La
leggenda dell’Isola del Sacro Diamante
Luigi
Alcide Fusani
Corso
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La leggenda dell’Isola del Sacro Diamante by Luigi Alcide Fusani is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License
Gennaio-Aprile
2014
Questa leggenda è stata tramandata in modo avventuroso; non si sa con esattezza quando i fatti siano accaduti, né quanto ci sia di vero; alcuni sostengono che si tratti di una pura invenzione; io stesso non sono convinto della esattezza di tutti i dettagli, ma questo è quello che sono riuscito a ricostruire. Alcune persone, invece, sono convinte che, più di una leggenda, si tratti di una profezia.
*
C’era una
volta, in mezzo al mare, un’Isola.
Il suo
clima era fresco e ventilato, in estate, temperato in inverno.
Il suo
patrimonio artistico era ricco; gli abitanti cordiali; la cucina sana e
gradevole; sull’Isola si trovavano persino miniere di pietre dure, di metalli preziosi
ed elementi rari.
L’Isola
era famosa in tutto il mondo per queste sue qualità, e quindi, era meta molto
ambita e frequentata da viaggiatori e turisti che provenivano dalle terre più
lontane e ogni giorno vi sbarcavano a decine, anzi, a centinaia.
Le sue
ricchezze erano così ambite che una volta, l’Isola era stata invasa dagli
abitanti di una terra lontana, che l’avevano sottomessa, e poi dominata senza
troppa fatica, anche perché, sull’Isola avevano trovato degli alleati, parecchi
alleati: dei collaborazionisti.
Per un
po’ gli stranieri riuscirono a controllare l’Isola senza troppi problemi, ma
poi, davanti alle ruberie, alle ingiustizie e ai soprusi molti cominciarono a
ribellarsi, e così scoppiò una guerra: una guerra per cacciare gli invasori;
una guerra di liberazione; una guerra che fu anche una guerra civile.
Alla
fine gli invasori e i collaborazionisti furono sconfitti; gli invasori dovettero
tornare al loro paese; i collaborazionisti, o meglio, i loro capi furono
mandati in esilio.
Quelli
rimasti sull’Isola, invece, furono quasi tutti perdonati.
Il
capo supremo dei collaborazionisti era un pugile; era stato campione della sua
categoria, ma solo nell’Isola. Era vissuto nel culto della forza ed era
convinto che i ‘forti’ dovessero dominare il mondo… anzi, dovessero ‘comandare’.
Il suo nome era Massimo Rubaloro; tozzo, grossolano, pelato e anche un po’
volgare, era convinto di essere molto affascinante e dotato di grande
personalità.
Dopo
avere concluso la carriera sportiva e prima di cominciare quella politica si
era dedicato al giornalismo; aveva fondato un giornale sportivo, “La forza”,
che si differenziava da quelli esistenti per il tono decisamente maschio e
virile.
Morì,
poco dopo la fine di quella guerra fratricida, in esilio, in un paese del nord dove
si trovava con tutta la sua famiglia e i suoi fedelissimi.
Un po’
di tempo dopo, quando quasi tutti avevano ormai dimenticato l’invasione e la
guerra, l’ostracismo nei confronti della famiglia del pugile fu revocato. Era
brava gente… gente buona, di corta memoria, quella che abitava sull’Isola.
Fu
allora che il figlio del pugile, Vittorio Augusto, decise di ritornare; noi lo
chiameremo ‘lo zoppo’; bisogna sapere che, da giovane, egli era appassionato di
corse in auto, a cui partecipava come pilota; in un incidente in cui era stato
coinvolto durante un rally, riportò gravi ferite, e nonostante tutte le cure
ricevute nelle migliori cliniche europee, la gamba destra non riacquistò mai
tutte le funzionalità che aveva prima.
Lo
zoppo non tornò da solo; con lui c’erano tre fedelissimi: Salvatore Terna, o
meglio, Totò la sirena, così detto perché abilissimo nel tessere relazioni e
magnifico nell’ammaliare i suoi interlocutori; poi Luigi Maria Nasata, detto il
‘professore’, esperto dei meccanismi di persuasione e di induzione di desideri
nella mente delle persone comuni, e questo faceva di lui un ottimo manipolatore
delle masse; infine, Walter Wagner Wilfrieder, chimico farmaceutico, detto con
simpatia mister doppia-vu. Si trattava dei tre complici, con cui egli voleva
riprendere il potere sull’Isola.
È un
po’ difficile raccontare questa storia. I protagonisti sono personaggi di poca
profondità sia di pensiero che di sentire. I loro interessi? Prima di tutto le
donne, o meglio, più che le donne… (scusate… qui dovrei scrivere una parola
sconveniente, e io proprio non me la sento, non sono abituato, per cui scriverò
-qui, ma anche più avanti- termini che possono usare anche i bambini, in modo
che voi possiate capire ugualmente, ma senza che io debba usare quelle parole
basse che troppo spesso infarcivano il duro linguaggio dello zoppo e dei suoi
amici… per cui scriverò…)
I loro
interessi? Prima di tutto le donne, o meglio, più che le donne… la patatina… la
farfallina… la passerina (capito?); poi i divertimenti: le macchine, la barca,
lo sci, un certo tipo di abbigliamento, le località turistiche esclusive, i
film d’azione e quelli divertenti, meglio se un po’ sgangherati.
Per
avere tutto questo sono necessari molti soldi… e quindi ecco la necessità prima:
averne a disposizione molti, di soldi.
Perché
raccontare questa storia, allora? Perché questi personaggi riuscirono almeno
per un certo periodo, nella loro impresa… quella di accumulare, appunto, molti
soldi. Come fu possibile?
Quando
tornarono sull’Isola, i quattro, si istallarono con tutto il codazzo di
cortigiani, cortigiane e nostalgici, a villa Adalgisa, un edificio a tre piani,
ereditato dallo zoppo alla morte di una zia; la zia Corinna, sorella della
madre. Questa zia aveva sempre avuto, con la famiglia Rubaloro, un rapporto… possiamo
dire, conflittuale. Pare, addirittura, che avesse militato nella resistenza e
avesse fatto parte del Comitato di Liberazione Isolano.
Nel
momento in cui si fanno i bilanci della propria vita, non essendosi sposata,
non avendo avuto figli, non ritenendo nessuno particolarmente degno di ricevere
la sua eredità, neanche lo Stato o la Chiesa, accettò che il suo erede fosse il
nipote: lo zoppo. Tanto soldi non ce n’era un granché; tutti erano stati spesi
per acquistare opere d’arte: principalmente quadri di artisti importanti del
900.
Nel
timore che il nipote si vendesse tutto, aveva messo nel testamento, una
clausola molto irritante: tutto, nella villa (tutto: struttura, arredi, decori,
opere d’arte… persino le piante), tutto avrebbe dovuto restare così come era
stato disposto dalla zia. Nulla doveva essere nemmeno spostato; in particolare
i quadri che lei stessa aveva scelto e accostato con sapienza.
Il
valore dell’eredità, comunque era tale che il nipote, non essendo nelle
condizioni di fare altro, accettò.
La
villa era circondata da un parco che terminava su una spiaggia di sabbia
bianca, finissima.
Lo
zoppo tenne per sé l’ultimo piano, dove il suo studio si apriva su una terrazza
dalla quale si potevano contemplare il parco, la spiaggia, il mare, e dalla
parte opposta, il profilo della capitale.
Una sistemazione
invidiabile; unico piccolo fastidio… nello studio, sulla parete davanti alla
sua scrivania… inamovibile, come tutto il resto, un quadro. Gli sembrava un
dispetto della zia, e forse lo era. L’autore, un famoso pittore dei Paesi
Bassi, aveva ritratto una bella donna, in lingerie di pizzo nero, quasi nuda,
collocata contro un cielo celeste, popolato di angioletti, ma non luminoso; la
donna teneva al guinzaglio un maiale.
Lo
zoppo era sicuro che la zia avesse piazzato quel quadro lì, davanti alla sua
scrivania come se avesse voluto censurare la propensione prima di suo padre,
poi sua, a frequentare e a intrattenere rapporti intimi, con giovani donne… a
volte, troppo giovani. La presenza del quadro lo irritava, ed è per questo che,
appena possibile, lo zoppo usciva sulla terrazza.
Fu
proprio sulla terrazza di fronte allo studio, che, una delle prime sere, dopo
una sontuosa cena servita nel parco, lo zoppo e i suoi tre amici, dopo aver
lasciato gli ospiti a festeggiare, si ritirarono e stapparono una bottiglia di
champagne.
Amici,
parassiti e ragazze di cui non sapevano nemmeno il nome, rimasero a far festa
nel parco. Per la verità i nomi delle ragazze, li sapevano, ma li confondevano:
Carlotta, Aurora, Giada, Krizia, Azzurra, Allegra… tutte uguali tra di loro,
tutte uguali alla Barbie… magre, alte, capelli lunghi stirati, minigonne, tacco
dodici … tutte sorridenti, tutte alloggiate in un residence vicino alla villa.
Ad alcune di loro era stato promesso un lavoro alla televisione, ad altre una
carriera da modella o da cantante, ad altre ancora un marito calciatore;
insomma: fama, successo e vita comoda.
Naturalmente
i quattro, avevano mogli, figli, amanti… erano separati e le loro ex mogli
vivevano a Parigi, a Los Angeles, a Berlino… per la verità erano in tre, in
questa situazione, perché il chimico… mister doppia-vu… era estremamente schivo
e riservato; nulla si sapeva né del suo presente, né del suo passato. Qualcuno
sosteneva che gli piacessero gli uomini; altri che fosse stato abusato da
piccolo; altri ancora che fosse stato abbandonato dalla madre quando questa
aveva deciso di arruolarsi per servire il suo paese, negli apparati repressivi della polizia
politica. L’unica cosa che si sapeva con certezza, era che inviava regolarmente
dei soldi a un orfanatrofio di Bucarest.
Nonostante
le ragazze e le feste, e tutto il resto, non c’era allegria né felicità tra i
quattro amici; solo rancore e spirito di rivincita, e quando alzarono i calici
lo zoppo mormorò: “Da qui, ora, partirà la nostra rivincita”. Nessuno
sorrideva. Tutti brindarono in silenzio.
Subito,
nei primi giorni dall’arrivo nell’Isola, alcuni giornalisti, sotto-sotto un po’
nostalgici, chiesero di poter intervistare lo zoppo, e così, ben presto, tutti
i cittadini poterono leggere un racconto in cui si parlava di uno strano
miracolo accaduto proprio a lui: il figlio del pugile.
Egli raccontò
che, appena accaduto il famoso incidente, ferito gravemente, aveva perso conoscenza;
in quella drammatica situazione, gli apparve il Sacro Sguardo che, sorridendo,
gli promise di salvarlo, se egli avesse accettato di compiere una missione:
tornare sull’Isola e costruire un grande Santuario dove poter essere venerato.
E
così, lo zoppo, inondato di luce meravigliosa e soprannaturale, aveva
accettato; a quel punto la divina apparizione gli aveva consegnato un prezioso diamante
da incastonare al centro della corona d’oro da porre sul capo della grande
statua, che avrebbe sovrastato l’altare maggiore.
Chi
fosse giunto al Santuario, si fosse confessato, e avesse compiuto le opportune
devozioni, avrebbe ricevuto generose indulgenze.
Lo
zoppo aveva confidato tutto ciò ad alcune eminenze della Chiesa, che, in un
primo momento avevano manifestato forti perplessità; poi era intervenuto Totò
la sirena… Salvatore Terna, che grazie ad argomenti molto convincenti, aveva
reso credibile tutta la vicenda, e così, le gerarchie della chiesa locale avevano
garantito il loro appoggio a questa magnifica impresa.
In
realtà, la pietra preziosa proveniva da un sacchetto di diamanti di cui alcuni
avventurieri e contrabbandieri si erano impossessati in Africa; questi
individui si erano poi ammazzati e derubati a vicenda, fino a che, l’ultimo
sopravvissuto non era arrivato in Europa con la speranza di vendere le pietre e
di arricchirsi. Qui, a sua volta, era stato ucciso da avidi ricettatori, i
quali pure erano stati derubati, e così via finché le pietre non erano arrivate
al pugile in esilio, che le aveva utilizzate per condurre un tenore di vita ben
al di sopra delle proprie risorse, e infine, nel momento della morte, le aveva
lasciate al figlio, che pure le aveva usate per condurre un tenore di vita ben al
di sopra delle proprie risorse.
Ora,
che di pietre ne era rimasta una sola, la più grossa, la più difficile da
piazzare sul mercato, lo zoppo si era inventato questa storia, per cercare di
fare il colpo grosso e di vivere alla grande il resto della sua vita. Su un
miracolo, si può costruire una rendita non da poco!
Il piano
era stato concepito dal “professor” Nasata, che sapeva benissimo quanto larghi
strati della popolazione abbiano un profondo bisogno di sognare, cioè, di
essere raggirati e di credere alle favole più inverosimili pur di sfuggire alla
banalità, e in certi casi, allo squallore della vita quotidiana. “L’uomo è un
essere che può e vuole lasciarsi ingannare. L’uomo è un sognatore desiderante…”,
diceva il ‘professore’, “e in cambio di un sogno è disposto a buttare a mare
qualsiasi realtà… soprattutto quando questo sogno lo solleva dalla
responsabilità di vivere, di scegliere e di essere libero”.
Fu
così che, ottenuti molto rapidamente permessi e aiuti, cominciò la costruzione del
grande Santuario, con la grande torre in cui erano collocati gli uffici del
centro direzionale… del Santuario, da cui si vedeva e si era visti in tutta l’Isola.
La
costruzione fu terminata in tempi incredibilmente rapidi, e fu aperta al culto
con una cerimonia memorabile a cui parteciparono tutte le personalità più
importanti dei vertici della Chiesa dell’Isola.
L’inquietante
immagine del Sacro Sguardo dominava tutta la chiesa; un Cristo effeminato e
sorridente, scolpito in tempi rapidissimi, da alcuni abilissimi artigiani dei
laboratori di Carrara, in marmo bianco, in un pezzo unico, alto dodici metri.
Non si può dire che fosse un’opera d’arte, ma era molto suggestivo, con le sue braccia
protese in avanti e sul capo la corona dorata, con al centro il Sacro Diamante.
Naturalmente,
quello che fu incastonato nella corona, non era il vero Diamante, ma una sua
copia in cristallo; data la distanza, nessuno se ne accorse, e il vero Diamante
fu portato segretamente al sicuro, in una banca di fiducia, in un paese di
fiducia.
Chi
arrivava al Santuario era colpito dalla grandezza e dall’audacia architettonica
della costruzione, e rimaneva come stordito; alcuni visitatori addirittura,
erano turbati da visioni mistiche; in realtà, dei bruciatori posti in posizioni
strategiche, emanavano profumi drogati (anche questa era stata un’idea del ‘professore’,
realizzata abilmente da mister doppia-vu).
Alcuni
fedeli sostenevano che il Cristo, a un certo punto fosse sceso dal suo
piedistallo e con un morbido volo fosse arrivato fino a loro per abbracciarli e
baciarli con dolcezza; altri sostenevano che il Sacro Diamante a un certo punto
avesse cominciato a ruotare su se stesso e a brillare di luce propria, sempre
più intensa, fino a diventare luminoso come un sole, come a voler benedire la
folla dei presenti.
Pare
addirittura che qualcuno lo avesse visto anche denudarsi del tutto e iniziare a
cantare melodie sublimi, ma in proposito le testimonianze sono sempre state
piuttosto confuse.
Ben
presto l’immagine del Sacro Sguardo diventò un’icona che la gente si recava ad
acquistare con amore e devozione al Santuario; la si poteva trovare di ogni
dimensione, dalle più piccole per il comodino o per la scrivania, alle più
grosse da mettere sopra il caminetto o in giardino; le sue varianti andavano
dalle più economiche, in plastica dorata o in gesso, a quelle più preziose in
marmo o in bronzo.
Nelle
gioiellerie se ne potevano trovare in argento o in oro con autentici brillanti
nella corona.
Qualcuno,
grazie al Sacro Sguardo cominciava a guadagnare bene.
Per tutto
il marketing associato al Santuario, venne elaborato anche un marchio. All’inizio,
ci fu un certo imbarazzo: le iniziali di Sacro Sguardo… esse-esse… dette così, facevano
venire in mente riferimenti politici improponibili… ma la fantasia dei ‘creativi’
riesce a ribaltare qualsiasi situazione; infatti, cosa inventarono… la prima
esse maiuscola, venne lasciata così com’è; la seconda, venne rovesciata e
accostata alla prima: insieme, formavano un cuore; cosa meglio di un cuore per
rappresentare un Sacro Amore?
Per
svolgere le funzioni all’interno del Santuario, fu autorizzato un nuovo ordine
monastico: anche questa fu un’idea del ‘professore’, che non a caso venne
nominato Rettore dell’Ordine.
L’Ordine
fu chiamato dei “Puri Trasparenti Luminosi e Canterini”: ‘puri trasparenti
luminosi’, perché tali erano le proprietà del Sacro Diamante che ispirava la
loro azione; canterini perché, non sapevano bene cosa dire, ma volevano…
dovevano… dirlo a tutto il mondo... e quindi formulavano frasi come “convertite
il vostro cuore alla purezza”, o “lasciate che il vostro occhio veda la luce”,
e le modulavano con vocalizzi interminabili, ipnotici e orientaleggianti, (che loro
chiamavano ‘il nuovo canto gregoriano’), accompagnati da percussioni primitive
come: martelletti battuti su assi di legno, campanellini urtati tra di loro,
pietre dure fatte rotolare su superfici metalliche dalla forma concava.
Per
far pervenire il messaggio del Sacro Sguardo in ogni parte del mondo, fu
istituita una emittente radiofonica dedicata solo ed esclusivamente alle
trasmissioni delle cerimonie e dei riti che si tenevano al Santuario: la radio
della Sacra Voce.
Il Santuario
era un’azienda che funzionava ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su
sette, estate inverno, autunno primavera. Il fatturato del turismo sull’Isola,
già considerevole prima dell’arrivo dello zoppo e dei suoi amici si era
incrementato e continuava a crescere mese dopo mese in maniera esponenziale.
È
ovvio che tutti, più o meno, sull’Isola, vedevano di buon occhio lo svilupparsi
dell’impresa.
Tutti,
più o meno, ne avevano ricavato benefici: negozi, alberghi, ristoranti,
artigiani…
Altri
speravano di ricavare benefici in futuro; i progetti per l’Isola erano
ambiziosi e impegnativi… si parlava di costruire alberghi, residence, un nuovo
porto turistico, forse un nuovo teatro, forse un nuovo stadio. Morale della
favola; anche quelli che erano ostili per motivi ideologici vecchi e superati,
ritennero che fosse il caso di mettere da parte antichi rancori e realizzare una
volta per tutte la grande e definitiva pacificazione Isolana.
In
effetti ben presto, per ospitare le migliaia e migliaia di pellegrini
provenienti da tutto il mondo, si cominciarono a costruire gli alberghi, i
residence e il nuovo porto turistico, dove faceva bella mostra di sé la barca
dello zoppo… il Claretta, una barca di quarantasette metri, con decine di
cabine per gli ospiti, salone per le feste, piscina e tutto quanto può fare la
felicità di un buon uomo in vacanza.
Non fu
costruito invece il teatro, sostituito da tre enormi casinò e da un colossale
parcheggio, interrato per dodici piani e emergente per altrettanti. Quanto ai
casinò si raccontava che alcuni fedeli, mentre partecipavano alle funzioni nel Santuario,
avessero visto il Sacro Sguardo avvicinarsi e mormorare alcuni numeri al loro
orecchio; recatisi nelle sale da gioco, avevano realizzato vincite molto interessanti…
in altri casi, pare che l’immagine divina avesse inviato angeli vestiti di
colori tenui, col capo ornato di fiori, che li avevano presi per mano e
accompagnati in luoghi dalla luce soffusa dove avevano ricevuto, in estasi, il
dono dell’amore e la consegna di tacere, ma qualche parola nell’entusiasmo era
pur sempre sfuggita. Qualche rara malalingua cominciò a parlare di “Sacro Bordello”,
e questa leggenda attirò sull’Isola un numero ancora maggiore di fedeli,
disposti a ricompensare ‘il dono dell’amore’, con offerte molto generose.
Si sa
che la ricchezza non è mai sufficiente. Quando uno arriva al milione vorrebbe
averne due; quando ne ha due vorrebbe averne dieci; quando ne ha dieci ne
vorrebbe quaranta, cinquanta, e poi cento, e poi mille… e a quel punto non può
fare a meno di volere anche il potere, perché il potere e le ricchezze, si sa,
si proteggono a vicenda.
Una
sera, a cena, sulla terrazza, nella tranquillità di villa Adalgisa, i quattro erano
ormai giunti a fine pasto; avevano appena gustato una torta a base di farina di
riso e acqua di zagare, accompagnata da un vino francese bianco e dolce; una
musica di organo, violini e flauto giapponese imitava i suoni del vento e del
mare.
“Io
penso che sia arrivato il momento di fare il salto di qualità”, disse il ‘professore’;
gli altri rimasero in silenzio, ascoltando i flauti ancora per qualche istante,
mentre lui sentiva, con piacere crescere la tensione; poi proseguì. Raccontò
prima una vecchia barzelletta dove due anziani continuavano a comprare, l’uno
dall’altro alternativamente, sempre lo stesso brutto quadro… una crosta senza
alcun valore, ogni volta ne aumentavano il prezzo e alla fine si erano convinti
di essere in possesso di un’opera del valore di migliaia di dollari.
Nessuno
rise. Tutti compresero cosa aveva in mente il ‘professore’.
Il
piano era piuttosto complesso: la prima fase prevedeva che la moneta locale,
apprezzata e quotata in tutte le borse e i mercati del mondo, fosse rastrellata
e sostituita con titoli bancari emessi dalla Banca del Sacro Sguardo. Si
trattava di buoni garantiti dal Fondo del Sacro Diamante.
La vecchia
valuta dell’Isola, quella ufficiale, era la Lira-Venus, così detta perché sulle
monete e sulle banconote era riportata l’immagine di una Venere nascente dalla
schiuma del mare.
I titoli
sostitutivi avrebbero fornito rendimenti molto più alti di quelli garantiti da
qualsiasi altro ente finanziario al mondo; di solito titoli bancari di questo
genere vengono indicati col titolo spregiativo di titoli tossici, titoli
spazzatura o ‘carta straccia’, ma questo avviene solo dopo che gli enti che li
garantiscono sono finiti in bancarotta e hanno dichiarato la loro insolvenza;
prima tutti se li contendono, fanno a gara a impadronirsene, e quando li
possiedono, e vedono il loro valore aumentare di settimana in settimana, pensano
di essere i più furbi del mondo, poi, quando si scopre il loro vero valore,
cioè zero, tutti piangono, vogliono la testa del capro espiatorio e invocano
l’intervento delle autorità finanziarie mondiali, che li risarciscano e
facciano pagare a tutti la loro avidità.
Nel
giro di pochi mesi, la Lira-Venus doveva essere sostituita dai buoni del Fondo
del Sacro Diamante.
Tutto
il denaro raccolto dalla Banca del Sacro Sguardo, sarebbe stato portato poi, più
o meno legalmente, alle isole Dolly, famosi paradisi fiscali, e depositati
presso la filiale di una famosa banca angloamericana… la Great Black Hurricane
Bank, sui conti denominati Viacolvento, Ladolcevita, Pulpfiction e
Iquattrocentocolpi.
La
banca era molto attiva a Hollywood nel finanziare produzioni cinematografiche e
da questa sua specificità era derivata l’abitudine di indicare i conti correnti
dei clienti più riservati, con titoli di film famosi.
La
seconda fase prevedeva la distribuzione gratuita di carte di credito, emesse
sempre dalla Banca del Sacro Sguardo, grazie alle quali era possibile spendere,
senza problemi, importi superiori, anche di parecchio, alle proprie
disponibilità. Quanto alla restituzione… nessuna fretta; nell’attesa, un
piccolo interesse, solo l’uno percento, settimanale, composto.
In
meno di un paio d’anni, la maggior parte degli abitanti dell’Isola sarebbero
stati sommersi dai debiti, e pronti ad accettare qualsiasi compromesso pur di
alleviare la loro situazione di sofferenza.
La
terza fase era la più delicata, e forse la più redditizia.
Bisogna
dire prima, però, che la costruzione del colossale parcheggio, interrato per
dodici piani e emergente per altrettanti, in realtà, era servita solo per
mascherare un colossale carotaggio nel sottosuolo dell’Isola. L’operazione era
stata eseguita sotto la supervisione di mister doppia-vu.
Questa
ricerca era stata eseguita perché il chimico, dopo avere esaminato campioni di
sabbia prelevati nell’Isola aveva trovato consistenti tracce di UHG12[1],
un cristallo semiconduttore, contente una lega di elementi rari, molto
ricercata dall’industria elettronica. Il costo di questo cristallo superava il
milione di dollari al kilo. Se il sottosuolo dell’Isola ne avesse contenuto una
dose considerevole, lo zoppo e i suoi amici si sarebbero arricchiti oltre ogni
limite immaginabile.
Per
prima cosa avrebbero messo sul mercato la UHG12 a un prezzo molto più basso
rispetto alla quotazione attuale. Sarebbe bastato aspettare pochi mesi per
veder fallire tutti i concorrenti. Diventati poi gli unici produttori al mondo
avrebbero potuto mettere in scacco le aziende dell’industria informatica, e
imporre le loro condizioni.
Quarta
fase: per poter sviluppare il piano senza interferenze o intralci, sarebbe
stato necessario raggiungere il potere politico, per via “democratica”. Bisognava
fondare un partito… una cosa come ‘Il partito della luce democratica’… oppure,
senza usare la parola partito… ‘Luce sull’Isola’ o ‘L’Isola della luce’. Bisognava
che alla radio della Sacra Voce, si aggiungesse la televisione della Sacra Immagine.
Bisognava che nelle case degli isolani arrivassero le immagini della propaganda
orchestrata dal ‘professore’… “Accendi-la-Luce-sull-Isola”: immagini di miracoli;
interviste a semplici fedeli la cui vita era meravigliosamente migliorata da
quando si erano convertiti al culto del Sacro Sguardo; interviste allo “zoppo”
sugli audaci piani per lo sviluppo e il benessere sull’Isola, e infine,
soprattutto a ore tarde, concerti di musica sacra, in cui splendide ragazze,
vestite di null’altro che teli bianchi leggerissimi e semitrasparenti,
suonavano, cantavano e danzavano.
Per quel
che riguardava i miracoli, per raccontarli e farli vedere, un attore di teatro
(ottimo, ma quasi del tutto sconosciuto), fu assunto per recitare la parte del
predicatore infervorato, e uno staff di professionisti degli effetti speciali,
fu ingaggiato per mettere in scena miracoli che mai prima di allora si erano
visti “in diretta”.
È vero
che nell’Isola c’era anche una opposizione al potere crescente dello zoppo e della
sua banda, ma questa opposizione, formata dai vecchi superstiti della lotta
contro gli antichi invasori, era, come dire… scarica… e negativa; fondava la
sua ragion d’essere, nell’essere ‘contro’ lo zoppo.
Gli Isolani
percepivano l’opposizione come un qualcosa di preconcetto… di ideologico… e
quindi da rifiutare con fastidio.
Infine,
‘un aiutino’ alla creazione del consenso intorno alla figura dello zoppo e del
suo clan, lo avrebbe dato l’acquisto della squadra di calcio della capitale, la
Nettuno Football Club; per prima cosa lo zoppo avrebbe provveduto al
potenziamento dell’organico, con l’inserimento di fior di campioni comprati sul
mercato internazionale, cui sarebbe immancabilmente seguita una serie di
magnifiche vittorie, sia nel campionato isolano, sia nelle coppe internazionali.
Il
piano fu avviato e procedeva senza intoppi.
La
terza fase, quella che riguardava la ricerca del prezioso UHG12, fu quella che
riservò la sorpresa maggiore, infatti, il risultato del carotaggio fu che il
prezioso cristallo esisteva. Uno dei tunnel scavati in profondità durante
l’avanzamento dei lavori, a un certo punto era arrivato alla volta di una
grotta, a oltre cinquanta metri sotto il livello del mare.
Mister
doppia-vu, appena fatta la scoperta chiamò una squadra di speleologi e insieme
a loro si calò all’interno. La discesa, dapprima avvenne nel buio; per quanto gli
esploratori si guardassero intorno, riuscivano solo a scorgere qualche piccolo
bagliore rosa, lontano. Dopo essere scesi per decine di metri, toccarono il
fondo della grotta; era perfettamente asciutto e liscio; fecero calare
dall’alto delle cellule fotoelettriche. Lo spettacolo che apparve ai loro occhi
era emozionante.
Le pareti
e il soffitto erano interamente ricoperte di enormi cristalli di UHG12 dalla
tipica forma cubica; cristalli di quelle dimensioni non si erano mai visti al
mondo; altrove, non esistevano, e se esistevano non ne erano mai stati trovati.
Alcuni misuravano anche un metro, un metro e mezzo di lato, e sicuramente
pesavano più di una tonnellata. La grotta era enorme e almeno in tre punti si
aprivano gallerie di cui non si vedeva il fondo.
Uno
degli speleologi commentò: “Per costruire questo spettacolo, la natura deve
avere impiegato almeno cinque, seicento milioni di anni”. Tutti gli altri
annuirono in silenzio.
Mister
doppia-vu si avvicinò a una parete. La colpì un paio di volte con una piccozza,
fino a quando non riuscì a staccare un cristallo, un campione, un cubo di circa
quindici centimetri di lato.
Voleva
esaminarlo in laboratorio, ma già sapeva il risultato. Quello che aveva trovato
era un giacimento di UHG12, che ne conteneva più di quanto ce ne fosse in tutto
il resto del mondo.
Agli
speleologi fu imposto con metodi molto convincenti (una ricchezza da super
lotteria), di mantenere il silenzio assoluto.
Erano
passati solo pochi mesi da quando il ‘professore’ aveva esposto il suo piano ai
tre complici. Quella sera, dopo cena, a Villa Adalgisa, sulla terrazza, i
quattro amici fissavano in silenzio il grosso cristallo posato sopra il tavolo.
Ognuno di loro era assorto nei suoi pensieri.
Salvatore
Terna, Totò la sirena, pensava alle trattative che avrebbe dovuto condurre con
le multinazionali dell’informatica per riuscire a costringerle ad accettare le
sue condizioni.
Walter
Wagner Wilfrieder, mister doppia-vu, pensava a quali tecniche estrattive si
dovessero applicare per ricavare il massimo di UHG12, e della miglior qualità,
dal giacimento della grotta.
Luigi
Maria Nasata, il ‘professore’ pensava alle fasi della campagna di promozione
dell’immagine dello zoppo, in vista delle elezioni che lo avrebbero portato a
diventare governatore dell’Isola.
Su
quali improbabili ricette di economia fare affidamento? Come convincere gli
elettori che sotto la guida dello zoppo sarebbe arrivato un nuovo miracolo Isolano,
un nuovo futuro paradiso terrestre…
Lo
zoppo pensava a come poter esportare in segreto, i cristalli dall’Isola, per
evitare di pagare le pur non gravose tasse, che lo sfruttamento del sottosuolo
prevedeva. Si poteva usare il Claretta… ma dei viaggi troppo frequenti
avrebbero potuto destare sospetti, e in più, il rischio di affondamento avrebbe
comportato una perdita di milioni, o forse addirittura miliardi di dollari.
Troppo
rischioso anche il ricorso al contrabbando tramite corrieri. Comunque,
all’inizio il Claretta, per un paio di viaggi si sarebbe potuto utilizzare,
poi, qualcosa… missioni umanitarie, missioni ecologiche o di salvaguardia del
territorio… qualcosa avrebbero inventato.
Però
bisognava cominciare subito con una bella botta… bisognava caricare il prima
possibile qualche migliaia di chili sulla barca, e portarli subito fuori dall’Isola;
incassare subito due o tre miliardi di dollari e con quella base sostenere
tutto il progetto. Ne parlarono quella sera stessa e furono tutti d’accordo.
Bisognava
anche bloccare l’accesso ai piani più profondi del parcheggio sotterraneo per
poter lavorare indisturbati e poterli usare come deposito per i materiali
estratti, in attesa dell’imbarco. Come scusa avrebbero addotto la necessità di
ampliare lo spazio per le macchine.
Mister
doppia-vu sovrintendeva di persona all’estrazione del minerale dalla grotta.
Il
lavoro non era particolarmente complesso. La UHG12, colpita con inclinazione
ben precisa, si sfaldava senza troppo sforzo. In pochi giorni alcune tonnellate
di cristalli erano pronte per essere imbarcate e portate in Cina, dove alcune
multinazionali americane avevano stabilimenti per la produzione dei loro
apparati elettronici. Il Claretta venne caricato in un paio di nottate, e
all’alba della seconda notte era già fuori dalle acque territoriali dell’Isola,
diretto al porto di Shenzhen.
Salvatore
Terna aveva concluso con discrezione e straordinaria rapidità, accordi
commerciali per centinaia e centinaia di milioni di dollari; da paradiso
fiscale a paradiso fiscale.
Il
programma dei quattro procedeva secondo tempi e modi previsti.
Solo
un piccolo dettaglio veniva a turbare la loro soddisfazione.
Nell’ultimo
giorno di estrazione, dalla parete nord della grotta aveva incominciato a
colare qualche goccia di acqua salmastra. Poca, è vero. Tuttavia, quando mister
doppia-vu, il giorno dopo scese per verificare la situazione e per pianificare
il lavoro dei giorni seguenti, al centro del pavimento della grotta, era
comparsa una pozza circolare di acqua che emanava un odore sgradevole, come di
zolfo.
Una
rapida indagine portò a scoprire che sulla parete nord, dalla quale era stata
estratta una grande quantità di cristalli, ora si poteva vedere che si era
formata una macchia di bagnato, che era larga anche tre metri. Mister doppia-vu
si avvicinò; toccò in più punti; alcuni cristalli si staccarono dalla parete,
come fossero stati appena appoggiati.
Bisognava
procedere con maggiore cautela, e forse, prima di procedere con altre
estrazioni, si sarebbe dovuto interrompere il prelievo dei preziosi cristalli
per eseguire lavori di consolidamento.
Mezz’ora
dopo, gli altri tre amici ascoltavano con attenzione le considerazioni del
chimico.
Totò la
sirena pensava alle penali che avrebbero limitato il guadagno, in caso di
consegne non puntuali rispetto ai contratti firmati… quanto sarebbero costati i
lavori di consolidamento… quanto sarebbero durati…
Il ‘professore’
si domandava quanto fosse affidabile l’opinione di un chimico, su problemi di
statica e di geologia… forse bisognava coinvolgere qualche specialista… qualche
ingegnere… qualcuno dell’università…e chi poteva garantire la discrezione di
queste persone… quella è gente pazza… studiosi… fanatici… non è gente che la
compri tanto-tanto in fretta… Se nell’Isola, o all’estero, si fosse scoperto quello
che succedeva lì, sotto terra, certo sarebbero sorti problemi che avrebbero
potuto mandare all’aria tutto il piano.
Lo
zoppo era il più irrequieto; rigido, immobile, ma coi pugni stretti che
tradivano tutta la tensione, pensava: “… proprio adesso, proprio nel pieno
della campagna elettorale… proprio ora che i sondaggi, tutti i sondaggi lo
davano vincente… proprio ora che la gente faceva la fila per iscriversi ai “Circoli
del Diamante”… davano anche generosi contributi al partito, convinti che poi
sarebbero ritornati indietro con gli interessi…”.
Quando
mister doppia-vu finì di esporre gli argomenti, i quattro rimasero in silenzio;
ciascuno sperava che fosse qualcuno degli altri a parlare.
Dopo
qualche minuto Totò disse: “… non sarebbe possibile estrarre i cristalli in un
altro punto della grotta… almeno per un po’… almeno fino a quando non abbiamo
mandato altri due carichi… tanto per non dare l’impressione che non siamo
affidabili…”.
“…
così avremmo tempo per cercare qualcuno… non so… un ingegnere esperto di
estrazioni… da mandare giù… altrimenti se va il primo che capita, sai che… ‘grandissimo
pasticcio ’ … può scoppiare…”.
(Ribadisco
che ‘grandissimo pasticcio ’ non fu esattamente il termine utilizzato; da ora
in poi, il linguaggio dei protagonisti a volte diventa un po’ troppo colorito e
quindi dovrò ricorrere spesso a espressioni equivalenti, come ho già spiegato
all’inizio della storia).
Stavamo
dicendo: “… sai che… ‘grandissimo pasticcio ’ … può scoppiare…”,
“… si,
bisogna cercare di resistere almeno fino al giorno dopo le elezioni... un mese
e mezzo… poi mettiamo a posto tutto quanto”.
Tutti rimasero
in silenzio ancora qualche istante, poi mister doppia-vu, mentre si alzava,
disse “Va bene… speriamo…”.
Il
giorno dopo fece comperare un’idrovora per aspirare l’acqua dal pavimento e
gettarla di nuovo in mare. L’acqua non era molta; per togliere il ristagno che
si formava sul pavimento, bastava che la macchina lavorasse mezz’ora, un paio
di volte al giorno.
I
lavori proseguirono a ritmo serrato, per poter consegnare nei tempi previsti le
quantità stabilite dai contratti. In effetti, per più di venti giorni, sembrò
che le cose procedessero senza problemi. Un secondo carico era partito; un
terzo era quasi pronto. L’idrovora lavorava non più di un’ora al giorno, e la situazione
pareva essersi stabilizzata.
Il
guaio grosso successe un venerdì pomeriggio, mentre la squadra stava terminando
il turno.
Nel
momento stesso in cui toglievano un grosso cristallo dalla parete sud,
avvertirono con chiarezza uno schianto secco, come quando un quadro che non è
più sostenuto dal chiodo, arriva a terra e va in frantumi; tutta la grotta
tremò; dalla parete incominciò a scorrere un fiotto d’acqua salmastra ben più
consistente dello sgocciolamento che c’era stato fino a quel momento.
Mister
doppia-vu diede ordine di attivare immediatamente l’idrovora, di sospendere il
lavoro, di abbandonare gli attrezzi e di risalire in superficie attraverso la
scala scavata nella roccia, senza usare gli ascensori.
Per
controllare l’evolversi della situazione, sarebbero bastate le telecamere di
sorveglianza che erano state collocate lì, all’inizio dei lavori per evitare
eventuali furti.
Mentre
risalivano, altre piccole scosse, a distanza di qualche minuto una dall’altra,
facevano scricchiolare nuovamente tutta la struttura.
Dobbiamo
essere sinceri; tutti ebbero paura e man mano che risalivano, andavano sempre
più veloci.
Quando
mister doppia-vu raggiunse lo zoppo, questi stava guardando su Internet alcuni
modelli di barca che sarebbero stati presentati al prossimo salone nautico; certo,
il Claretta era splendido, ma ora veniva usato quasi solo per trasportare l’
UHG12 in oriente, e questa era l’occasione buona per procurarsi qualcosa di più
agile, di più scattante… qualcosa di sportivo. La velocità restava pur sempre
una gran passione.
Lo
zoppo non aveva sentito il terremoto, che invece, molti sull’Isola avevano
percepito perfettamente… in particolare la scossa, con tutto il suo sciame
successivo, era stata registrata esattamente dall’Osservatorio di scienza della
terra, collegato alla facoltà di geologia dell’università della capitale.
Mentre
lo zoppo ascoltava mister doppia-vu che gli spiegava l’accaduto, tutta la sua
voglia di giocare con le barchette gli era passata. Gli scoppiò qualche
bestemmia energica, tanto per sfogarsi e ritrovare l’equilibrio e la lucidità;
poi buttò lì un dubbio e una ipotesi: “Siamo sicuri che il terremoto sia stato
causato dal nostro lavoro? Non è possibile che l’epicentro sia in qualche altro
punto dell’Isola, o in mare… o magari… che ne so… in qualche isola vicina?”.
Walter
Wagner Wilfrieder non rispose nemmeno. Prese il telecomando; accese la
televisione, e mise sul canale all news 24/24; naturalmente stavano commentando
la notizia: magnitudo 2.8 scala Richter; sciame sismico molto intenso: 27 scosse
in poco più di mezz’ora, tutte tra 1.2 e 1.8.
L’epicentro
era esattamente nella capitale.
Erano
collegati in diretta con l’Osservatorio.
La
giornalista porgeva al direttore le solite domande: se c’erano pericoli per la
popolazione, se era possibile fare delle previsioni sull’andamento del
fenomeno, quanto sarebbero durate le scosse di assestamento, se ci sarebbero
state altre scosse violente… il solito, insomma; seguivano le solite risposte.
“Finché
lo sciame sismico non si arresta, di tornare giù, non se ne parla… non voglio
avere gente sulla coscienza”, disse mister doppia-vu, “… l’unica cosa che
possiamo fare ora, è monitorare il flusso d’acqua in entrata e in uscita e
sperare che la grotta non si allaghi davvero; se no dobbiamo mandare giù un’altra
idrovora”.
“Riusciamo
a recuperare il materiale che è già stato estratto e a fare un altro carico…
anche se non è completo, magari…”
“Non
lo so… bisogna vedere nelle prossime ore… nei prossimi giorni… se la situazione
si stabilizza”.
Seguì
un’altra scarica di energiche bestemmie.
“… ma
si può essere più ‘perseguitati dal destino ’ ?…”.
Arrivarono
insieme anche gli altri due soci. Avevano sentito le scosse. Avevano intuito.
Non si
erano ancora seduti che si sentì distintamente una nuova scossa… forte.
Nella
sala risuonarono ancora un paio di imprecazioni, mentre alla televisione la
giornalista, felice ed eccitata come una bambina che ha ricevuto i doni di
Natale, informava gli spettatori: “… Ecco! Ecco! In questo istante abbiamo
avvertito distintamente una nuova scossa… ci è sembrata più forte di quelle che
abbiamo sentito finora… professore, ci dica…”; “Si… guardi…”, disse questi, mostrando
il foglio che scorreva sotto l’ago del sismografo, “… questa è la scossa che
abbiamo appena sentito… e questa è quella che c’è stata circa 40 minuti fa…”.
“Le
oscillazioni della seconda sembrano più ampie di quelle della prima… che
magnitudine può avere avuto…”,
“… non
posso dirlo esattamente, ora,… dovremo fare i calcoli, ma così… da una prima
valutazione sembra che possa essere intorno al 3.2… 3.3…”
“…
quindi più forte della prima!”, “… evidentemente…”, disse il direttore dell’Osservatorio,
senza particolare entusiasmo.
In
quel momento entrò un assistente con un foglio; lo porse al direttore che lo
guardò perplesso… “…ci dica direttore… c’è qualche novità?”; “Più che di novità
si tratta di una stranezza…”, la giornalista lo guardava con la trepidazione di
che sa di essere sul punto di ascoltare una rivelazione storica… “… dica, dica…
siamo in diretta…”; “la stranezza è che l’epicentro pare estremamente vicino
alla superficie… bisognerà cercare di capire…”.
“Adesso
ci manca solo che questi si mettano a ‘cercare di capire’…”, commentò il ‘professore’,
“… ma la situazione giù, com’è… ora?”; “L’idrovora sta lavorando in
continuazione…” disse mister doppia-vu “… e non è detto che sia la cosa
giusta”;
“Cioè?”;
“Se la
grotta non tiene, forse la soluzione giusta potrebbe essere lasciare che si
riempia d’acqua … la pressione esterna sarebbe equilibrata dalla spinta
dell’acqua sulle pareti interne e la grotta avrebbe un po’ più di stabilità… forse
…”;
“… sei
sicuro?”;
“è
molto probabile… io ve l’avevo detto che bisognava consolidare la grotta, prima
di continuare …”.
“Ma se
l’allaghiamo poi che facciamo?… come facciamo a continuare con le estrazioni”,
domandò Totò; “… si può ancora… certo… … Certo che si può ancora… diventa un
po’ un ‘gran pasticcio ’, ma si può ancora… bisogna addestrare delle squadre di
sommozzatori, bisogna trovare il modo di portare in superficie il materiale
estratto… certo, i costi non sono più quelli che abbiamo avuto finora… questo è
sicuro...”.
Totò
si lasciò andare a qualche imprecazione irriferibile, prima di esporre il suo
problema; “Ragazzi qui ci sono dei contratti da onorare, io devo mandare via la
roba… i cinesi pagano, ma se non sei affidabile, quella è gente che ci ‘rompono
la testa’ ! Se non siamo in grado di onorare gli impegni… tutto il mondo ci
rovescia addosso tanto di quel ‘fango’, che ci affogano senza pietà… ‘porco mondo
’ ”. (Lo so che la frase, che ho provveduto a ripulire, non è proprio corretta
dal punto della grammatica… ma quando erano nervosi, i quattro parlavano così).
“I
problemi urgenti ora sono altri”, disse il ‘professore’, “… qui c’è da stare
attenti all’opinione pubblica… se la gente capisce che stiamo mettendo in
pericolo la sicurezza dell’Isola, per noi è finita, ma finita davvero… e finita
per sempre.”.
Lo
sguardo dello zoppo cadde sul quadro con la donna nuda e il maiale, al quale
ormai si era abituato, ma in quel momento lo irritò come la prima volta che
l’aveva visto; bestemmiò mentalmente, poi mormorò “Che si fa?”.
“Bisogna
mettere in campo tutti i nostri giornalisti, girare questa cosa del terremoto
in positivo per noi… impedire a questi ‘antipatici e noiosi’ dell’università di
andare in televisione a parlare… bisogna impedire ogni discorso allarmistico…
magari inventiamo qualche miracolo… qualcosa che faccia distrarre la gente.”;
lo zoppo colse la palla al balzo: “Si!... prendiamo una dozzina di persone… una
dozzina di attori… li facciamo addestrare…”
Alla
sera, al telegiornale, il conduttore con emozione annunciava lo scoop che
sarebbe poi stato presentato diffusamente nello speciale televisivo in onda la
sera stessa.
Dodici
persone, uomini, donne, giovani, adulti, vecchi… gente comune, dichiaravano che
nel momento del terremoto, spaventati, avevano rivolto il loro pensiero e la
loro preghiera al Sacro Sguardo, e il Sacro Sguardo gli era apparso, e aveva
sorriso: “Non avere paura, quest’Isola è la mia Isola… quest’Isola è sotto la
mia protezione, nessuna forza, né quelle del male, né quelle della natura,
potrà mai nulla contro di lei”. Alcuni raccontavano che l’apparizione li aveva
avvolti nel proprio mantello proteggendoli per tutta la durata del terremoto,
che era sembrato lunghissimo e fortissimo, ma loro non avevano avuto paura
perché sapevano di essere sotto la protezione divina.
Altri
sostenevano che il Sacro Sguardo li avesse sollevati da terra e portati sopra
la città; da lì avevano potuto assistere alla distruzione completa, case,
strade, palazzi e avevano avuto paura… e avevano pianto… e avevano invocato
pietà, guardando l’immagine negli occhi, e l’immagine divina aveva sorriso
comprensiva; quando il loro sguardo era sceso nuovamente sulla città, il tempo
si era come invertito, e le case crollate erano ritornate integre… in città era
come se niente fosse successo… e la vita proseguiva tranquilla.
“La
città avrebbe potuto essere distrutta, ma la protezione divina l’ha salvata… la
vita continua!”, concluse il giornalista con un sorrisino maligno, “Per chi non
crede… beh, ci dispiace per loro... per quanto mi riguarda io questa notte
andrò a dormire tranquillo, se qualcuno non si fida… (risolino) che dorma in
macchina… buonanotte”.
La
maggior parte della popolazione si sentì tranquillizzata. Essere sotto la
protezione del Sacro Sguardo valeva più di qualunque garanzia umana.
Per
onor della cronaca, bisogna anche dire che, dopo la messa in onda dello
speciale, nell’Isola, decine di persone, cominciarono a telefonare alla
televisione o alle redazioni dei giornali, affermando di essere stati loro stessi
protagonisti di episodi miracolosi: il Sacro Sguardo li aveva portati sotto
terra per andare insieme a fermare il terremoto nel suo epicentro; li aveva
portati sul mare e li aveva sostenuti sull’onda dello tsunami sollevata dal
sisma, che poi si era miracolosamente appianata. Una suora aveva addirittura
ricevuto un messaggio da trasmettere all’intera umanità: “Questo piccolissimo
terremoto è solo un avvertimento; nell’Isola ci sono troppe persone che vivono
nel peccato e che hanno il cuore pesante
(– si,
la suora usò esattamente queste parole: ‘cuore pesante’ -); queste persone si
devono convertire immediatamente, altrimenti presto arriverà una nuova scossa
devastante e l’Isola sarà completamente distrutta. Punto”.
Fortuna
volle che quella notte nessuna nuova scossa venisse a spaventare gli abitanti
dell’Isola, e poco importa che lo sciame avesse mantenuto la sua intensità,
continuando a destare l’apprensione dei geologi dell’osservatorio.
A
notte fonda i quattro erano ancora alla villa. Avevano mangiato poco… un
risotto con erbe amare, ma avevano bevuto parecchio: vino, superalcolici…
Non
erano nelle condizioni migliori per prendere decisioni, anche se lo zoppo
credeva di essere lucidissimo.
La
donna del quadro col maiale guardava lontano con sguardo indifferente.
“Ci
fosse stato almeno un bel terremoto, – e qui infilò una sonora bestemmia -
potevamo mettere su un bel business con la ricostruzione… e con la
ricostruzione… con l’emergenza… con lo spirito di solidarietà, si poteva mettere
a tacere ogni polemica… perché figurati se ora non viene fuori qualche discorso
di quelli…”.
Totò
approvò: “Certo potevamo mettere su un bel sistema di imprese di costruzioni…”,
“La Confraternita dei Muratori del Sacro Sguardo…”, “… e anche per l’assistenza…
l’Ospedale dei Samaritani dello Sguardo… e per il primo soccorso… la
Misericordia del Santuario… ”;
“… e
pensa… le raccolte di fondi in tutto il mondo…”.
Sognavano.
Sognarono
ancora un poco, ciascuno per conto suo, poi il ‘professore’, come al solito, ebbe
una bella idea: far costruire una cappella dedicata al ‘miracolo del terremoto ’
… naturalmente il miracolo era che la città non era stata distrutta e migliaia
e migliaia di persone erano state salvate. Questa cappella doveva essere
innovativa: le immagini che avrebbero ricordato l’evento, non sarebbero venute
da quadri o da immagini naif come nei santuari di una volta; no, le immagini
(professionalmente costruite in studio) sarebbero state proiettate sulle
pareti, in alto, come affreschi, mentre in basso, una serie di schermi, avrebbe
trasmesso le immagini, le memorie e i racconti delle singole persone protagoniste
di eventi particolari… i miracoli del Sacro Sguardo. La prima cappella
tecnologicamente avanzata al mondo; la Cappella Sistina dei secoli futuri.
Bella
idea, certamente, ma in quel momento c’era bisogno di ben altro; c’era bisogno
di prendere delle decisioni; c’era bisogno di coraggio.
Fu verso
le quattro del mattino, che arrivò la decisione. “Allagheremo tutto… e vada
come vada!”.
E fu
così che i quattro decisero di completare il terzo carico il più in fretta
possibile, e poi via libera all’acqua.
Ma
quella notte anche all’osservatorio i ricercatori non dormivano.
Ciò
che li preoccupava era il persistere dello sciame sismico, e l’epicentro troppo
vicino alla superficie. Non solo: alle scosse che avevano origine dalla
capitale, se ne stavano aggiungendo alte provenienti da zone differenti dell’Isola,
lontane anche decine di chilometri… tutte ancora deboli, per il momento.
Verso
le quattro del mattino, quando alla villa veniva presa la decisione di allagare
tutto… nello stesso momento, il computer collegato alla rete di rilevatori
geologici satellitari finiva l’elaborazione dei dati raccolti; dai risultati ottenuti,
si deduceva che la parte dell’Isola dove si trovava il Santuario, si era
abbassata di quasi un metro, e tutta l’Isola si era spostata verso sud di circa
tre metri.
In
effetti, se i quattro si fossero affacciati dalla terrazza e avessero guardato
verso il porto, avrebbero notato che la linea del mare si era sollevata e aveva
sommerso parte della banchina, o meglio, banchina si era abbassata ed era
scivolata, per metà, nel mare.
All’osservatorio
geologico iniziò la discussione.
Come
mai si manifestavano terremoti in quella zona, che storicamente non aveva
memoria di eventi sismici? L’Isola non sorgeva in prossimità di faglie…
Qualcuno
avanzò delle congetture… la rottura di una zolla lungo una nuova faglia? L’imminente
nascita di un nuovo vulcano, vicino alla capitale, al bordo dell’Isola?
L’ipotesi più stravagante, avanzata dal fisico del gruppo, era quella che ci
fosse una connessione tra i lavori eseguiti per la costruzione del Santuario e
i movimenti tellurici.
Sarebbe
stato opportuno fare un sopralluogo.
Per
fare il sopralluogo bisognava chiedere l’autorizzazione al Ministero del
Sottosuolo; all’Istituto per la protezione dalle calamità Naturali, alla
Commissione Regionale di Vigilanza, all’Ufficio Tecnico Metropolitano… forse
anche alla Capitaneria delle Acque… bisognava preparare relazioni per ognuno di
questi enti, bisognava che le relazioni fossero inviate, esaminate, approvate e
che le ispezioni richieste, dopo essere state deliberate, fossero concordate,
calendarizzate…
Pur
richiedendo procedure d’urgenza, potevano passare mesi; nella malaugurata
ipotesi poi, che qualcuno, per un motivo qualsiasi, avanzasse obbiezioni e
opponesse ricorso… ebbene, in tale caso i mesi potevano diventare anni.
Il
fisico, per cercare di forzare i tempi, e poter fare i sopralluoghi in tempi
brevi, decise di rivolgersi alla stampa. Fare scoppiare il caso, insinuare il
dubbio e sperare in bene.
Ognuno
valuti come vuole quello che successe, ma il fatto è che quasi nessun
giornalista prese sul serio la congettura del fisico. Quei pochi che gli
diedero ascolto e provarono a proporre ai loro direttori un servizio, si
sentirono rispondere che i loro giornali non avevano intenzione di coprirsi di
ridicolo avanzando ipotesi assurde.
Il
caso comunque scoppiò lo stesso. La moglie del fisico aveva una sorella che si
era sposata in Inghilterra, con un medico, un internista, che aveva curato per
ulcere allo stomaco un capo redattore di un settimanale che non aveva tirature
altissime, ma aveva comunque un suo prestigio. Diciamo pure un giornale che
faceva opinione.
L’ipotesi
del fisico, seguendo questo percorso tortuoso, era giunta alle orecchie del
capo redattore, che, incuriosito, aveva deciso di mandare subito un giornalista
a raccogliere informazioni.
Siccome
il settimanale inglese aveva tendenze politiche opposte a quelle
mistico-populiste dello zoppo, la questione del terremoto poteva essere
l’occasione per screditare lo zoppo, la sua banda e i suoi simpatizzanti… sia sull’Isola
che all’estero.
Il
giornalista arrivò mercoledì sera; giovedì mattina il fisico gli spiegò per
benino tutta la situazione sia geologica che burocratica e amministrativa.
Giovedì
sera l’articolo era pronto; Venerdì mattina la copertina del settimanale, in
tutte le edicole del Regno Unito, e non solo, mostrava l’immagine dello zoppo, in
uno studio televisivo, spavaldo, sicuro di sé, con il titolo. “Quest’uomo sta
affondando l’Isola?”.
Nei
primi giorni di quella settimana, tutto il materiale che era stato estratto,
era stato caricato sul Claretta, e nelle grotte, facendo lavorare l’idrovora a
tempo pieno per mantenere l’ambiente di lavoro il più asciutto possibile, si
era estratto, in un altro punto, il necessario per completare il carico.
Il
servizio che apparve quel venerdì infastidì non poco i quattro amici che, visto
che le acque si stavano calmando, cominciavano a pensare di fare come se niente
fosse successo.
La
copia del giornale stava lì, sulla scrivania.
I
quattro rimuginavano ciascuno per sé. “Ve l’avevo detto io che quegli
‘antipatici e noiosi’ dell’università sono… sono proprio degli ‘antipatici e
noiosi’… l’hanno trovato il modo di venire proprio a ‘seccarci’…”.
Dopo
una breve pausa, il ‘professore’ parlò, e il suo discorso era già un piano:
“Primo: Bisogna far girare l’idea che gli inglesi hanno messo in giro questa
voce perché infastiditi dal fatto che da quando è sorto il Santuario, il
turismo in Inghilterra ha subito una terribile flessione… di quanto è, più o
meno?”, “… tra il due e il tre per cento…”;
“Bene,
diciamo dieci… anzi dodici!... Secondo: cercare nella vita, nel passato di
questo ‘antipaticissimo’ fisico, qualcosa che possa ‘screditarlo’ per benino…
un’amante… figli segreti… il meglio sarebbe… non so… se avesse magari fatto
delle richieste a qualche studentessa… o meglio ancora a qualche studente…
denunciamo: “sesso in cambio di un voto all’esame”… Terzo: facciamo degli
speciali sul tema… tipo… La scienza paralizza il progresso?... risposta: si! …
e qui facciamo gli esempi di quelli che usano presunti argomenti scientifici…
non dimostrati… contro lo sviluppo… come gli ecologisti, o quelli che sono
contro il nucleare, contro gli OGM, contro le nanotecnologie… bisogna trovare
degli altri scienziati, e fargli dire il contrario… bisogna cercare qualche
scienziato fallito e fargli dire che se lui non è riuscito a fare la carriera
accademica è solo per colpa della mafia di certi baroni che domina nelle
università… insomma facciamo un bel ‘polverone’… spaventiamo un po’ la gente, e
facciamo capire che noi siamo per il progresso che produce il benessere e
ricchezza… il messaggio dev’essere: noi positivi che guardiamo avanti, loro
negativi che vogliono fermare tutto… questo è un discorso che funziona
sempre.”.
“Ok,
comunque il carico è completo… il Claretta è pronto per partire…”, disse lo
zoppo, ma il ‘professore’ lo interruppe: “No! La barca per ora resta in porto…
non si può rischiare che, se parte… a qualcuno gli vengono dei sospetti.”.
Mister
doppia-vu aveva ascoltato in silenzio e quelle ultime battute non gli erano
piaciute. Pensò “… e se lo zoppo se la fila da solo con il carico… e ci lascia
qui da soli a sbrogliare la matassa?… non mi fido…”;
“Sentite…
qua bisogna parlarci chiaro… se la grotta cede, tutta questa parte dell’Isola
rischia di colare a picco senza che neanche ce ne accorgiamo… se vogliamo
essere sicuri… io faccio una proposta… in attesa che si chiariscano gli
sviluppi… andiamo tutti e quattro a stare sulla barca… se scoppia il bubbone
siamo pronti a filarcela… tutti...”.
“Si,
non è una cattiva idea…” pensarono, dissero e accettarono.
“… e
con la grotta cosa facciamo… la allaghiamo?...”, domandò e si rispose mister
doppia.vu, “… anche per evitare che qualcuno vada a frugare dove non deve…”.
“Certo
- rispose il ‘professore’ – se no, se trovano la grotta, è inutile che facciamo
tutta la campagna di comunicazione…”. La reazione dello zoppo, ancora una
volta, fu una bella bestemmia, non molto originale… senza fantasia, è vero, ma secca,
ripetuta tre volte, in crescendo.
Dopo
qualche istante di silenzio, lo zoppo si rivolse a Walter Wagner Wilfrieder:
“Ci pensi tu?”; “Non c’è problema…”.
Lo
zoppo raccolse alcune carte dalla scrivania nello studio; fece qualche
telefonata per invitare Carlotta, Aurora, Giada, Krizia, Azzurra, Allegra… sulla barca; poi vide la foto di suo padre
nella redazione del giornale ‘La forza’ e la prese; da lì l’occhio si spostò
sul quadro della donna e del maiale; si fermò un istante a guardarli; gli
sembrarono imperturbabili, eterni, lontani, mentre lui stava scappando.
Nella
grotta c’erano già degli esplosivi che erano serviti per aprire dei varchi; non
in grande quantità, ma c’erano. Mister doppia-vu scese da solo; “…questi sono
lavori… che è meglio non avere testimoni…”. Preparò i collegamenti elettrici
per i detonatori; orientò le telecamere in modo da poter controllare le
operazioni a distanza; restò qualche istante a guardare per l’ultima volta le
pareti della grotta…
“Per
costruire questo spettacolo, la natura deve avere impiegato almeno cinque,
seicento milioni di anni”, ripensò, poi uscì senza voltarsi.
Pochi
minuti dopo i quattro arrivarono insieme al Claretta; salirono; “Rinforzate le
cime… fissatele bene …”, disse lo zoppo a un paio di marinai, pensando più a
una eventuale onda anomala che al mare mosso.
Poco dopo…
lo zoppo, Totò la sirena, il ‘professore’ e mister doppia-vu, con le ragazze e con
il minimo di personale necessario, erano a bordo del Claretta; i quattro si
riunirono nello studio.
Lo
zoppo non lo amava particolarmente, quello studio… era scuro, basso… e in quel
momento si sentiva particolarmente a disagio; il loro sogno non andava come
avevano sperato.
Due
monitor collegati con le telecamere mostravano l’interno della grotta e il
dispositivo pronto.
Walter
Wagner Wilfrieder, gli fece cenno, con un sorrisetto, indicando il telecomando:
“A te l’onore…”; la risposta fu un gesto di stizza; “O-key!” rispose il
chimico, e premette il pulsante.
L’esplosione
fu poca cosa; si aprì un varco nella parete e un flusso di acqua impetuoso
incominciò ad allagare lo spazio. L’acqua però correva via e si incanalava
verso una grotta vicina.
I
quattro restavano in silenzio a osservare lo spettacolo, incuriositi e sorpresi;
dopo mezz’ora sul fondo su cui erano puntate le telecamere non si erano fermati
nemmeno dieci centimetri d’acqua; eppure il flusso era abbondante.
Il reticolo
di grotte era più ampio di quanto non avessero immaginato; praticamente invadeva
tutto il sottosuolo; era come se l’Isola poggiasse su un immenso alveare le cui
pareti, invece di essere di cera, fossero gli enormi muri di fragili cristalli;
l’acqua, attraverso un imprevisto sistema di vasi comunicanti stava invadendo le
cavità più profonde.
Dopo
un paio d’ore, il varco attraverso cui scorreva l’acqua, per effetto del flusso,
si era allargato sempre più, ma la situazione non sembrava cambiare.
Mister
doppia-vu guardò i soci: “Ho idea che qui va avanti per le lunghe… io vado a
riposare! Domani vediamo…”. Gli altri annuirono. Si salutarono.
Passarono
alcune ore; ciascuno dei quattro si era ritirato nella sua cuccetta e dormiva;
sull’Isola le attività del mattino si svolgevano normalmente; nel sottosuolo l’acqua
scorreva sempre più impetuosa.
Poco
prima delle dieci, lo zoppo, Totò la sirena e il ‘professore’ dormivano ancora
di un sonno pesante. L’unico sveglio era mister doppia-vu; disteso sulla
schiena, occhi aperti, fissi sul soffitto cercava di immaginare cosa stesse
succedendo là sotto, laggiù, nella grotta. Era preoccupato, e aveva ragione di
esserlo. Una delle grotte che stavano più in basso si era riempita; la
pressione esercitata dall’acqua sulle sottili pareti di cristallo arrivò a un
livello tale da non poter più essere sostenuta. Le pareti cedettero. Uno
schianto sotterraneo; un’onda alta decine di metri andò a sbattere conto la
parete successiva. Le pareti cadevano come le tessere del domino; i soffitti,
senza più sostegno collassavano sui pavimenti sottostanti. La magnifica
struttura che si era formata e consolidata nel corso di almeno cinque o
seicento milioni di anni, si stava frantumando in pochi istanti.
Era
come se l’Isola, fino a quel momento si fosse retta su quella bolla d’aria. Ora
che la bolla era invasa dall’acqua, quella cavità, che per millenni l’aveva
sostenuta… ora si era trasformata in un peso; un peso insostenibile; un peso
che ora la trascinava a fondo.
Tutta
l’Isola cominciò a tremare; i sensori dei sismografi cominciarono a vibrare
freneticamente.
I
fedeli e i turisti nel tempio videro la grande statua del Sacro Sguardo oscillare,
cadere e andare in frantumi, e mentre la terra sotto i loro piedi sobbalzava,
si buttarono in ginocchio chiedendo perdono per i loro peccati. Qualcuno si
gettò a raccogliere qualche scheggia del marmo bianco della statua.
Sopra
di loro crepe lunghissime si aprirono nella cupola… e la cupola crollando li
travolse.
Crollarono
i casinò, che già erano aperti; crollò il parcheggio, accartocciandosi su tutte
le auto che conteneva; crollò la torre da cui si vedeva e si era visti in tutta
l’Isola; crollò la torre di controllo dell’aeroporto, con tutta la struttura
dei terminal e degli hangar.
Crollarono
i negozietti del nuovo centro commerciale, e i grandi negozi, i bei negozi,
delle vie del centro.
Crollarono
gli appartamenti della gente comune e le belle ville dei quartieri esclusivi,
crollarono
i palazzi delle banche, coi loro uffici dei direttori generali;
crollarono
i palazzi delle televisioni, coi loro studi, e quelli dei giornali, con le loro
redazioni.
Solo
sul Claretta nessuno si accorse di nulla; il terremoto si sommava al normale
rollio delle onde e non lo si poteva distinguere.
Ma
dopo il crollo successe la cosa più incredibile che si potesse immaginare: l’Isola
incominciò a inclinarsi… a inclinarsi e a scivolare. Si era spaccata nel mezzo
come un panino e mezza sprofondava a nord, mentre l’altra metà si inabissava a
sud. Incredibilmente successe tutto in pochi minuti.
In
pochi minuti l’Isola non c’era più…
E i
quattro amici? I quattro amici erano sulla barca… la barca era ben fissata con
le cime alle bitte del molo; il molo, col parco, con la villa, con tutto quello
che questa conteneva… il molo, fu la prima cosa a sprofondare, e sprofondando
portò con sé la barca con tutti quelli che stavano a bordo; e così lo zoppo, il
‘professore’, Totò sirena e mister doppia-vu, insieme, furono inghiottiti nel
profondo degli abissi. Amen.
Che
fine da fessi! Direte voi. Certo! “han fatto la fine del topo”, ma del topo
fesso, però, perché, quando la nave sta per affondare, i topi sono i primi a
scappare; almeno così dicono. Questi invece si sono proprio messi in trappola
da soli.
Lo so,
sarebbe stata più letteraria e intrigante una fine eroica, o almeno piena di
grandezza, magari con un bel discorso finale come Macbeth, o almeno con un’invettiva,
come Timone d’Atene. Ma i tempi di Shakespeare sono finiti da un pezzo… niente
più grandezza…
I
nostri personaggi erano dei mediocri; da mediocri sono vissuti e da mediocri
sono morti… e io purtroppo, non sono uno che inventa le storie; io le racconto
solo, semplicemente, così come sono andate nella realtà… o almeno, come credo
che siano andate.
Da
Shakespeare potremmo citare solo “il resto è silenzio”, perché solo il silenzio,
è quello che c’è stato dopo. Si, perché nel resto del mondo, si fece moto in
fretta a dimenticare l’Isola del Sacro Diamante; l’Isola, aveva fatto comodo a
molti… c’erano state complicità, compiacimenti… alcuni avrebbero voluto
prenderla a modello; ora molti si vergognavano. Meglio che “la storia
dell’Isola” diventasse il prima possibile, “la leggenda dell’Isola”… un po’
come Atlantide… e così è stato…
Vi
chiederete come sono venuto in possesso di queste notizie, e come ho
ricostruito questo racconto.
È
molto semplice… avevo detto che più o meno tutti, sull’Isola, vedevano di buon
occhio lo svilupparsi dell’impresa… “più o meno tutti”: tra quelli “meno”,
c’era un vecchio maestro. Un maestro di scuola, in pensione.
Da
giovane aveva lottato contro gli stranieri invasori e contro i
collaborazionisti del pugile.
Era
stato imprigionato, torturato e condannato a morte. Era evaso per una serie di
favorevoli coincidenze ed era riuscito a salvarsi. Alla fine della guerra gli
avevano proposto di entrare in politica, di diventare ministro, onorevole, sindaco…
ma lui aveva rifiutato; sosteneva che, un maestro dovesse “solo” insegnare ai
bambini ed educarli al rispetto reciproco, al pensiero, alla bellezza, alla
poesia, all’arte… questo bastava.
Da
quando era andato in pensione viveva nella sua piccola casa, sulla collina,
nella parte alta della città, da dove vedeva declinare le case verso il mare.
Passava le giornate a leggere vecchi romanzi, vecchie riviste d’arte, qualcosa
di filosofia… scriveva il diario e disegnava quello che vedeva dalla finestra
di casa.
Quando
ci fu il primo terremoto, capì subito come sarebbe finita la storia, ma non
pensò neanche per un minuto all’idea di lasciare la sua casa. Tirò su dalla cantina
una vecchia damigiana, la lavò bene-bene, l’asciugò, cercò un tappo che
garantisse la salvaguardia del contenuto, e incominciò a introdurre pagine di
diario e disegni. Andò avanti così, giorno dopo giorno, fino alla fine.
Quel
giorno mentre tutto si perdeva negli abissi, la damigiana (che era stata
collocata sul tetto della casa), sola, rimase a galla e, portata dalle correnti,
arrivò fino alla spiaggia sulla quale d’inverno, nelle giornate di sole, compio
le mie passeggiate lunghe e solitarie. È stato proprio durante una di queste
passeggiate che l’ho recuperata con le sue carte dalle quali ho potuto
ricostruire questa storia.
Alcuni,
certo più furbi e scafati di me, sostengono che si tratti solo di un grande
scherzo; hanno trovato incongruenze nel racconto e sono convinti che qualcuno
abbia inventato tutto… e, per divertimento, abbia infilato i finti diari e i
disegni nella damigiana, e abbia aspettato poi di vedere l’effetto che avrebbe
prodotto il ritrovamento…
Secondo
loro in realtà, l’Isola non è mai esistita e quello che ho raccontato non è mai
successo.
In
effetti questa non è una storia molto bella da raccontare. Troppi cattivi,
troppi stupidi… e i giusti sono troppo pochi e non contano quasi niente.
Forse
hanno ragione loro... ma io questa storia la racconto lo stesso, perché credo
che valga la pena di rifletterci su, comunque.
PS. Se
vi fosse rimasta ancora una curiosità: … ma i soldi… tutti i milioni che i
quattro avevano depositato sui conti della Great Black Hurricane Bank… che fine
hanno fatto?... chi è che se li è goduti?...
La
risposta è la più semplice che si possa immaginate: le tre mogli… e gli orfani
di Bucarest!
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