamarlo quando mi fossi svegliato, ché voleva interrogarmi, voleva sapere chi ero, da dove venivo… insomma… tutta la mia storia… e io gliel’ho raccontata, tutta… tutta, senza dimenticare nulla, così come l’ho raccontata a voi, adesso… con le maschere e tutto…
Alla fine lui ha detto qualcosa… come… tipo… “bianfù… bian fù se mecclà”... che per quel che so io di francese, credo che voleva dire… “questo tipo qua è proprio fuori di testa”.
Uno dei suoi ufficiali ha risposto “ilaprì tro desolei”.
Ha preso troppo sole… e poi ridevano tutti…
Allora il capitano ha detto che andavo bene lo stesso… di vestirmi e di insegnarmi.
Mi hanno portato dentro la nave… una nave che si chiamava Olimpià… Olimpià… e che era diversa da tutte quelle che avevo visto fino a quel momento… cioè… non capivo dove erano le vele… cioè, nel senso che le vele, proprio non c’erano… c’era un tubo… ma un tubo grosso così… che usciva il fumo… e la nave andava.
Mi hanno portato dentro la nave… mi hanno dato una divisa con la giacca blu… era un po' larga… ma insomma… poteva andare…
Poi mi hanno portato a mangiare e dopo mi hanno insegnato a usare il fucile… pulire, montare, smontare, caricare… ho anche sparato… mi hanno fatto tirare 5 volte contro un pupazzo, un pupazzo che aveva una giacca bianca piena di paglia.
Alla sera, si vedeva già la costa… che c’era una città… un porto, poi dietro una collina… e sulla collina una chiesa…
Marsei… la città si chiamava Marsei…
Siamo andati a dormire perché alla mattina, all’alba dovevamo scendere…
Giù dove dormivo io era pieno di soldati come me… cioè vestiti come me, che parlavano tutti francese e venivano da un posto che si chiamava Aljié. Erano abbastanza scuri di pelle, ma non come i nigga… erano più come i turchi della battaglia di Lepanto… solo che questa volta non erano i nemici… questa volta io… noi bianchi, combattevamo insieme a loro.
Poco dopo essere entrati in porto e scesi a terra, ci organizzarono in battaglioni e ci fecero partire… in marcia attraverso le campagne… abbiamo attraversato anche dei passi in mezzo alle montagne… io ero riuscito a ottenere di portare con me il mio baule… non c'era posto sui carri, ma non era troppo pesante… e ogni tanto qualcuno dei miei compagni mi dava una mano. A un certo punto… non ho riconosciuto proprio i posti… però mi sembrava che erano proprio i posti dove ero nato… dove la mia famiglia lavorava la terra…
Da quello che ho capito poi, stavamo andando alla famosa battaglia di Magenta… cioè… dunque da una parte c’erano gli Austriaci… austroungheresi… che erano vestiti di bianco come il manichino che mi avevano fatto sparare contro…
Dall’altra parte c’eravamo noi… cioè i francesi… noi eravamo quasi tutti algerini… e con noi c’erano i piemontesi…
Abbiamo camminato un bel po'...
Una mattina… una mattina all’alba… è arrivato l’ordine di prepararsi… poi a ognuno ci hanno dato una bottiglia di liquore… come una grappa… fortissimo… io ne ho bevuto un sorso, ma l’ho sputato subito… davvero… bruciava la bocca, che non avevo mai provato una cosa così…
gli altri invece… gli algerini, hanno cominciato a bere… certi dopo mezz’ora erano ubriachi… così ubriachi che quasi non si reggevano in piedi… a quel punto è arrivato l’ordine di avanzare coi fucili puntati e di sparare quando vedevamo i soldati vestiti di bianco.
Abbiamo incominciato a marciare verso… verso dove stava sorgendo il sole… davanti a noi non vedevamo quasi niente… a un certo punto ci siamo ritrovati infangati in una specie di palude… gli austriaci avevano allagato le risaie… sprofondavamo fino a sopra le caviglie… io sprofondavo anche di più, perché col baule… era un peso… e quindi restavo anche un po' indietro… è stata la mia fortuna… gli altri, ubriachi, accecati dal sole cadevano uno a uno… gli austriaci e gli ungheresi sparavano… e gli algerini cadevano… sparavano, anche, ma sparavano a vuoto…
poi, io non so di battaglie… i francesi e i piemontesi hanno attaccato da un’altra parte… era una trappola… e gli austriaci si sono ritirati…
nelle risaie allagate, giacevano tutti gli algerini morti… le risaie erano un lago di sangue… per anni, non hanno potuto più raccogliere il riso… hanno dovuto aspettare che mesi e mesi di piogge lavassero la terra… dal sangue, dalla polvere da sparo, dai resti… anche se i cadaveri li avevano raccolti… c’erano lo stesso dei resti… scarpe, pezzi di stoffa…
Quando il massacro è finito… io dovevo tornare indietro… ma non ho voluto… ho trascinato il mio baule e sono andato avanti… sono arrivato fino al fiume… fiume Ticino… e lì mi sono lasciato andare nell’acqua… io e il mio baule… ho pensato che tutti i fiumi portano al mare… e forse se mi lasciavo portare dalla corrente, prima o poi arrivavo al mare… e in mare… magari…
Mentre l’acqua mi portava al mare… ripensavo a quegli algerini che li hanno portati a morire a Magenta… per fare l’Italia… se un fosse una tragedia, sarebbe da ridere.

Mi sono addormentato... la corrente mi trascinava... io e il baule scivolavamo lungo il fiume tra le acque impetuose...
e in quei momenti... per la prima volta... per la prima volta ho fatto un sogno...
Un sogno bellissimo... ho sognato che era l'inizio di un secolo nuovo... un secolo che nasceva sotto il segno del progresso, della scienza, della tecnica... e all'inizio di questo secolo avevano costruito una nave bellissima... una nave come non se ne erano mai viste prima... grande... grande come un paese... c'erano migliaia di persone, su quella nave... ma nessuno era schiavo... c'erano lavoratori, questo si, ma schiavi non ce n'erano... c'erano tante stanze, e in ogni stanza abitavano due o tre persone... c'erano delle donne con dei vestiti bellissimi, e quando passavano si sentiva il profumo di tutti i più bei fiori di campo... e nelle sale c'erano specchi, e luci... tante luci... delle luci molto forti, non come quelle delle candele... e c'erano dei tavoli, dei grandi tavoli, dove le signore con i vestiti bellissimi e i signori vestiti di nero ma con la camicia bianca, mangiavano delle cose... che dovevano essere molto buone, ma erano anche molto belle... e c'erano degli uomini con la giacca bianca che portavano le cose ai tavoli e le mettevano nei piatti. Gustavano dei vini profumati, e spesso bevevano champagne.  Gli uomini erano gentili con le signore, e le signore sorridevano.
C'ero anch'io su quella nave... io suonavo, su quella nave... c'era una sala, un grande salone, col pavimento di legno, e su quel pavimento le coppie ballavano. C'era un'orchestrina, eravamo una dozzina... io suonavo il violino.
Io suonavo alla sera... cominciavamo quando la gente andava a cena, e andavamo avanti fin dopo la mezzanotte, quando le ultime coppie finivano di danzare.
Poi avevamo tutto il tempo di riposarci... mangiavamo bene anche noi, e ci pagavano bene. Era bellissimo, e io speravo che non finisse mai. Pensavo... "che fortunati", quelli che potranno vivere in quel secolo che cominciava adesso... ma a un certo punto il sogno finiva malamente... perché una sera, mentre i signori stavano ballando, e noi facevamo la musica... ecco una sera, la nave, nel buio, andò a sbattere contro un enorme blocco di ghiaccio e si spezzò in 2... tante persone si salvarono... altre affogarono... ma quando i due pezzi della nave colarono a picco... il sogno del nuovo secolo finì, e io mi svegliai. La discesa lungo il fiume era finita e io mi ritrovavo in mezzo al mare... mi sistemai meglio sul baule... e mi riaddormentai...

       … mi sono svegliato che sentivo gridare…
Chiamavano, da un barcone… c’era un barcone stracarico di neri… chiamavano… erano lì… fermi, in mezzo al mare… il motore doveva essersi rotto, o aveva finito il carburante…
La corrente mi portava verso di loro…
Erano neri… neri come quelli delle navi degli schiavi… come quelli della nave a cui avevo dato fuoco, una volta… tanto tempo fa...
Urlavano perché il barcone si stava riempiendo d’acqua… erano terrorizzati… c’erano anche delle donne, che urlavano…
quando sono stato vicinissimo, che potevo quasi toccarli, il barcone ha cominciato a inclinarsi… uno degli uomini che erano a bordo tendeva una mano verso di me… (rif. Adamo e Dio di Michelangelo) e il barcone si è rovesciato.
Una catastrofe… il mare… l’acqua era come se bollisse… tutti che sbattevano le braccia… quello che mi tendeva la mano… siamo riusciti ad afferrarla, la mano… e a tenerci… così… con una stretta fortissima…
Abbiamo incominciato a andare a fondo… tutti e due… lentamente… da una parte tenevo la sua mano… dall’altra tenevo il baule… e scendevamo…. scendevamo… e intorno tutti gli altri… non lo so quanti erano… più di cento… e tutti scendevano, come noi… ci vorrebbe un pittore, per disegnare quella folla che stava scendendo verso il fondo del mare… coi vestiti che… sembrava che ballavano… alcuni sorridevano… altri tenevano gli occhi chiusi… e sembrava che dormissero… dormivano e danzavano…
Abbiamo continuato ad andare a fondo per un tempo lunghissimo…
Poi è successa una cosa stranissima… quando siamo arrivati in fondo, c’era una folla di gente… uomini, donne, ragazzi, bambini… e tutti camminavano… andavano avanti… piano piano… sulla sabbia… sulle rocce… respiravano lentamente… era come se fosse una passeggiata in montagna… andavano avanti con gli occhi chiusi, e ogni tanto quando qualcuno passava vicino a me, apriva gli occhi e io sentivo i suoi pensieri… giuro, guardate qui… me li sono scritti…
(Nota. Ad ogni pensiero, un cambio di maschera)
       Il riconoscimento della dignità di tutti gli esseri umani e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo
       Il disprezzo dei diritti umani ha portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità
       Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti… ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona… tutti hanno diritto a uguale tutela contro ogni discriminazione… ogni individuo ha diritto alla istruzione…
       Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù
       Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento crudele, inumano o degradante
       Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo al riconoscimento della sua personalità giuridica e nessuno potrà essere arbitrariamente arrestato o detenuto
       Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni stato
       Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio...
L’uomo che teneva la mia mano aprì gli occhi e io sentii il suo pensiero.
“Hai sentito queste parole?”
“Certo…”
“Sono frasi che sono scritte nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo…”
“Mi sembra che siano frasi che dicono cose giuste…”
“È vero… dicono cose giuste…
queste frasi sono state scritte e sottoscritte da tutti i governi di tutti gli stati del mondo… quando da poco era finita la seconda guerra mondiale…”
Io non ho capito bene cosa vuol dire ‘seconda guerra mondiale’... ma non ho detto niente…
“Oggi però, troppi… in Europa, in America, nel mondo… hanno dimenticato di avere sottoscritto questi principi…”
“E allora?”
“E allora, di nuovo… razzismo, ipocrisia… discriminazione, Muri… muri armati, invalicabili… prigioni… campi di concentramento… l’Africa intera è diventata un immenso campo di concentramento… di concentramento e di sterminio… da cui è quasi impossibile fuggire”
Restammo in silenzio per un po'... mentre le centinaia e centinaia di persone, in fondo al mare, a poco a poco, avanzavano silenziosamente, lentamente.
“E dove state andando?”
“Stiamo venendo da voi… cammineremo fino a quando non avremo risalito tutta questa valle sommersa… cammineremo fino a quando non arriveremo alle vostre spiaggia, alle vostre città… e allora usciremo…”
“Non avete paura che vi buttino di nuovo in mare, che vi fermino, lì sulla riva e vi impediscano di avanzare”
L’uomo sorrise. “Ma no… ma certo che no…
Certo loro saranno terrorizzati e faranno di tutto… fuggiranno… cercheranno di fuggire… ma sarà tutto inutile…
noi ormai siamo più pesanti del piombo, più forti di qualunque macchina sia mai stata, o sarà mai costruita… nessun muro potrà mai fermarci… nessun esercito potrà mai fermarci… nessuna arma potrà mai scalfirci… noi avanzeremo fino al centro delle città, noi entreremo in tutte le case degli uomini bianchi… saremo seduti alla loro tavola, e li guarderemo mangiare… entreremo nelle loro camere da letto, e li guarderemo dormire… entreremo nei loro cuori, nelle loro menti e persino nei loro sogni… si, resteremo lì e gli faremo compagnia, anche nei loro sogni… per sempre…”.
“Quei sogni diventeranno incubi...”
“Così come un incubo è stata la nostra vita è la nostra morte…”
“E io cosa posso fare?... io sono solo un comico… metto le maschere… racconto le storie… canto canzoni… faccio ridere la gente, i bambini… cosa posso fare?”.
“Vai da loro… ripeti quello che hai sentito… racconta quello che hai visto… quello che hai capito…”
“Ma sarà difficile che loro mi ascoltino… che loro mi credano…”
“È vero… molti non ti vorranno ascoltare, e tanti non ti crederanno… tu però ricorda loro una cosa… una semplice cosa…
La pace, anche la loro pace, non si costruisce costruendo muri, isolandosi e circondandosi di guardie armate… la pace si costruisce lavorando per la giustizia… rendendo giustizia a chi, nella sua storia, giustizia non ha avuto mai e ha solo subìto i soprusi e la violenza dei prepotenti…”
“La pace si costruisce lavorando per la giustizia… va bene… adesso me lo scrivo…”
L’uomo lasciò la mia mano e in quel momento il mio baule cominciò a tirarmi verso l’alto… loro erano rimasti lì in fondo… e io salivo… e salivo e più salivo e più vedevo che erano una moltitudine incalcolabile… una marea… e più ne vedevo e più salivo… finché… finché… eccomi qua…
un’isola deserta e quadrata… a chi la racconto ora, io la mia storia… su un’isola deserta e quadrata...
chissà se passa una nave… se mi prendono su… magari…
e c’ho anche fame… quasi-quasi metto in acqua il baule e mi faccio portare dalla corrente… altrimenti qui… mi sa che muoio di fame…
Mah… proviamo… tanto…