sabato 17 dicembre 2022

 Ci vuol Coraggio


Signore e Signori,

Buonasera, e benvenuti.

Lo spettacolo di questa sera ha origini lontane, cioè le sue origini risalgono a circa venti anni fa, quando con un gruppo di amici abbiamo messo in scena uno strano spettacolo di strada.

Lo spettacolo si chiamava” La Via Lattea,” come il film di Bùnuel, ma col film non aveva niente a che fare.

Nella nostra Via Lattea, c’era un gruppo di migranti o per meglio dire un gruppo di reduci della storia del teatro.

Questi personaggi si disponevano lungo una strada e ciascuno di loro raccontava e commentava dal suo punto di vista la sua vicenda.

Alcuni di loro contestavano il loro autore.

Per esempio, c'era un Arlecchino che contestava Goldoni e raccontava la sua vera storia... faceva il facchino a Venezia, era sempre pronto a servire chiunque per un piatto di zuppa... spesso era ridotto a prendersi calci nel sedere da qualche nobile decaduto isterico e bizzoso e infine era sempre pronto in cambio del solito piatto di zuppa a imbarcarsi su una galera veneziana per andare ad affogare in qualche naufragio al largo delle coste turche.

La Bisbetica domata, invece se la prendeva con il pubblico,

che si diverte tanto a vedere Petruccio che non solo la sposa solo per beccarsi la consistente dote che il padre offriva a chi se la pigliava,

ma passa le due ore della commedia ad infierire sulla povera Caterina

...il pubblico assisteva a esercizi di crudeltà fisica e mentale al limite del sadismo ...divertenti come certe barzellette maschiliste che non si possono accettare.

Poi c’erano anche tanti altri personaggi, una ventina tra cui:

Medea, L’Anima Buona del Sezuan, Prometeo, Timone d’Atene, Riccardo III.

A me, il nostro regista aveva assegnato “la Madre Courage” di Bertolt Brecht.

Fino a quel momento io l’avevo solo sentita nominare … sapevo che questa Madre Courage esisteva...sapevo che era una delle opere principali di Brecht... che era una delle più conosciute, insieme” all’Opera da Tre Soldi” e “al Galileo”...

Dunque... Bertolt Brecht...

Il mio autore mi ha detto che, una volta al liceo di Vigevano stavano preparando un saggio di teatro, e i ragazzi dovevano scegliere un loro personaggio in un elenco di possibilità.

Un ragazzo che leggeva l’elenco se ne venne fuori chiedendo “ma chi è questo Brec”?

Ebbene sì, proprio così...Brec con C come ciliegia...

Quel ragazzo, e i suoi amici non solo non avevano mai visto nessuno dei suoi drammi e non lo conoscevano...ma, non sapevano nemmeno pronunciare il suo nome.

Eppure, sempre il nostro regista mi ha detto che negli anni 60, e 70 si mangiava Brecht a colazione, mezzogiorno e cena.

Non c’era teatro stabile che ogni anno non avesse in cartellone almeno un’opera di Brecht.

Non c’era laboratorio studentesco e neanche filodrammatica che non mettesse in scena Brecht...

C’erano persino teatri che mettevano in scena i suoi drammini didattici...

La linea di condotta”, L’Eccezione e la regola “, “Colui che dice di sì e colui che dice di no”.

Comunque a me, viene assegnata la Courage e ho dovuto andare di corsa a leggermela perché sinceramente non ne sapevo nulla.

Dunque...mi leggo la Madre Courage .

Devo dire che il testo, anzi, sia il testo, sia il personaggio .mi sono piaciuti subito.

La Courage mi piace, perché è una che non si fa mettere sotto.

È una che non le manda a dire.

È una che risponde.

È così fin dall’inizio, quando c’è l’arruolatore che la ferma, perché ha adocchiato i suoi ragazzi.

Per capire bene il clima di quel periodo, vi devo dire che l’arruolatore , poco prima l’abbiamo sentito che diceva che: “la pace crea solo confusione e che non c’è che la guerra per rimetter in ordine le cose...”

La scena si svolge così...

La Courage entra nel suo carro.

La figlia è seduta accanto a lei... i due maschi tirano il carro.

A quel punto il brigadiere si ferma, perché vuol sapere, chi sono e dove vanno...

E loro rispondono che sono mercanti.

E a questo punto lei attacca con la sua canzone...

Le parole dicono così: “se i vostri soldati devono marciare per andare in battaglia, hanno bisogno dì scarpe buone...

I soldati senza pagnotta non vanno a farsi ammazzare”.

Il brigadiere non si lascia infinocchiare, anzi si incazza e ordina di tirare fuori le carte.

Qui si mette in mezzo il figlio più piccolo che si stupisce perché il brigadiere non ha riconosciuto la Madre Courage, quella che aveva così tanta paura di andare in rovina che è passata tra le cannonate con 50 pagnotte nel carro... che erano già un po' ammuffite, ma non c’era tempo da perdere...

Il brigadiere a questo punto, gli girano un po' le balle e fa la voce grossa...

A questo punto la Courage prende dal carro un bel pacco di cartacce e tira fuori un bel libro da messa buono per incartare aringhe e cetrioli...

E poi c’è una bella mappa della Moravia che può sempre venire buona...

E un bel certificato dove c’è scritto e timbrato che il suo cavallo non ha malattie né alla bocca né alle unghie...purtroppo è morto.

Ma per fortuna, che non l’aveva pagato lei...

Adesso il brigadiere insiste "vedi di non pigliarmi per il culo...tira fuori la licenza lo sai che devi avere la licenza, no?

Il brigadiere sì è lasciato scappare una parolaccia e la Courage coglie al volo l’occasione...

Stia attento, quando parla con me!”

E non si permetta mai più di dire certe parole davanti ai miei figli...che sono minorenni.

E sappia che la mia licenza è la mia faccia di persona perbene e se lei non la sa leggere, io non ci posso fare nulla...

Sulla faccia un timbro non me lo faccio mettere”

Le risposte certo non le mancano...

se di lei hanno detto che ha un istinto da sciacallo, e che è una iena dei campi di battaglia...beh, forse non avevano tutti i torti.

Bene, mi piace...vado dal mio autore e gli dico che accetto di fare la Madre Courage.

A questo punto...lui comincia ad interrogarmi, in che anni si svolge la storia?

Nel testo ci sono delle date, ma io non le ricordo bene... dico, due o trecento anni fa...

ma no...ma, se la storia è ambientata nella guerra dei trenta anni...quand’è che si svolge”?

La guerra dei 30 anni? …

io la guerra dei 30 anni non me la ricordo …

ma è quella della defenestrazione di Praga.

Buio assoluto...

Guarda...ti do un piccolo aiuto...

È la guerra che fa da sfondo anche alla Trilogia del Wallenstein...di Schiller...!

Vabbè, facciamola corta...è quella guerra che travolge L’Europa nella prima metà del 17 secolo, cioè dal 1618 al 1648.

Da una parte c’erano gli Asburgo, gli spagnoli, e lo Stato pontificio...cioè il fronte cattolico, dall’altra il fronte protestante...Boemia, Danimarca, Svezia, Inghilterra e una parte della Francia.

Risultato di questa guerra è la devastazione di tutta l’Europa, e in particolare della Germania che si ritrova ad essere un mosaico di principati, ducati, vescovadi...un puzzle di centinaia di pezzi.

Milioni di morti, carestie, fame, malattie, peste.

Una bella guerra tra cristiani e cristiani.

Furono necessari almeno 100 anni per riportare in Europa condizioni di vita paragonabili a quelle che c’erano prima della guerra.

Questa è la scena che fa da sfondo alla vicenda di Madre Courage.

Questa storia Brecht l’aveva ricavata da un libro...un libro di un autore pochissimo frequentato in Italia: Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen.

La sua opera più famosa è: “L’Avventuroso Simplicissimus”.

Un racconto picaresco autobiografico molto famoso in Germania, da noi del tutto sconosciuto.

Ecco, questo Grimmelshausen scrisse anche

Vita dell’arci truffatrice e vagabonda Courage”, la storia di una avventuriera senza scrupoli che trovandosi a vivere in un ‘epoca difficile come la guerra dei trent’anni, sfrutta tutte le occasioni che le capitano, per cercare di sfangarsela alla meglio.

Attenzione... quelli erano tempi in cui una donna troppo libera, troppo indipendente, faceva presto ad essere giudicata come una strega come Giovanna D’Arco e a ritrovarsi su un rogo, grazie a un tribunale cattolico o protestante.

Comunque il mio autore mi ha convinta...cioè mi ha costretta...a leggere il libro “per capire bene il personaggio” ... e per vedere come aveva lavorato Brecht...cosa aveva scelto dal romanzo e cosa aveva eliminato...per trovare analogie e differenze.

E io da brava bambina ubbidiente me lo sono letto.

Man mano che andavo avanti con la lettura ero sconcertata...mi sono resa conto che la Courage di Grimmelshausen e quella di Brecht avevano ben poco in comune.

Tanto per incominciare quella del romanzo non ha figli...neanche uno.

In qualche punto del romanzo, anzi, si lascia intendere che la Courage sia sterile.

Cosa che...tutto sommato è utile per una che principalmente fa la puttana...

E quando le va bene, la libertina dissoluta.

Pare che a un certo punto si becchi pure la sifilide.

La sua preoccupazione principale è sempre come spillare, quattrini, gioielli e averi di ogni tipo ai poveri fessi che le capitano a portata di mano.

Anche del carro, il famoso carro che sta sempre al centro della scena nello spettacolo, nessuna traccia.

Il testo di Brecht, invece ruota tutto, intorno al carro...

La Courage, addirittura, lascia che uno dei suoi figli venga fucilato, piuttosto che cedere il carro per corrompere lo sbirro.

E allora cosa c’è nel romanzo se non ci sono i figli, e nemmeno il carro?

C’è tutta una serie di burle, di beffe e di vendette che ricordano più le novelle del 3/400 tipo quella del Decameron...o per restare più vicini a noi, il conte Mascetti e gli “Amici miei” di Monicelli.

Quindi conclusione...Brecht non ha trasformato il romanzo in un copione teatrale.

Brecht ha solo preso il personaggio della Courage... ha inventato i suoi figli, le loro storie, le loro morti.

Ha inventato il carro e il lavoro di vivandiera e ha trasformato un testo farsesco in una vera e propria tragedia.

Brecht ha rappresentato la guerra dei 30 anni vista e fatta dai miserabili.

Brecht ha mostrato l’assurdo della guerra dei 30 anni, e di tutte le guerre.

E qual è questo assurdo?

L’assurdo è che durante quella guerra.

la gente si faceva gli affari suoi...

E chi è che fa affari in guerra?...

non i contadini...non gli artigiani... nessuno di quelli che producono.

No, gli affari in guerra, li fanno i mercanti!

Brecht ha scritto; “la guerra è solo la continuazione degli affari, ma con altri mezzi...

I grandi affari non li fa la povera gente, e nella guerra le virtù umane diventano mortali”.

Tematica impegnativa.

Bene, a questo punto bisognava decidere come metterla in scena, questa mia Madre Courage.

Il mio autore voleva che ognuno di noi avesse un oggetto ...una cosa concreta che caratterizzasse il personaggio, e con cui interagire durante il monologo.

Per esempio...la Ellison di” Ricorda con rabbia”, restava quasi aggrappata al suo ferro da stiro.

Riccardo III, gobbo e sciancato, faceva fatica a stare in piedi, e così stava appoggiato a un bastone da passeggio, e in certi momenti lo brandiva come una clava.

Ognuno aveva il suo oggetto.

Bisognava decidere a quale oggetto avrei dovuto aggrapparmi io.

Allora abbiamo provato a guardare delle foto.

Il mio autore prende dalla sua biblioteca un librone grosso e pesante.

THEATERARBEIT: fare teatro di Bertolt Brecht, sei allestimenti del Berliner Ensemble. Mondadori 1969, più di cinquanta anni fa.

Tra parentesi, recentemente ho provato a cercare su internet, se ce ne era una copia da comprare. Si, una copia c’era...usata...ben 200eu...vabbè...magari un’altra volta...

Lo sfogliamo in cerca di suggerimenti e di idee.

Ci sono molte foto.

Prima foto.

La Courage con la figlia è seduta sul carro tirato dai suoi figli, tutti e quattro sono infagottati, sembra inverno in un paese del nord Europa, Polonia, Danimarca, Paesi bassi.

La figlia, la Katrin, la muta, sembra che stia mangiando una pannocchia.

In realtà, quando leggiamo le didascalie, veniamo a sapere che la ragazza sta suonando un’armonica.

Però, quello che mi colpisce di più è la Courage.

L’attrice è la famosa Helene Weigel, la moglie di Brecht, con la mano destra si tiene alla stanga più alta, quella che sostiene la copertura del carro.

La mano sinistra la tiene infilata nella cintura.

Lo sguardo è stranamente rivolto verso l’alto.

Non sta guardando i figli, non sta guardando il carro, non sta guardando verso le quinte e neanche verso il pubblico... e dove sta guardando allora?

Sta guardando sopra di sé...distratta... forse una nuvola, forse il cielo...

Mah, in teatro il cielo non c’è...le nuvole non ci sono... in teatro, in alto, sul palco, c’è il graticcio... (per chi non frequenta il palcoscenico, il graticcio è quella specie di rastrelliera a cui si appendono i fari e le scenografie...quelle da cui certe volte si lascia cadere la neve)

Ebbene sì...Helene Weigel entra in scena guardando il graticcio.

Mai vista una cosa del genere!

Chissà che effetto faceva sugli spettatori che negli anni subito dopo la guerra, in teatro, al Berliner Ensemble, assistevano alle prime repliche di Madre Courage.

Loro andavano lì proprio a vedere lei, la grande attrice, l’attrice immensa e carismatica e lei distratta, non li guarda neanche.

Lei guarda il graticcio.

Sembra che stia pensando:” guarda che bella giornata...di sicuro oggi non piove”!

È così che crescono i miti.

Dopo due o tre pagine c’è la seconda foto su cui ci soffermiamo.

Una foto che a prima vista non dice granché.

Al centro il cappellano militare, con un grembiulone, cammina verso il carro, che sta all’estremità sul lato sinistro.

Dietro di lui, nell’angolo in basso a destra, la Courage stringe le mani in grembo.

Il tronco in avanti teso ad arco, la testa piegata all’indietro in un urlo disumano.

Cosa sta succedendo?

Anzi...cosa è successo?

La Courage ha appena sentito la scarica dei fucili.

Suo figlio Schweizerkas, quello onesto... “onesto, perché intelligente certo non è”, come dice sua madre...Schweizerkas è appena stato abbattuto.

Questo stupido aveva nascosto, per metterla in salvo, la cassa del reggimento.

La Courage aveva provato a salvarlo, cercando di corrompere il brigadiere che lo aveva catturato, ma aveva mercanteggiato troppo.

Schweizerkas è stato condannato a morte.

La Courage ha appena sentito la scarica dei fucili. Si sente dilaniare il ventre.

Vorrebbe urlare. Urlare di disperazione. Ma...il suo grido la tradirebbe.

Lei ha altri due figli.

La Katrin, da sola non se la può cavare...e poi sarebbe la fine per i suoi commerci.

La foto mostra la Weigel tesa in un urlo animalesco.

Ma allora perché il cappellano si allontana come se niente fosse.

Perché non accorre?

Perché non si volta, spaventato da quel urlo selvaggio?

Il fatto è che quell’ urlo nel testo non c’è.

Nel testo c’è scritto soltanto:

Rullo di tamburo in lontananza, il cappellano si alza, va verso il fondo.

Madre Courage rimane seduta. (punto) Buio.

I tamburi cessano. Torna la luce.

Madre Courage è seduta come prima. (punto)

Nel testo non è indicato nessun urlo.

L’urlo che vediamo nel testo non c’è.

Ma, nella fotografia c’è.

Per spiegare questi enigmi dobbiamo spiegare questa invenzione incredibile della Weigel.

La Weigel lancia un urlo MUTO.

Un urlo senza voce.

Un urlo senza suono.

Ecco perché il cappellano non si accorge di niente.

Qualcuno ha detto che i testi teatrali dovrebbero leggerli solo quelli che fanno teatro, perché in un testo teatrale, di solito, ci sono le battute, e poco più...qualche didascalia al massimo...come ad esempio:

Rullo di tamburo in lontananza.

Il cappellano, si alza, va verso il fondo.

Madre Courage rimane seduta.

Buio,

I tamburi cessano.

Torna la luce.

Madre Courage è seduta come prima”

L’urlo non c’è.

Ed è difficile che un “lettore normale” possa immaginarselo.

Eppure quell’urlo silenzioso fece tremare nel profondo dell’anima tutti quelli che furono spettatori, e quell’immagine della Weigel è diventata una delle icone del Berliner Ensemble.

Ne fu colpito persino Grotowski.

Egli raccontava che vedendo la Madre Courage, quando era studente, era rimasto terribilmente impressionato da quel urlo silenzioso.

Aveva riconosciuto nell’urlo silenzioso “un’azione fisica” fortemente stilizzata.

Forse quell’urlo gli servì come spunto per sviluppare successivamente la sua teoria... quella che egli espose nel suo “Per un teatro povero”, che da noi fu pubblicato negli anni 70 e che fu contrapposto subito agli scritti teatrali di Brecht e anche a “Per un teatro politico” di Erwin Piscator.

Sì pensava, in quegli anni, che il teatro di Bertolt Brecht e quello di Jerzi Grotowski fossero diametralmente opposti.

Da una parte Brecht con la sua dialettica di stampo hegeliano che cercava di indurre lo spettatore a articolare un pensiero politico e critico, dall’altra Grotowski, che eliminando gradualmente tutto ciò che era superfluo, scopriva che il teatro, può esistere senza trucco, senza costumi, senza scenografie, senza effetti di luce e di suono, senza uno spazio scenico diviso in due parti che separino gli attori dal pubblico.

Grotowski eliminando dal teatro tutto il superfluo, scopriva l’essenza più profonda del teatro.

Cioè scopriva che il teatro non può esistere senza la relazione tra attore e spettatore in una “comunione diretta”.

Questa “comunione diretta” lui l’aveva incontrata per la prima volta proprio in quell’urlo, e tutto il suo lavoro successivo sull’attore, nei suoi laboratori polacchi, sarebbe stato orientato a ritrovare e a far rivivere quella comunione.

Mi raccomando, adesso non andate a dire in giro che noi abbiamo detto che le radici di Grotowski affondano nel teatro di Brecht!

Altrimenti, alcuni adepti del terzo teatro potrebbero aversene a male e condannarci tutti alle peggiori pene dell’inferno...per l’eternità.

Terza foto.

nell’ultima pagina...di quelle dedicate a Madre Courage c’è un’altra foto interessante.

Sullo sfondo scuro, come sempre il carro.

Questa volta non ci sono i figli.

Sono morti tutti e tre, anche il cuoco e il cappellano che le hanno girato intorno per due ore...sono scomparsi.

Brecht ci vuol dire, senza possibilità d’equivoci, che i due non erano altro che miserabili parassiti!

La Courage è rimasta sola, lei e il suo carro.

Non c’è nessuno che la aiuti a tirarlo.
Piegata in due come una vecchia bestia borbotta:

spero di farcela da sola, con questo carro...tanto ormai non c’è molta roba dentro... ma, io devo riprendere il mio commercio.”

Ora non è più come nella prima scena.

Ora c’è lei in mezzo alle stanghe.

Ora non guarda più, verso il graticcio...spavalda.

Ora non guarda più il cielo e le nuvole, cantando, ora fiaccata dallo sforzo, guarda le assi del palcoscenico.

Guarda i solchi che altri carri prima del suo hanno lasciato nella strada fangosa.

Fa ancora molto freddo, e il fango, ghiacciato, è duro come il cemento.

Nonostante che la Courage alla fine veda che la guerra le ha tolto tutto ciò che possedeva...persino i suoi figli, è costretta dalle circostanze, dall’istinto di sopravvivenza, a spogliarsi di ogni emozione.

Il modo di fare teatro di Brecht impone all’interprete di cancellare qualsiasi reazione che non sia quella di rimarcare continuamente l’ossessivo bisogno, l’ossessivo “coraggio” di andare avanti.

La Courage va avanti quasi bendata per non vedere, in modo che sia soltanto il pubblico a prendere coscienza delle tragedie che la colpiscono.

Brecht sostiene che questa scena debba esprimere l’incapacità della Courage di imparare qualcosa sul fatto che con la guerra non ci si guadagna mai.

L’incapacità d’imparare...ma chi può dire cosa ha imparato o non ha imparato quella povera vecchia piegata in due dal dolore e dallo sforzo.

Questa donna schiacciata dalla tragica necessità di vivere in un mondo sbagliato.

In un mondo dove occorrono virtù così grandi per vivere, vuol dire che c’è qualcosa di marcio.

Forse avrà capito che ci vuole un coltello bello lungo per stare seduti al tavolo della guerra, e tagliarsi la propria fetta di arrosto.

E noi... cosa abbiamo imparato noi?

Brecht voleva che gli spettatori capissero...

Ma i grilli parlanti, come quello di Pinocchio, come Brecht... sono sempre antipatici, e finiscono schiantati contro un muro, o nascosti sotto il tappeto, come la polvere in certe case.

Siamo arrivati all’ultima pagina, cioè all’ultima fotografia.

Lo spunto concreto...l’oggetto particolare a cui agganciare il mio personaggio, io non l’ho ancora visto.

Il mio regista mi ha messo alla prova, e io, che vedevo quelle foto per la prima volta non ho fatto in tempo a cogliere il dettaglio che cercavamo.

Volevo vedere se tu riuscivi a trovare qualcosa che colpisse te, in particolare...magari trovavi qualcosa di diverso da quello che ho trovato io.

A me sinceramente, mi aveva colpito il carro...ma il carro, come oggetto di scena, era un filino ingombrante.

Chiedo a lui, e lui, torna indietro di qualche pagina e mi dice:” guarda qui questa volta...io guardo...

Nella foto, il cappellano tira il carro con la testa bassa...vuoi mangiare?

Devi lavorare.

È la dura legge di Madre Courage.

E per il cappellano...che ha studiato latino, e vorrebbe tanto occuparsi delle anime da salvare, è una specie di umiliazione.

Alla sua sinistra, la Katrin, piegata in due dallo sforzo, ma anche dalla vergogna.

Ha una grossa benda sulla testa.

Gliel’ha messa sua madre.

La Katrin era andata in città a prendere qualcosa per conto della Courage.

La merce deve aver fatto gola a qualcuno.

L’hanno aggredita, e lei ha rimediato uno sfregio sulla faccia.

Alla sua sinistra la Courage ha le braccia spalancate...spaccona come al solito...

e che sarà mai...non è grave!”

È solo una ferita leggera.

Tra una settimana è guarita...e non ci resta nemmeno il segno...

Ma poi prosegue sottovoce tra sé e sé... (e anche se gli resta il segno... poco male...anzi!”

Quelle che piacciono agli uomini hanno la sorte peggiore...

Sai quante ne ho viste che avevano un musetto un po' grazioso e poi sono diventate brutte da far paure ai lupi--- e adesso fanno una brutta vita...anzi bruttissima!

Insomma anche questa bisogna considerarla una bella fortuna.

In realtà, quello che sta pensando davvero, è che le hanno rovinato la figlia...



La Katrin, un marito non lo troverà mai più...

Schweizerkas non lo vedrà più... e che fine avrà fatto Eilif...lo sa solo Dio...

La Courage maledice la guerra.

E poi dicono che la Courage non capisce...

Comunque l’oggetto non l’abbiamo ancora trovato...

Il mio autore comincia con un discorso...tutto un discorso...un giro largo...come fa lui di solito...

C’era una volta...una volta...i disegnatori tecnici, quelli che lavoravano sul tecnigrafo, negli studi degli ingegneri o degli architetti,

oggi si fa tutto col computer, ma allora si facevano quei disegni enormi... progetti, appartamenti, palazzi, chiese, parchi...tutto a mano) una volta, i disegnatori tecnici tenevano nel taschino della giacca, la matita a pulsante con la mina 4H... quella bella dura da professionisti.

Gli ingegneri... o i geometri che volevano darsi delle arie...

Gli ingegneri, quando ancora non c’ erano le calcolatrici... tenevano nel taschino il regolo calcolatore, quello bianco, col cursore in mezzo, e con le scale logaritmiche...che io non so neanche cosa vuol dire...ma non ho chiesto, se no, partiva con tutta la spiegazione e non la finivamo più.

Ecco, i regoli calcolatori erano oggetti che si tenevano in bella mostra perché erano oggetti che definivano la persona e il suo lavoro...una specie di status symbol, come il camice bianco e lo stetoscopio per il medico.

Per la Courage... guarda bene... hai mai visto qualcuno andare in giro con un cucchiaio infilato nell’asola del risvolto della giacca?

No, in effetti, no, mai... però, la Courage ce l’ha, ebbene sì, c’ha un cucchiaio da minestra lì in bella vista, proprio lì sul giaccone.

Nelle note c’è scritto solo che quello è “il cucchiaio di stagno che Madre Courage tiene infilato nella giacca mongolica”.

Non ci sono altre spiegazioni.

Anche nel testo non c’è nessun accenno al cucchiaio.

E allora perché la Weigel lo tiene lì, in bella mostra?

A noi è sembrata un’altra sbruffonata delle sue...

Si sa che ognuno fa vedere quello che ha... è come se dicesse: "io sono una che mangia... una che mangia tutti i giorni...e col cucchiaio...io non sono mica una morta di fame come voi.

Voi che mangiate con le mani, come delle bestie...

Il cucchiaio...

Eccolo l’oggetto che mi serviva.

Nel mio piccolo monologo, prima me la prendevo con quelli che vogliono la pace...

Dicevo “A me è la pace che mi ammazza... dicono che la pace ammazza la gente più debole...ma quelli muoiono anche in tempo di pace.”

Poi, quasi fosse un lamento incominciavo a raccontare di come la guerra mi avesse portato via i figli...uno ammazzato per aver cercato di salvare la cassa del reggimento...

L'altro per aver stuprato una donna... di solito per queste bravate veniva premiato.

Il suo errore era stato quello di non capire che quello che in tempo di guerra era considerato un atto di valore, in tempo di pace poteva costarti la testa...

E infine la terza la Katrin...che viene abbattuta, mentre sul tetto di una casa di contadini batte come una pazza sul tamburo per svegliare gli abitanti della città di Halle, e salvare così dei bambini con cui aveva giocato durante il pomeriggio.

È qui che usavo il mio cucchiaio.

Lo sbattevo con rabbia sulla mano sinistra come fosse stato una bacchetta da tamburo.

Era una scena molto emozionante...

Io sentivo la tensione del pubblico che restava lì, col fiato sospeso.

Brecht non sarebbe stato per niente contento.

Brecht non voleva che il pubblico si emozionasse.

Voleva che il pubblico ragionasse, invece la Courage non ragiona, non capisce.

La guerra le porta via i figli, ma lei si ostina a sostenere che la guerra, “ai suoi figli” gli dà da mangiare meglio.

Noi che non siamo per niente modesti, pensiamo che Brecht si sbagliasse.

Come la Courage non capisce?

Forse...in certi momenti sembra non capire...in altri, invece capisce benissimo...

Il pubblico...è meglio che non si emozioni...il pubblico è meglio che ragioni...

Brecht teme che se uno si emoziona...non ragiona?

Noi crediamo piuttosto che se uno si emoziona, il ragionamento si imprime con più forza nella memoria...per questo abbiamo cercato di emozionare il nostro pubblico.

Se nella vita non ci si emoziona, o non ci si diverte, la noia dilaga.

Ed è per questo che la nostra Courage si emozionava ed emozionava il pubblico.

Brecht... più che sulla emozione puntava sulla satira, sull’ironia, sul sarcasmo, e in questo era molto, molto vicino a uno degli autori più grandi della storia del teatro...cioè Molière.

È strano... fateci caso... anche Molière è quasi completamente assente, dalle scene italiane.

Eppure anche lui quante cose avrebbe da dire dell’Italia di oggi...

Cesare Garboli ha scritto:

Molière è un classico che la società italiana deve ancora raggiungere.

Discutendo le idee di Molière, accusandolo di oscenità e di empietà, meravigliandosi davanti a un teatro che metteva in scena tirannelli ottusi, avari e individui rimbambiti...

Ecco, discutendo le idee di Molière un pubblico di bottegai seppe diventare la borghesia di Francia, una borghesia un po' diversa dalla nostra...

Comunque torniamo a Brecht e all’Italia.

Mah, cosa si intende esattamente per” ironia di Brecht” ...in che cosa consiste il suo sarcasmo?

Vi faccio un esempio tratto proprio dalla nostra Madre Courage.

Siamo nel sesto episodio, la Courage è arrivata a un certo livello di benessere, il maresciallo Tilly è morto, e, davanti al carro della Courage si discute...

Tema:” la guerra continuerà o ci sarà la pace?”

Il cappellano militare è convinto che nonostante la morte del maresciallo, la guerra andrà avanti ancora a lungo e dice che ce n’è sempre di quelli che vanno in giro dicendo: “che una volta o l’altra la guerra finirà”.

non è affatto detto che la guerra debba ripigliare fiato...può perfino succedere una disgrazia...”

Non si può mai essere sicuri...perché non c’è niente di perfetto su questa terra.

Una guerra perfetta, di cui si possa dire che non c’è da farle neanche la più piccola osservazione, probabilmente non esisterà mai.

Oh, che peccato!

Una guerra perfetta...probabilmente non esisterà mai...mah, che peccato...chissà che effetto gli avrebbero fatto al cappellano le guerre di oggi tutte queste guerre coi droni, con gli interventi di precisione chirurgica...con solo qualche piccolo danno collaterale...chissà?

E chissà anche cosa ne avrebbe detto Brecht.

Il cappellano prosegue...

la guerra perfetta... tutt’a un tratto può incagliarsi, può trovare qualche imprevisto, non si può pensare sempre a tutto... ed ecco la fregatura!

E dopo vai tu a rimetterla in carreggiata, la guerra!

Eh, sì...la guerra è un lavoro complicato... bisogna saperla fare...

Ma, nei momenti difficili le verranno in soccorso gli Imperatori, i Re... o i Papa.

E così, la guerra non ha da temere nulla e può contare su una vita lunghissima.

Mah, lo scrivano obbietta che non si può vivere senza pace per l’eternità...

Ma, il cappellano non si lascia confondere …

si può dire con certezza che la pace esiste anche in guerra...si può dire anche che la guerra ha certi suoi momenti di pace.

Perché la guerra va incontro a tutte le esigenze a cui bisogna provvedere, altrimenti, non potrebbe durare.

Per es. In guerra puoi cacare come quando c’è la pace più profonda, e fra una battaglia e l’altra ti bevi una bella birretta, e persino tra una marcia e l’altra ti puoi fare un pisolino appoggiato al gomito sul ciglio della strada.

Dopotutto il cappellano si accontenta di poco...poter fare i propri bisogni, bersi una birra, e farsi un pisolino... e di cos’altro ha mai bisogno un uomo.

Però...c’è un però. Per esempio, quando si va all’assalto non puoi giocare a carte... e questo è un bel problema...un vero problema...ma, d’altronde...non puoi neanche quando lavori il campo in tempo di pace, però dopo la vittoria, una partitina ci sta.

Purtroppo in guerra ti possono portare via una gamba con una cannonata...all’inizio fai un casino, come se fosse qualcosa di importante...ma poi ti calmi...ti danno un bicchierino di grappa, e alla fine torni a saltare di qua e di là come se niente fosse, e la guerra va avanti come prima.

Ma, certo...dopotutto una gamba...e che sarà mai!

E che cosa ti impedisce di aumentare la tua specie in mezzo a tutto questo macello, dietro un granaio o in qualche altro posto?

Non possono mica impedirtelo...

Eh no...come si fa a impedire a un soldato di stuprare una bella contadina... è la natura che lo chiede.”

E così la guerra avrà i suoi cuccioli e potrà continuare con loro.

La guerra trova sempre una via d’uscita.

Perché mai dovrebbe smettere?

E Madre Coraggio, dopo queste belle parole, si tranquillizza.

È geniale Brecht. Sarcasmo puro…lucido...brillante. Incisivo...

Senza troppe chiacchiere...gli basta mezza pagina, per mostrarci il volto mostruoso della guerra.

Mezza pagina per esprimere la sua condanna...senza se, senza ma e senza appello.

Dopotutto il nostro Brecht, quando al liceo gli assegnarono come tema il verso di Orazio “Dulce et decorum est pro patria mori”, cioè,

morire per la patria è dolce e onorevole” lui rispose:

Andate prima Voi” un po' più strutturato, ma il senso era quello...e anche il tono.

Questo è il sarcasmo di Brecht.

Certe sue frasi sono diventate addirittura proverbi.

Per esempio:” guai al popolo che ha bisogno di eroi”:

Chissà cosa direbbe oggi dell’America e del suo cinema pieno di Supereroi coi super poteri, che ogni settimana salvano il mondo, non si capisce bene da chi!

Già durante il suo esilio negli Stati Uniti, non particolarmente fruttuoso, quando cercava di fare lo sceneggiatore scriveva: “ogni mattina, per guadagnarmi il pane vado al mercato dove si comprano menzogne.

Pieno di speranza, m i metto in fila tra i venditori”.

Hollywood, il mercato dove si comprano menzogne...e chi si sente di dargli torto?

E comunque il suo sarcasmo non risparmia neanche se stesso.

Io nacqui figlio di gente benestante.

I miei genitori addosso mi legarono un colletto.

E mi allevarono nell’abitudine di essere servito.

E mi istruirono nell’arte del comando.

Però quando fui adulto e mi guardai intorno, non mi piacque la gente della mia classe.

Né dare ordini, né essere servito.

E io lasciai la mia classe e feci lega con gente del basso ceto.”

Dunque, adesso, vorrei parlare di teatro “agito” in Italia:

Per due motivi.

Primo, perché il teatro è un’arte terribilmente effimera e vive solo nel momento in cui lo si fa.

Non è una scultura, o un quadro che tu lo porti al Louvre e resta lì per secoli.

Oggi non c’è un posto dove puoi andare a vedere Molière che recita, o Shakespeare, o la Duse.

E anche quelli che hanno assistito ad un loro spettacolo...praticamente, quello che hanno visto... a poco a poco... si sfalda nella loro memoria.

Ha ragione Shakespeare...

il nostro spettacolo è finito.

Questi nostri attori, erano tutti spiriti e si sono dissolti nell’aria.

Tutto si dissolverà, come questo edificio senza fondamenta, come le torri ricoperte dalle nubi, come i palazzi sontuosi e i templi solenni, e questo stesso globo, e tutto quello che contiene.

Tutto svanirà senza lasciare traccia...

Perché noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.

E nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita.”

Secondo motivo.

Ogni messa in scena ha una sua specificità...cioè è diversa a seconda della sensibilità degli interpreti...dal drammaturgo al regista, agli attori, allo scenografo, al costumista, ai musicisti.

Quindi lo stesso testo, messo in scena da compagnie diverse, dà origine a spettacoli a volte completamente diversi.

La madre Courage della Giehse, a Zurigo nel 1941,

Era molto diversa da quella della Weigel a Berlino nel 49.



Solo in Italia, della Madre Courage si contano almeno otto edizioni diverse.

Alcune anche molto diverse dal modello brechtiano del Berliner Ensemble...

La Madre Courage fu proprio il primo lavoro di Brecht ad essere rappresentato in Italia.

Era il 1952(settanta anni fa) al Teatro dei Satiri, di Roma, il regista era Luciano Lucignani...un compagno di corso di Vittorio Gassman, all’accademia...

L’interprete era la Cesarina Gherardi...oggi quasi nessuno la ricorda più...eppure da giovane era abbastanza conosciuta.

Aveva recitato in parecchi film... erano quei melodrammi sentimentali come “Lacrime di sangue” o “L’Ultimo amante”, in cui recitavano attori come Alida Valli o Amedeo Nazzari.

La Cesarina Gherardi poi era invecchiata: la bocca le aveva preso una smorfia che la rendeva perfetta per certi ruoli di cattiva.

L’ideale per fare la Courage. Non siamo riusciti a trovare fotografie dello spettacolo, è un vero peccato perché i costumi erano di Renato Guttuso.

Poi passano un po' di anni, nascono i teatri stabili.

Negli anni 50 e 60 c’è il grande successo del Piccolo Teatro di Milano, di Giorgio Strehler, Paolo Grassi e anche di Bertolt Brecht.

Sì, nel successo del Piccolo e di Strehler, i lavori di Brecht sono delle tappe fondamentali.

L’Opera da Tre Soldi”, nel 55, “L’Anima Buona di Sezuan”, nel 58, ”Schweyk” nella seconda guerra mondiale, nel 60, “Vita di galileo”, nel 62, fino a “Santa Giovanna dei Macelli” nel 70. ( produzione della Pergola di Firenze)

Sul modello del Piccolo, nascono teatri stabili un po' in tutta Italia,

Da Genova a Bolzano a L’Aquila, da Torino a Roma a Catania.

Il Teatro Stabile di Genova è uno degli stabili più prestigiosi.

Negli anni 60 e 70 è diretto da Luigi Squarzina: drammaturgo, primo docente di regia al DAMS di Bologna.

Nel 1970, a Genova, Luigi Squarzina ottiene dal Piccolo i diritti per mettere in scena una edizione della Madre Courage.

Erano passati diciotto anni dalla prima del 52.

La protagonista questa volta era Lina Volonghi.

Compariva spavalda, aggressiva, sul carro che veniva trascinato su una pedana rotante che occupava quasi tutto il palco.

Fu una edizione epica perfettamente rispettosa delle indicazioni brechtiane.

Questo è successo più di cinquant’anni fa, ma dopo?

Teniamo presente che realizzare la Madre Courage è un’impresa piuttosto impegnativa, sono necessari investimenti considerevoli.

Una quindicina di attori, cinque o sei musicisti, una scenografia abbastanza complessa, quindi è comprensibile che pochi teatri pubblici e pochi impresari privati abbiano deciso di impegnarsi in questa messa in scena.

Per avere un’altra edizione della Courage dobbiamo aspettare 21 anni.

1991, compagnia del Teatro d’Arte, diretta da Antonio Calenda, a interpretare il ruolo principale c’è Piera Degli Esposti...

Era il periodo della prima guerra nel Golfo, si stava preparando la stagione di mani Pulite, e molti italiani cominciavano a subire il fascino della Lega Nord.

Calenda dichiara:” Abbiamo ritrovato Brecht perché abbiamo bisogno di pace, e ci ritroviamo in mezzo alla guerra e in qualche modo bisogna riparlarne, di guerra.

Brecht ci permette di togliere il velo all’abbruttimento diffuso, illuminando di luce critica gli angoli più bui delle coscienze, portando allo scoperto le mille piccole rassegnazioni che bloccano le coscienze.”

Dobbiamo anche tornare a fare del teatro alternativo alla televisione, un teatro che non lavori, come la televisione per la omologazione.

Dobbiamo lavorare a un pensiero forte contro la moda dei pensierini deboli.

Piera Degli esposti dichiara: ho dovuto rinunciare alla leggerezza, è la prima volta, nella mia carriera che devo, che voglio lavorare in modo da non rendere minimamente simpatico il mio personaggio, perché Madre Courage è un ingranaggio della logica della guerra.”

Nel 96, il Piccolo mette in scena una lettura interpretata da Giulia Lazzarini, con Moni Ovadia e la sua orchestra. Lo spettacolo viene presentato a Palermo... in via D’ Amelio.

Anche la lotta contro la mafia è una guerra.

Moni Ovadia, che interpreta il personaggio del cuoco dichiara: “il mio personaggio è un ebreo che ha attraversato tutti gli inferni, in cui l’elemento di ebraicità è la conoscenza della vessazione dell’uomo sull’uomo.”

Dopo il 96, si passa al 2002, di nuovo al Teatro di Genova, che adesso è diretto da Marco Sciaccaluga, Madre Courage è Mariangela Melato, accanto a lei un cast internazionale con attori serbi, francesi ed italiani.

Di questo spettacolo bisogna ricordare la scenografia che qui era costituita da un teatro sfarzoso, ridondante di decorazioni in stucco stile 700’ un teatro rococò ormai in rovina a causa della guerra.

Il riferimento alla guerra di Jugoslavia era evidente.

Nel 2008 Isa Danieli recita la Courage al Teatro Nazionale di Napoli, diretta da Cristina Pezzoli.

È un’edizione un po' particolare, a cominciare dalla traduzione.

Il testo, che già di per sé possiede una grande forza, è stato rielaborato da Antonio Tarantino, che lo traduce in un linguaggio nuovo, costruito sui nostri dialetti.

  • Isa Danieli dà di Madre Courage una versione popolana come Sofia Loren in certi film di De Sica, cioè una versione molto “anema e ccoree”.

  • L’ultima edizione di cui abbiamo notizia è quella del 2019.

  • È passata anche a Vigevano, al teatro “Cagnoni”, nella interpretazione della Maria Paiato con la regia di Paolo Coletta.

  • La scena era scura e tetra con riflessi rosso fuoco, ricordava certe plastiche di Alberto Burri.

  • Al centro c’era uno specchio inclinato verso il pubblico con un enorme buco nero, dove un punto di luce rosso in certi momenti si allargava a invadere tutta la scena.

  • Sul palco, quasi vuoto, un’unica cassapanca su cui sedere.

  • Non c’era il famoso carro e nemmeno gli elementi tipici del teatro brechtiano, come le proiezioni dei titoli o i cartelli.

  • Le composizioni di Paul Dessau, erano eseguite dal vivo, dagli attori stessi con una fisarmonica, una chitarra e una tromba.

  • Bene, restiamo in attesa della prossima Courage.

  • Nel frattempo Voi direte...

  • Bravi... tu e il tuo regista ci avete fatto una bella lezioncina di teatro... su Brecht, la sua filosofia, sulla Courage, sulle sue interpreti...

  • Grazie.

  • Ma, la Vostra domanda è.… ma, perché?

  • Risposta... perché di “Madre Courage” ci sono state tante messe in scena, ma nessuno la conosce...nessuno, quasi nessuno, ha visto la Courage in teatro...e invece la Courage avrebbe ancora tanto da dire.

  • La guerra, qui nel mondo occidentale, grazie a Dio, non la vediamo quasi più da anni …

  • Fate finta che non ci sia mai stata la guerra nell’Irlanda del Nord, nella ex Jugoslavia.

  • Fate finta che non sia mai scoppiata la guerra in Ucraina.

  • D’altronde questo testo l’abbiamo scritto nel 2020.

  • Per non fare guerre occorre l’intelligenza quella che Brecht voleva stimolare, ma oggi di intelligenza in giro non sene vede tanta...

  • Avremmo veramente bisogno di Brecht, e invece nessuno si ricorda più di lui, anzi...qualcuno dice che “oggi Brecht è così datato”

  • Sarà per questo che nessuno ha pensato di fare un film...un grande film...un film come "Barry Lindon” o “I Duellanti” di Ridley Scott...magari interpretato dalla Frances McDormand, ma il soggetto non ha ancora suscitato l’interesse di nessun regista importante o di nessun produttore.

  • Si potrebbe farne una produzione televisiva...una miniserie..ma, NIENTE!

  • E allora Noi...vogliamo provare a portare la Courage nelle strade e nelle piazze.

  • NOI vorremmo fare uno spettacolo di teatro urbano.

  • Vorremmo riportare...per finta... la guerra nelle nostre città e nelle nostre strade, ma, come fa il teatro...come nel gioco degli scacchi.

  • Dove un Re muore ogni giorno... e quando la partita è finita, si rimette in piedi il pezzo e si ricomincia.

  • Il teatro è come il gioco degli scacchi...ogni sera Riccardo III muore, ma la sera dopo è di nuovo in scena.

  • Ebbene, noi vogliamo portare la Courage con il suo carro per le strade delle nostre città.

  • Vogliamo metterci solo qualche battuta, di quelle incisive, come il battibecco all’inizio con il brigadiere...vogliamo mettere i cartelli con le didascalie (che Brecht aveva preso in prestito dal teatro arietale)

  • Vogliamo far vedere la AZIONI, qualche assalto, qualche assedio, qualche battaglia, il funerale del maresciallo Tilly...e soprattutto le morti dei tre figli della Courage... il tutto accompagnato da qualche canzone...

  • Per es: “La canzone degli S

  • piriti nobili”

  • Avete visto cosa capitò al savio salomone”?

  • Per lui tutto era chiaro come il sole...malediceva il giorno ch’era nato... e diceva: “ogni cosa è vanità”.

  • La saggezza lo aveva reso così disperato...

  • che è fortunato chi non ce l’ha.

  • E finire con la Courage che si allontana, da sola, con il suo carro, mentre una voce canta:

  • La guerra è tanto tempo che c’è e se anche durasse cento anni...la gente come Noi non ci guadagnerà mai nulla.

  • Noi crediamo che queste parole debbano ancora risuonare,

  • nelle nostre strade e nelle nostre piazze... e Voi?

  • Grazie.



    Di: Luigi Fusani













































































 Leggendo “Che cosa c'è da ridere”



Buonasera...dunque... io ho un amico,

questo amico, in certi momenti, è anche simpatico e divertente...

di solito, invece è un noiosone... e anche un terribile snob...

per esempio, per quanto riguarda le letture… I suoi libri preferiti? Il Maestro e Margherita... letto 5 volte, confrontando le varie traduzioni pagina per pagina...

poi, “Viaggio al termine della notte”... anche se lui contesta questa traduzione del titolo... che secondo lui dovrebbe essere “Viaggio fino in fondo alla notte”...

e poi “L'uomo senza qualità”, di Musil, 1840 pagine... e per fortuna che è incompiuto... lui dice che gli piace perché è ironico e divertente... punti di vista...

ecco, questo mio amico, terribilmente snob, legge molto raramente autori contemporanei, ancora più raramente se sono italiani.


Immaginatevi il terremoto che si è scatenato nei suoi pensieri quando per Natale una nostra amica si è presentata a casa sua, per fargli gli auguri con un regalino: un libro.

Autore: Federico Baccomo – Editore Mondadori, titolo Che cosa c'è da ridere.

Quando l'ho letto, ho pensato a te... - dice lei - vedrai... ti piacerà tantissimo... auguri-auguri, scappo, devo andare di qua, di là... poi ne parliamo”.

Certo, certo, grazie... sei stata carinissima...”.

In realtà il mio amico... “terribilmente snob” stava pensando:

Ma io in questo momento sto leggendo 'Gli ultimi giorni dell'umanità'... il dramma di Karl Kraus,-un'altra polpetta tossica colossale da 800 pagine- come faccio a interromperlo per leggere questo Baccomo?

Farò così... leggo le prime 10 pagine, poi se mi prende vado avanti... se no, leggo 5 pagine in mezzo, e 5 alla fine, così quando ci vediamo avrò qualcosa da dire... basta trovare uno spunto, così parlo un po' di quello, divago... e così me la cavo...”.

Se state pensando che il mio amico, oltre a essere terribilmente snob è anche un po' stronzo... beh... sinceramente non so come darvi torto.

Comunque il mio amico prende il libro, ringrazia tantissimo, saluta l'amica che deve scappare... sospira e guarda un po' meglio la copertina del libro.

Sottotitolo: la storia del giovane comico ebreo che sfidò il nazismo.

Ecco subito tre esche micidiali per prendere all'amo il nostro pesciolone...

Primo: “Il giovane comico”. Il mio amico è molto attento ai meccanismi della comicità, e in particolare ai fini della comicità.

La comicità può essere rivoluzionaria, vedi Dario Fo, o Totò... per esempio,

ma può anche essere qualunquista, cioè reazionaria, e qui gli esempi sono infiniti... dal Bagaglino a Striscia la notizia... scegliete voi.

Secondo: “Ebreo”. Il mio amico per un periodo della sua vita ha vissuto in un paese dell'Est, ora in Europa. Lì ha incontrato l'antisemitismo “naturale”, quello delle persone comuni, quello più pericoloso. Quello dei fanatici è un problema di ordine pubblico... se ne deve occupare la Digos. Ma quello delle persone di buon senso è terribile, perché è quello delle persone che dicono: “... è vero che i nazisti hanno esagerato, ma anche gli ebrei, però...”. Sono quelli che non si occupano di politica... i tiepidi, gli indifferenti... è su di loro che si fonda ogni dittatura.

Terzo: il nazismo. Il mio amico, a settant'anni suonati, ancora non è riuscito a capire (e ci ha studiato su un bel po'...) come un popolo abbia potuto lasciarsi andare a quella isteria collettiva, che ha portato l'umanità in quel baratro che è stata la seconda guerra mondiale.

L'amica che gli ha regalato il libro, sa bene che il mio amico si è occupato a lungo di nazismo e di shoah. Sa che lui ha persino recuperato un testo per burattini scritto da un bambino di 13 anni, ebreo di Praga, a Terezin, e lo ha messo in scena. Si tratta di un testo farsesco, dove Hitler diventa Analfabeta Boccaccia I, i nazisti diventano i Cotechini Brutali, e il capo dell'esercito è il generale Concentrone...


  1. Canzone: Un capretto – Herbert Pagani


Questa era la canzone, (in italiano il testo è di Herbert Pagani), che il mio amico insegnava ai bambini delle elementari, quando andava nelle scuole a parlare della Shoah. Comunque, ecco fatto, il tonno ha abboccato, e parte per la lettura delle famose prime 10 pagine. Subito uno scenario che sembrava uscire da un racconto di Kafka o da “Le botteghe color cannella” di Bruno Schulz. Anzi il protagonista, che si chiama Erich, sembra proprio Bruno Schulz... piccolo, magro, brutto, sfigato, non accettato, né in casa, né a scuola, né per la strada, né da se stesso.

Dopo solo 6 pagine ecco che compare “il tronco spezzato”.

Il tronco spezzato non è un albero di un giardino, o di un parco, che è stato colpito da un fulmine. No, “Il 'tronco', naturalmente non era un tronco.

Era un uomo senza gambe, uno dei tanti mutilati di guerra che si rotolavano per le strade di Berlino, come foglie secche”.

Il mio amico si distrae. Una immagine riaffiora, dalla memoria dei tempi della sua infanzia. Da bambino, viveva in una grande casa, a Bergamo, lungo una via importante. Tutti gli anni sotto casa sua passava il Giro d'Italia.

Andava a chiudere la tappa a San Pellegrino.

La San Pellegrino era lo sponsor principale del Giro.

La via era animata ad ogni ora del giorno.

Proprio davanti a casa sua c'era la fermata del 4, il filobus che partiva dal piazzale del cimitero e arrivava fino a Porta Nuova, in centro.

C'era sempre molta gente che aspettava alla fermata.

Quando il filobus ripartiva, si vedevano bene, un orologiaio, che aveva una insegna con la scritta Wyler Vetta... erano orologi svizzeri... roba di lusso... oggi pare che si trovino solo su internet. Accanto all'orologiaio c'era “Da Dante”... una mescita di vino... un'osteria dove la gente del quartiere, dopo il lavoro, andava a bere vino e a giocare a carte. Giocavano anche alla morra. Spesso si sentiva battere sui tavoli col ritmo del gioco, e ogni tanto urlare parole concitate, incomprensibili, (erano in bergamasco)...

e risate sguaiate, degne di Polifemo o di Pantagruele.

Quando il filobus ripartiva, sul marciapiede, che era piuttosto largo, rimaneva un povero mutilato. Chiedeva l'elemosina.

Le sue gambe erano state tagliate pochi centimetri sotto l'inguine.

Al posto delle cosce, c'erano due pezzi di legno. Sembravano due tamponi di carta assorbente. Le mani le aveva avvolte in due stracci che gli servivano per sollevarsi da terra senza sporcarsi troppo, quando si doveva spostare. Cacche di cane non ce n'erano, ma la gente, soprattutto i vecchi, avevano ancora l'abitudine orrenda di sputare per terra. Per chi non se lo ricorda, nei tram, nei treni, su tutti i mezzi di trasporto, c'era un cartello con scritto “E' severamente vietato sputare per terra”

Aveva una camicia bianca sporchissima e una giacca grigio scuro, tutta unta e lisa.

Al mio amico l'uomo faceva paura, perché ogni tanto, quando qualcuno lo urtava, o gli diceva qualcosa che lo offendeva, tipo “Spostati, non stare in mezzo al marciapiede!” incominciava a urlare come un animale, e tirava anche dei sassi che portava nella tasca della giacca.

Ogni tanto raccoglieva le sue monete e si spostava davanti alla porta dell'osteria; allora venivano un paio di persone; lo agguantavano sotto le ascelle, lo sollevavano e lo portavano dentro. Dopo qualche minuto, il tronco usciva e tornava a chiedere l'elemosina, al suo posto, tra l'orologiaio e la mescita.


    2. Musica: Amarcord – Nino Rota


Quando un libro comincia a suscitare gli Amarcord... il lettore è in trappola!...


Bene... Cosa ci fa “il tronco”, nel romanzo di Federico Baccomo?

Fa quello che deve fare! Cambia la vita al protagonista.

Prima lo prende un po' in giro... (ebbene si: Erich, il protagonista è talmente sfigato che anche il tronco si permette di ridere di lui...) poi gli regala una cartolina... la foto di una bella ragazza nuda! ... a quei tempi non c'era mica internet, coi siti porno gratuiti...

bisogna sapere che quando il mio amico era giovane, i ragazzi si dividevano in due gruppi: da una parte i bamboccioni, i cocchi di mamma, quelli che a scuola si impegnavano, facevano a casa tutti i compiti che c'erano da fare...

dall'altra, c'erano i dritti, i furbi... quelli che arrivavano a scuola 20 minuti prima degli altri, per fare in tempo a copiare i compiti di matematica, di francese, di latino...

quelli che il pomeriggio lo passavano all'oratorio a giocare a calcio... o a ping-pong... quelli che volevano far vedere che loro, anche se avevano solo 13 anni, erano già grandi... sicuramente più grandi degli altri, quindi... primo: dicevano le parolacce... secondo fumavano di nascosto, e se prendevano un brutto voto o una nota, se ne fregavano, facevano le firme false... (e si facevano beccare subito...), e dicevano di fregarsene anche delle botte che ricevevano a casa, anche perché le mamme li difendevano sempre, perché i loro padri “avevano le mani così pesanti”...

poi, a scuola, esibivano, come medaglie al valore, lividi, occhi pesti e piccole ferite.

Ecco, i dritti, avevano una specie di carta di identità... una specie di tessera di iscrizione a un club molto esclusivo... come un green-pass... la tenevano ben nascosta nel portafoglio

(i bamboccioni avevano il borsellino... il portamonete...); i dritti no... loro avevano il “portafoglio”, e lì, ben nascosta ci tenevano... la foto di una donna nuda. Rigorosamente in bianco e nero, o al massimo colorata a mano.

Nei loro incontri, “privatissimi e clandestini” ciascuno dei dritti, esibiva la propria competenza. Si discuteva di forma e dimensioni delle tette (con particolare riferimento a diametro e colorazione delle areole), dei fianchi, degli occhi, delle bocche, .. della maggiore o minore sensualità delle pose... i più scafati, ogni tanto esprimevano giudizi dispregiativi, tipo: “Quella lì, sembra che c'abbia la figa orizzontale...”.

Cosa significasse di preciso non lo sa neanche il mio amico, però ridevano tutti compiaciuti...

Lui, la foto non l'aveva mai avuta, però ogni tanto, grazie a un cugino che faceva parte del club, era stato ammesso a un “raduno fotografico”, e quindi la testimonianza è credibile.

Ecco, Il “tronco”, dopo solo 6 pagine di romanzo, regala al giovane Erich la foto di una donna nuda. La foto della Bella Anita. Se vi interessa, a pagina 26, c'è la descrizione della ragazza bionda, “fotografata nella posa di un fenicottero”...

doveva essere sicuramente una ballerina.

Vi chiederete... ma come fa una cartolina con la foto di una ragazza nuda a cambiare la vita di una persona... è semplice... basta che te ne innamori perdutamente

Andate a pagina 26, dopo solo 15 pagine di romanzo, e troverete che il nostro Erich è già innamorato perso della bella della foto.

Il mio amico sente già arrivare la tragedia.

Ve lo ricordate il film “L'angelo azzurro?”... 1930, diretto da Josef von Sternberg, con la splendida Marlene Dietrich.

Anche il professor Rath, rispettabile insegnante di un ginnasio di provincia, un bamboccione di 60 anni, si innamora di una cantante di varietà.

È indimenticabile la scena in cui, con delicatezza, il povero vecchio, sorridendo, soffia sulla cartolina cercando di sollevare delle piccole piume che coprono le parti intime della Dietrich.


    3. Canzone: Ich bin von kopf bis fuß auf liebe eingestellt – Marlene Dietrich

  • Testo: Io sono fatta per l'amore, dalla testa ai piedi,

              perché il mio mondo è questo e niente altro che questo.

      È quel che devo fare, è la mia natura, posso solo amare, e nient'altro che questo.

    Gli uomini mi svolazzano intorno, come falene intorno a una luce

    e anche se si bruciano non posso farci niente.

Ernest Hemingway disse: “Se la Dietrich non avesse nient'altro che la voce potrebbe spezzarti il cuore. Ma ha anche un corpo stupendo e il volto di una bellezza senza tempo...”... per forza, poi, che il professor Rath dà fuori di matto!


Allora. Nel film la Dietrich, anzi Lola-Lola, lavora in un kabaret...

Erano gli anni 30, C'era stato il crollo di Wall Street, la crisi...

in Germania e in Austria dilagava la super inflazione con la super svalutazione... erano gli anni in cui i soldi non valevano niente, valevano meno della carta su cui erano stampati.

La vita non valeva niente; paradossalmente la gente voleva divertirsi senza freni. Stefan Zweig dice che a quei tempi una ragazza di 16 anni che fosse stata ancora vergine diventava lo zimbello della scuola... dice che, in certi locali si trovavano decine di maschi vestiti da ragazza, e decine di ragazze vestite da maschi... tutti in cerca di qualche avventura veloce... e magari di qualche facile guadagno.

Le ragazze portavano i capelli corti, un caschettino corto, come la Louise Brooks della Lulù di Pabst... una specie di quello che sarà ripreso poi da Liza Minnelli nel Kabaret di Bob Fosse.

Se volete capire l'epoca guardateveli questi film.

La Lulù, di Pabst, è un po' difficile da trovare... (è un film muto del 1929).

In questo film la Brooks interpreta una giovane donna seducente e disinibita, dalla sessualità sfrenata e dalla malizia irresistibile... questa ragazza porta inesorabilmente alla rovina gli uomini e le donne che si innamorano di lei.

Kabaret, invece è del 72;

chi può dimenticare Liza Minnelli, al Kit-Kat Kabaret, mentre canta Money-money

con le calze fumée, tenute su con le giarrettiere nere... con le coulottes, anche quelle nere... giacchino e gilet... neri, sberluccicanti e la bombetta alla Kafka,

con lei c'è l'irripetibile Maestro-di-cerimonie, Joel Grey (il solito ebreo mitteleuropeo... -il suo vero nome è David Katz- che va a Hollywood a vincere l'Oscar). Lui ha la faccia coperta di biacca, gli occhi bistrati, le labbra sottili, rosse come quelle della perfida matrigna di Biancaneve, frak, cappello a cilindro e bastone da passeggio di bamboo.


    4. Money, money – Liza Minnelli

E' il denaro che fa girare il mondo...

Un marco, uno yen, un dollaro o una sterlina
È tutto ciò che fa girare il mondo
Se ti è capitato di essere ricco e hai voglia di divertirti per una notte
Puoi pagare per una scappatella gay
Se ti è capitato di essere ricco e solo e hai bisogno di compagnia
Puoi suonare per chiamare la cameriera
Se ti è capitato di essere ricco e ti accorgi che il tuo amante ti ha lasciato 
E tu soffri e soffri parecchio... calmati un po'.
Chiama un taxi e ripigliati... Puoi portarlo sul tuo yacht da 14 carati! 

Berlino, Vienna, Monaco erano piene di locali... in quelli di Berlino Erich vaga alla ricerca della splendida creatura della fotografia.

E qui al mio amico, gli parte un altro trip. Berlino, anni 30, Kabaret... Karl Valentin! Forse non tutti sanno chi è Karl Valentin. Karl Valentin è uno dei migliori rappresentanti del Kabaret politico e satirico. Lui era un vero cabarettista, un pioniere.

Un vero cabarettista gioca provocatoriamente con pregiudizi, luoghi comuni, buonsenso e politically correct dilagante col suo ditino indice moralmente alzato. Il vero cabarettista mostra come quest'ultimo soffoca il libero pensiero. Il vero cabarettista colpisce magistralmente con la sua lama affilatissima e verbalmente tossica.

Per la verità lui era di Monaco.

A Monaco, nella piazza della festa della birra, c'è la sua statua, anzi, c'è una fontana con la sua statua. Magro, magrissimo, allampanato, con il suo spolverino, con la bombetta o il cilindro e un paio di scarpe spropositatamente enormi.

Qui lui è un mito, come Totò a Napoli.

Nella stessa piazza, ci sono anche le statue dei più famosi tra i suoi collaboratori.

La gente beve la birra nel parco e nella maggior parte dei casi non sa nemmeno chi erano. C'è la Liesl Karlstadt, la sua spalla fissa,

poi c'è Roider Jackl il musicista con la chitarra, quello che componeva stornelli satirici in dialetto bavarese e Weiss Ferdl, cicciottello e anche lui musicista comico... per capirci, una specie di Nino Taranto, quello con la paglietta frastagliata, che cantava “Dove sta Zazà”, “Ciccio formaggio” e anche Agata....


    5. Canzone: Agata – Nino Taranto


Abbiamo scelto di mettere una canzone napoletana, perché la città del Kabaret, in Italia era Napoli.

In Francia a Parigi c'erano i caffè con gli chansonier... Edit Piaf, Maurice Chevalier, Charles Trenet... questi locali erano una eredità della Bella Epoque, ed erano stati dipinti dagli impressionisti... e dai post impressionisti.

Da noi Napoli. C'era il caffè concerto, o meglio il “caffè chantant”... con le sciantose... come Mimì Tirabusciò che faceva la mossa...

I locali più famosi erano il Salone Margherita e il Gambrinus... le artiste erano Anna Fougez, Lina Cavalieri e Concettina Barra... gli artisti... Petroli, Fregoli e l'immenso Raffaele Viviani... dimenticati quasi completamente anche loro.

Mi ricordo che il mio amico, che una volta era un collega... ogni tanto gli partiva l'embolo, e cominciava a fare dei pipponi impossibili alle colleghe di lettere provenienti dalla Campania, colpevoli di non conoscere, e quindi di non far conoscere ai ragazzi un genio come Raffaele Viviani.

E qui, al mio amico gli parte un altro Amarcord. Siamo alla fine degli anni 70.

Una amica gli dice di andare a teatro a vedere uno spettacolo che si chiama Brechtomania. Al teatro Nuovo, in piazza San Babila. Recita tale Leopoldo Mastelloni. Mai sentito. L'amica dice che il fatto che questo Mastelloni sia praticamente sconosciuto è un vero e proprio crimine del sistema teatrale italiano.

(oggi chi si ricorda di Mastelloni sa che fu cacciato dalla RAI per una bestemmia, e che è tornato in TV per partecipare a un reality)

Vabbbè. Il mio amico va. Lo spettacolo è magico.

Leopoldo Mastelloni, la faccia coperta di biacca, truccato come un Pierrot, ma non col camicione bianco come Jean-Gaspard Debureau. No; lui ha la guepière di pizzo nero, calze scure, scarpe col tacco... e canta un po' in tedesco, un po' in francese e un po' in napoletano. Magari comincia con una canzoncina melensa in francese, e a metà cambia il testo e inserisce i testi drammatici di Raffaele Viviani. Un mix esplosivo.

Davanti agli spettatori passa una carrellata di personaggi incredibili... dalle macchiette più sconvenienti e sguaiate , a tutta una serie di personaggi usciti dall'Opera da tre soldi. Canta la canzone di Polly, la ballata della schiavitù sessuale, La canzone di Jenny delle spelonche. Si passa continuamente dal divertimento che ti fa scoppiar dal ridere a momenti struggenti che fanno salire le lacrime agli occhi.

Il mio amico va a rivedere lo spettacolo per le due sere successive.

Tra tutti i personaggi che colpiscono il mio amico ce n'è uno straordinario.


6. Canzone: So' bammenella 'e copp' 'e quartiere – Raffaele Viviani


Sono 'Bambinella' e vengo dai Quartieri.

Quando, di nascosto, per i vicoli, di sera, sul pianino mi metto a ballare...

faccio parlare tutta Napoli

Viene la Polizia? ... In un attimo me la squaglio.

E, se mi catturano, subito mi lasciano libera!

In questura, se a volte ci vado, è per formalità...

Con le buone maniere, faccio cadere il brigadiere...

Lo prendo e gli faccio il lavoretto: gli dico che lo tengo qui (sul cuore).

L'allocco se la beve, gli gira la testa e abbocca...

ma, non appena mi tocca, mi deve lasciare andar via.


Ho un bel ragazzo vicino che mi fa rispettare...

e appena dopo aver fatto l'amore, deve saper litigare.

Tutte le sere, quello mi ammazza di botte!

Mi vuole un bene sfrenato, ma non lo dà a vedere.

Per me, l'essenziale, E' quando mi bacia in maniera carnale.

Mi fa dimenticare tutto il male che mi ha fatto passare!


Torniamo a Monaco.

Qui Karl Valentin si esibiva alla “Catacomba”, o alla “Spelonca del cavaliere”

La città di Monaco a Karl Valentin gli ha dedicato un museo. Il biglietto costava 99 centesimi di marco, e ci tenevano a darti il centesimino di resto.

Il mio amico c'è stato. L'ambiente è piccolo, ma pieno zeppo di tutte le cose strambe che lui aveva inventato per i suoi numeri: strumenti musicali improbabili, vestiti da pompiere, da aviatore, da soldato prussiano, vestiti per i nani, ballerine, spose... sedie con le gambe annodate, un triciclo esilissimo, e un aereo da indossare...

Su un gradino di una scala che porta al primo piano c'è un portafoglio. Tutti i boccaloni come il mio amico, si chinano per raccoglierlo, pensando che sia caduto a qualche visitatore, per poi accorgersi che in realtà, il portafoglio è inchiodato al gradino, e lui è un pirla. Dappertutto fotografie di tutti gli spettacoli.

Tra le tante ce n'è una famosa. È una foto scattata in un locale durante una octoberfest. Si vede Valentin con la sua orchestrina.

Al clarinetto c'è un Brecht giovanissimo. È il Breht che ha rischiato di essere espulso dalla scuola per avere scritto nel tema “Dulce et decorun est, pro patria mori” qualcosa del tipo “Andate avanti voi!”

Cosa ci fa, lì?... lo spiega lui.


Io nacqui figlio di gente benestante. I miei genitori addosso mi legarono un colletto,

mi allevarono nell'abitudine di essere servito, e mi istruirono nell'arte del comando.

Però, quando fui adulto e mi guardai intorno

non mi piacque la gente della mia classe, né dare ordini, né essere servito

e io lasciai la mia classe, e feci lega con la gente del basso ceto.


Pagliacci, nani, ballerine, prostitute, protettori, contrabbandieri, ricettatori... tutta gente molto più interessane dei piccolo borghesi, già antisemiti, e pronti a diventare nazisti. È tutta quella gente che ritroveremo poi nella famosa “Opera da 3 soldi”... quella che ha fatto la fortuna del Piccolo e di Giorgio Strehler.


7. Canzone: Die Moritat von Mackie Messer - MILVA


È lì che Brecht, nella patria di Goethe e di Shiller... impara la prima regola dello spettacolo... la regola più importante:

Primo: non rompere i coglioni al pubblico...

perché se il pubblico si rompe i coglioni, non viene più a teatro,

e se non viene più a teatro, non paga più il biglietto,

e se non paga più il biglietto, tu non mangi...

quindi... vedi di non rompere i coglioni.

Tra i vari modi di non rompere i coglioni agli spettatori... ce n'è uno molto efficace: farli ridere. E come si fa a farli ridere?


In quel periodo c'è un tipo strano, tra Vienna, Monaco, Berlino... uno che scrive un giornale tutto da solo... era un settimanale, si chiamava LA FIACCOLA.

Lui si chiamava Karl Kraus. Le sue battute suscitavano l'ilarità al “Simplicissimus”

Erano battute spietate... satira politica e umorismo nero.

Per esempio... contro la politica,

ben venga il caos, visto che l'ordine... proprio non ha funzionato!

contro i giornalisti...

Il giornalista è uno che dopo... sapeva tutto prima...

contro i politici e i giornalisti insieme...

Come cominciano le guerre? I politici raccontano balle ai giornalisti,

e poi credono a quello che leggono sui giornali.

contro i suoi concittadini:

Le conversazioni dal parrucchiere sono la prova inconfutabile

che certe teste... servono solo per sostenere i capelli...

contro certe mode...

La psicanalisi è quella malattia mentale che ritiene di essere la terapia.


Piccole battute argute e spietate. Le trovate nel suo libro “Detti e contraddetti”.

Leggendolo si scoprono cose molto divertenti.

Per esempio, ai giorni nostri, ci sono persone tutte d'un pezzo, che non si piegano davanti alla dittatura sanitaria. Noi siamo così consapevoli dei nostri diritti,

e siamo così orgogliosi e sprovveduti... che crediamo di avere inventato i no-vax...

100 anni fa, Karl Kraus scriveva:

… a Vienna non è scoppiato il vaiolo, ma un'epidemia di vaccino.

Ora, tutti sanno valutare il valore della profilassi, ma la prudenza di alcuni, è un po' esagerata... si prendono il vaiolo... per proteggersi dal vaccino!


Ma, ma, ma... il suo bersaglio preferito erano le donne.

Delle due, l'una. O a quell'epoca le donne erano di una inconsistenza assoluta,

(cosa non del tutto da escludere, visti i sistemi educativi dell'epoca)

oppure lui era un maschilista di mmmerda, e lo erano pure i viennesi che ridevano!

I diritti delle donne, sono doveri degli uomini.


e così, lui la costrinse a fare quello che voleva lei


Il seduttore che si vanta di iniziare le donne ai misteri dell'amore

è come il turista che arriva alla stazione

e si offre di mostrare le bellezze della città alla guida locale


Al mondo, non c'è persona più infelice del feticista.

Lui desidera solo la scarpina, di una donna,

e invece deve accontentarsi di una donna intera...


Una donna deve avere un aspetto così intelligente...

che la sua stupidità, si presenti poi... come una gradevole sorpresa.


8. Canzone: Donne - Zucchero


Il mio amico pensa che sia a causa di questa filosofia di fondo, che ancora oggi nei paesi dell'est si sentono barzellette agghiaccianti.

Ve ne racconto, un paio non per farvi ridere, ma per farvi... “capire”.


La prima viene dall'Ungheria. Il mio amico l'ha sentita raccontare da un preside, alle professoresse di una scuola, per la festa della donna. Dunque...

Ci sono tre amiche che sono amiche fin dai tempi della scuola, e ogni giovedì si ritrovano in un caffè per chiacchierare un po' delle loro vite, dei loro progetti.

Un giorno una sbotta e comincia a raccontare di suo marito...

che lei è stufa che lui ogni giorno pretende una camicia pulita, poi quando arriva a casa a mezzo giorno se la leva e ne vuole un'altra... ogni giorno 2 camicie, e a lei tocca lavarle... e la loro casa è così piccola che loro non hanno neanche la lavatrice, e lei deve lavare tutto a mano.

La seconda, interviene e racconta che per lei fare il bucato non è un grave problema... loro la lavatrice ce l'hanno... quello che le dà fastidio, a lei, è stirare... lì, in piedi, un sacco di tempo... e poi... un mal di schiena...

La terza dice: a me non dà fastidio lavare e stirare... per quello mio marito non è tanto esigente... invece... è sul mangiare che proprio non lo sopporto. Quello che cucino non va mai bene... una volta è insipido, una volta è troppo salato, una volta è troppo cotto... e comunque, anche quando non c'è niente da dire... “sua mamma, lo faceva meglio!”.

La prima lancia l'idea; “Ragazze, dobbiamo ribellarci! Da oggi io smetto di lavargli le camicie... tu smetti di stirargliele, e tu smetti di cucinare... voglio proprio vedere cosa succede!”

Se ne vanno, e si danno appuntamento per la settimana successiva, come al solito.

Quando si trovano, la prima arriva trionfante...

Ragazze, vittoria! Ho smesso di lavare le camicie di mio marito.

Il primo giorno non ho visto niente... il secondo giorno non ho visto niente...

il terzo giorno... ho visto mio marito che ha preso le sue camicie, il sapone, la bacinella, e ha cominciato a lavarsi le sue camicie...

Brava! Ben fatto!...

La seconda... “... e io ho smesso di stirargliele...

Il primo giorno non ho visto niente... il secondo giorno non ho visto niente...

il terzo giorno... ho visto mio marito che ha preso le sue camicie, il ferro e l'asse da stiro, e ha cominciato a stirarsi le sue camicie...

Brava! Ben fatto!

Tocca alla terza... “... e io ho smesso di cucinare...

Il primo giorno non ho visto niente... il secondo giorno non ho visto niente...

il terzo giorno... ho ricominciato a vedere qualcosa dall'occhio destro...

Così si ride nel paese di Orban...


  • canzone: Jenny dei pirati - Milva


Invece a Praga si ride così...

Lui e lei si incontrano, si piacciono, decidono di sposarsi.

Problema.

Lei ha 20 anni, lui ne ha 50.

Intervengono gli amici, soprattutto quelli di lui.

Ma cosa fai? Ma perché te la devi sposare? Scopatela, e finché dura... dura...”

No, no... non è così... noi ci amiamo davvero, vogliamo stare insieme per sempre...”

D'accordo... certo, adesso tu hai 50 anni, e lei ne ha 20, per ora le cose possono andare bene, ma pensa... tra 10 anni, tu ne avrai 60 e lei 30...”

No, no... non è così... è tutta la vita che io cercavo una donna come lei, e finalmente l'ho trovata...”

D'accordo... ma facciamo passare altri 10 anni... pensa,,, tu ne avrai 70, e lei 40...”

Ma non sarà un problema... perché il vero amore...”

E va bene, ma lascia passare altri 10 anni... pensa... quando tu ne avrai 80... 80 anni e lei ne avrà 50... e allora?

Eh? Cosa farai allora? TE NE ANDRAI IN GIRO CON UNA VECCHIA!”


    8. Canzone: Respect – Aretha Franklin


Brecht impara bene alla scuola di Karl Valentin e di Karl Kraus.

Impara che fare kabaret, non è, fare gli stupidini.

Per fare Kabaret bisogna essere disperati, spietati, cattivi, scorretti.

Nel libro di Federico Baccamo ci sono frasi... che il mio amico legge con grande piacere. Finalmente qualcuno che parla con chiarezza e che dice cose sensate sul significato del riso.

  • Far ridere è un veleno!

  • Il riso ti mette davanti la tua anima nuda.

  • È l'umiliazione a muovere ragionamenti scuri...

  • La libertà di un comico si scontra con quella del suo pubblico

  • Che cosa c'era da ridere, in tutto quello che gli stava intorno? Farsi la domanda, era venire al mondo. Darsi la risposta, era trovarci un senso.

  • In quel mondo, non c'era, e non c'era mai stato qualcosa da ridere.

Il riso non può essere il gioco di parole facile e senza senso di certi comici di oggi.

Il riso non può essere il giochino di creare personaggi ridicoli e grotteschi, da additare al ludibrio del pubblico... personaggi (il più delle volte meridionali) che parlano un italiano stentato, che usano parole per assonanza, stravolgendo il significato di quello che vorrebbero dire. Un esempio per tutti; una che al mio amico proprio non gli va giù: la sconsolata di Anna Maria Barbera.

È la comicità delle imitazioni razziste che sottintendono: “ma non saranno mica italiani, questi terroni ignoranti?”... e la Lega ringrazia. Il mio amico, quando organizzava gli spettacoli degli studenti, doveva sempre lottare con ragazzi e ragazze, che volevano fare le imitazioni dei professori. Amplificare il tik della professoressa di inglese, rendere grottesco l'abbigliamento di quella di matematica e via dicendo...

In queste parodie, c'è sempre anche una componente di vigliaccheria.

Io devo subire tutto l'anno la tua autorità... mi devo piegare davanti al tuo potere? Ebbene, oggi io mi vendico... ti metto in ridicolo davanti a tutti, e tu sentirai come tutti ridono di te”.

Il mio amico, quando i ragazzi gli proponevano qualche imitazione, gli faceva vedere le scene di Amarcord, in cui Fellini ha fatto i ritrattini grotteschi dei suoi professori; poi chiedeva “Sapreste fare di meglio?”. Nella maggior parte dei casi la cosa finiva lì.


In una situazione del genere si trova anche il protagonista del romanzo di Baccamo.

Il nazista che si diverte tanto agli spettacoli di Erich, prepara uno sketch. Si veste da donna e fa l'imitazione di una “iena” del campo di concentramento.

Il nazista si diverte molto... però non può andare lui sul palco... ne va della sua dignità... lui è il nazista “cattivo-cattivo-cattivo”, non può mettersi a fare il pagliaccio. Soluzione: Erich si deve imparare la parte... e la fa lui.

Erich esita. Quello che gli chiede il nazista è banale, volgare... obbedire a quell'ordine significa rinnegare se stesso, tutta la sua concezione del Comico, tutta la sua filosofia di vita. Disobbedire a quel desiderio, a quell'ordine, significa rischiare la vita. Nel romanzo c'è qualche pagina in cui Erich... riflette, dubita come Amleto...

fare l'imitazione o non fare l'imitazione?... questo è il problema”. Il mio amico legge quelle pagine tutte d'un fiato; è lì con Erich... completamente proiettato dentro la scena. Parla con Erick.

Non puoi mollare adesso! No... proprio adesso, No! Mandalo affanculo, fregalo, insegnagli cos'è il mestiere del comico... dagli una lezione di dignità.... non piegarti... non abbassarti al suo livello...”. Il mio amico è così pirla che gli viene persino da piangere...


La verità è che prima di tutto il comico deve saper ridere di se stesso...

Molière ce l'ha insegnato per primo, e poi Brecht, e Musil, e Kafka, e Beckett fino a Thomas Bernhard.

Il vero comico, ridendo di sé, ride del mondo che lo circonda.

Pensiamo a Brecht che suonava il clarinetto nell'orchestrina di Karl Valentin.

Le sue battute erano fulminanti:

Durante i miei nove anni alle scuole superiori

non sono riuscito a insegnare niente ai miei professori

Ci dice tutto della scuola all'inizio del 900.

E quando poi, negli anni di Hitler è costretto a fuggire in America... sentite come descrive il suo soggiorno a Hollywood...

Ogni mattina, per guadagnarmi il pane, vado al mercato dove si comprano menzogne... e pieno di speranza, mi metto in fila tra i venditori.

Nell'America, madre e matrigna di ogni democrazia... ecco Hollywood, “il mercato dove si comprano (e si vendono) menzogne...

e lui, il povero Bertolt, si mette lì, col cappello in mano, cercando di riuscire ad allungare forchetta e coltello per riuscire a tagliare almeno una fettina di arrosto.


      1. Via col vento – colonna sonora


Nella Madre Courage, uno dei testi sacri di Brecht, troviamo questo brano esemplare.

Siamo nella guerra dei 30 anni. La Courage è una vivandiera al seguito degli eserciti in guerra. La guerra è il suo affare. Sentite cosa dice il cuoco:


Ce n’è sempre di quelli che vanno in giro dicendo che una volta o l’altra la guerra finirà”.

Non è affatto detto che la guerra, una volta o l’altra debba finire.

Naturalmente può succedere che ci sia una piccola pausa.

Può darsi che la guerra debba ripigliar fiato… può perfino succedere una disgrazia...

Si sa… non c’è niente di perfetto, su questa terra.

Una guerra perfetta, probabilmente non esisterà mai.

Chissà… una svista, ed ecco la fregatura!

E dopo vai tu a rimetterla in carreggiata, la guerra!

Ma nei momenti difficili le verranno in soccorso gli imperatori, i re… il papa.

Lo scrivano ribatte: Ma non si può vivere senza pace in eterno

Interviene il cappellano: Io vorrei dire che, secondo me, la pace esiste anche in guerra.

Perché la guerra va incontro a tutte le esigenze,dell'uomo.

Per esempio, in guerra puoi cacare come nella pace più profonda,

e fra una battaglia e l’altra... ti bevi una bella birra,

e persino in marcia puoi fare un pisolino appoggiato al gomito, sul ciglio della strada. Quando si va all’assalto non puoi giocare a carte, ma non puoi neanche quando lavori il campo in tempo di pace.

Durante una battaglia ti possono portar via una gamba con una cannonata; e da principio strepiti, come se fosse qualcosa di importante, ma poi ti danno un bicchiere di grappa, e tu ti calmi, e alla fine torni a saltabeccare tranquillo di qua e di là.

E che cosa ti impedisce di aumentare la tua specie in mezzo a tutto questo macello, dietro un granaio o in qualche altro posto? Non possono mica impedirtelo, e così la guerra avrà i tuoi rampolli e potrà continuare con loro. No, no, per carità! Perché mai dovrebbe smettere?”


Questo è Brecht. È geniale, facendo finta di lodare la guerra, fa un ritratto del suo volto mostruoso.

Forse è per questo che man mano ha finito per scomparire dai teatri di tutta Italia.

Ma il mio amico si ricorda ancora bene di lui, e di Karl Valentin, di Karl Kraus, di Raffaele Viviani e di tutti quegli altri artisti meravigliosi che il libro di Roberto Baccamo ha fatto ritornare a galla, nella sua memoria.

Per cui il mio amico manda a Roberto un sentito ringraziamento, e a voi, vi invita calorosamente a leggervi il libro, se non l'avete ancora letto.

Grazie della vostra attenzione



  1. Un capretto – Herbert Pagani

  2. Amarcord – Nino Rota

  3. Ich bin von kopf bis fuß auf liebe eingestellt – Marlene Dietrich

  4. Money, money – Liza Minnelli

  5. Agata – Nino Taranto

  6. So' bammenella 'e gopp' 'e quartiere – Leopoldo Mastelloni

  7. Die Moritat von Mackie Messer – Milva

  8. Donne – Zucchero

  9. Jenni dei pirati- Milva

  10. Respect – Aretha Franklin

  11. Via col vento – colonna sonora

  12. Hymne a l'amour – Edith Piaf