sabato 23 aprile 2016

La leggenda dell’Isola del Sacro Diamante

Luigi Alcide Fusani
           
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La leggenda dell’Isola del Sacro Diamante by Luigi Alcide Fusani is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License

Gennaio-Aprile 2014


Questa leggenda è stata tramandata in modo avventuroso; non si sa con esattezza quando i fatti siano accaduti, né quanto ci sia di vero; alcuni sostengono che si tratti di una pura invenzione; io stesso non sono convinto della esattezza di tutti i dettagli, ma questo è quello che sono riuscito a ricostruire. Alcune persone, invece, sono convinte che, più di una leggenda, si tratti di una profezia.

*
C’era una volta, in mezzo al mare, un’Isola.
Il suo clima era fresco e ventilato, in estate, temperato in inverno.
Il suo patrimonio artistico era ricco; gli abitanti cordiali; la cucina sana e gradevole; sull’Isola si trovavano persino miniere di pietre dure, di metalli preziosi ed elementi rari.
L’Isola era famosa in tutto il mondo per queste sue qualità, e quindi, era meta molto ambita e frequentata da viaggiatori e turisti che provenivano dalle terre più lontane e ogni giorno vi sbarcavano a decine, anzi, a centinaia.
Le sue ricchezze erano così ambite che una volta, l’Isola era stata invasa dagli abitanti di una terra lontana, che l’avevano sottomessa, e poi dominata senza troppa fatica, anche perché, sull’Isola avevano trovato degli alleati, parecchi alleati: dei collaborazionisti.
Per un po’ gli stranieri riuscirono a controllare l’Isola senza troppi problemi, ma poi, davanti alle ruberie, alle ingiustizie e ai soprusi molti cominciarono a ribellarsi, e così scoppiò una guerra: una guerra per cacciare gli invasori; una guerra di liberazione; una guerra che fu anche una guerra civile.
Alla fine gli invasori e i collaborazionisti furono sconfitti; gli invasori dovettero tornare al loro paese; i collaborazionisti, o meglio, i loro capi furono mandati in esilio.
Quelli rimasti sull’Isola, invece, furono quasi tutti perdonati.

Il capo supremo dei collaborazionisti era un pugile; era stato campione della sua categoria, ma solo nell’Isola. Era vissuto nel culto della forza ed era convinto che i ‘forti’ dovessero dominare il mondo… anzi, dovessero ‘comandare’. Il suo nome era Massimo Rubaloro; tozzo, grossolano, pelato e anche un po’ volgare, era convinto di essere molto affascinante e dotato di grande personalità.
Dopo avere concluso la carriera sportiva e prima di cominciare quella politica si era dedicato al giornalismo; aveva fondato un giornale sportivo, “La forza”, che si differenziava da quelli esistenti per il tono decisamente maschio e virile.
Morì, poco dopo la fine di quella guerra fratricida, in esilio, in un paese del nord dove si trovava con tutta la sua famiglia e i suoi fedelissimi.

Un po’ di tempo dopo, quando quasi tutti avevano ormai dimenticato l’invasione e la guerra, l’ostracismo nei confronti della famiglia del pugile fu revocato. Era brava gente… gente buona, di corta memoria, quella che abitava sull’Isola.
Fu allora che il figlio del pugile, Vittorio Augusto, decise di ritornare; noi lo chiameremo ‘lo zoppo’; bisogna sapere che, da giovane, egli era appassionato di corse in auto, a cui partecipava come pilota; in un incidente in cui era stato coinvolto durante un rally, riportò gravi ferite, e nonostante tutte le cure ricevute nelle migliori cliniche europee, la gamba destra non riacquistò mai tutte le funzionalità che aveva prima.
Lo zoppo non tornò da solo; con lui c’erano tre fedelissimi: Salvatore Terna, o meglio, Totò la sirena, così detto perché abilissimo nel tessere relazioni e magnifico nell’ammaliare i suoi interlocutori; poi Luigi Maria Nasata, detto il ‘professore’, esperto dei meccanismi di persuasione e di induzione di desideri nella mente delle persone comuni, e questo faceva di lui un ottimo manipolatore delle masse; infine, Walter Wagner Wilfrieder, chimico farmaceutico, detto con simpatia mister doppia-vu. Si trattava dei tre complici, con cui egli voleva riprendere il potere sull’Isola.

È un po’ difficile raccontare questa storia. I protagonisti sono personaggi di poca profondità sia di pensiero che di sentire. I loro interessi? Prima di tutto le donne, o meglio, più che le donne… (scusate… qui dovrei scrivere una parola sconveniente, e io proprio non me la sento, non sono abituato, per cui scriverò -qui, ma anche più avanti- termini che possono usare anche i bambini, in modo che voi possiate capire ugualmente, ma senza che io debba usare quelle parole basse che troppo spesso infarcivano il duro linguaggio dello zoppo e dei suoi amici… per cui scriverò…)
I loro interessi? Prima di tutto le donne, o meglio, più che le donne… la patatina… la farfallina… la passerina (capito?); poi i divertimenti: le macchine, la barca, lo sci, un certo tipo di abbigliamento, le località turistiche esclusive, i film d’azione e quelli divertenti, meglio se un po’ sgangherati.
Per avere tutto questo sono necessari molti soldi… e quindi ecco la necessità prima: averne a disposizione molti, di soldi.
Perché raccontare questa storia, allora? Perché questi personaggi riuscirono almeno per un certo periodo, nella loro impresa… quella di accumulare, appunto, molti soldi. Come fu possibile?

Quando tornarono sull’Isola, i quattro, si istallarono con tutto il codazzo di cortigiani, cortigiane e nostalgici, a villa Adalgisa, un edificio a tre piani, ereditato dallo zoppo alla morte di una zia; la zia Corinna, sorella della madre. Questa zia aveva sempre avuto, con la famiglia Rubaloro, un rapporto… possiamo dire, conflittuale. Pare, addirittura, che avesse militato nella resistenza e avesse fatto parte del Comitato di Liberazione Isolano.
Nel momento in cui si fanno i bilanci della propria vita, non essendosi sposata, non avendo avuto figli, non ritenendo nessuno particolarmente degno di ricevere la sua eredità, neanche lo Stato o la Chiesa, accettò che il suo erede fosse il nipote: lo zoppo. Tanto soldi non ce n’era un granché; tutti erano stati spesi per acquistare opere d’arte: principalmente quadri di artisti importanti del 900.
Nel timore che il nipote si vendesse tutto, aveva messo nel testamento, una clausola molto irritante: tutto, nella villa (tutto: struttura, arredi, decori, opere d’arte… persino le piante), tutto avrebbe dovuto restare così come era stato disposto dalla zia. Nulla doveva essere nemmeno spostato; in particolare i quadri che lei stessa aveva scelto e accostato con sapienza.
Il valore dell’eredità, comunque era tale che il nipote, non essendo nelle condizioni di fare altro, accettò.
La villa era circondata da un parco che terminava su una spiaggia di sabbia bianca, finissima.
Lo zoppo tenne per sé l’ultimo piano, dove il suo studio si apriva su una terrazza dalla quale si potevano contemplare il parco, la spiaggia, il mare, e dalla parte opposta, il profilo della capitale.

Una sistemazione invidiabile; unico piccolo fastidio… nello studio, sulla parete davanti alla sua scrivania… inamovibile, come tutto il resto, un quadro. Gli sembrava un dispetto della zia, e forse lo era. L’autore, un famoso pittore dei Paesi Bassi, aveva ritratto una bella donna, in lingerie di pizzo nero, quasi nuda, collocata contro un cielo celeste, popolato di angioletti, ma non luminoso; la donna teneva al guinzaglio un maiale.
Lo zoppo era sicuro che la zia avesse piazzato quel quadro lì, davanti alla sua scrivania come se avesse voluto censurare la propensione prima di suo padre, poi sua, a frequentare e a intrattenere rapporti intimi, con giovani donne… a volte, troppo giovani. La presenza del quadro lo irritava, ed è per questo che, appena possibile, lo zoppo usciva sulla terrazza.
Fu proprio sulla terrazza di fronte allo studio, che, una delle prime sere, dopo una sontuosa cena servita nel parco, lo zoppo e i suoi tre amici, dopo aver lasciato gli ospiti a festeggiare, si ritirarono e stapparono una bottiglia di champagne.

Amici, parassiti e ragazze di cui non sapevano nemmeno il nome, rimasero a far festa nel parco. Per la verità i nomi delle ragazze, li sapevano, ma li confondevano: Carlotta, Aurora, Giada, Krizia, Azzurra, Allegra… tutte uguali tra di loro, tutte uguali alla Barbie… magre, alte, capelli lunghi stirati, minigonne, tacco dodici … tutte sorridenti, tutte alloggiate in un residence vicino alla villa. Ad alcune di loro era stato promesso un lavoro alla televisione, ad altre una carriera da modella o da cantante, ad altre ancora un marito calciatore; insomma: fama, successo e vita comoda.
Naturalmente i quattro, avevano mogli, figli, amanti… erano separati e le loro ex mogli vivevano a Parigi, a Los Angeles, a Berlino… per la verità erano in tre, in questa situazione, perché il chimico… mister doppia-vu… era estremamente schivo e riservato; nulla si sapeva né del suo presente, né del suo passato. Qualcuno sosteneva che gli piacessero gli uomini; altri che fosse stato abusato da piccolo; altri ancora che fosse stato abbandonato dalla madre quando questa aveva deciso di arruolarsi per servire il suo paese, negli apparati repressivi della polizia politica. L’unica cosa che si sapeva con certezza, era che inviava regolarmente dei soldi a un orfanatrofio di Bucarest.
Nonostante le ragazze e le feste, e tutto il resto, non c’era allegria né felicità tra i quattro amici; solo rancore e spirito di rivincita, e quando alzarono i calici lo zoppo mormorò: “Da qui, ora, partirà la nostra rivincita”. Nessuno sorrideva. Tutti brindarono in silenzio.

Subito, nei primi giorni dall’arrivo nell’Isola, alcuni giornalisti, sotto-sotto un po’ nostalgici, chiesero di poter intervistare lo zoppo, e così, ben presto, tutti i cittadini poterono leggere un racconto in cui si parlava di uno strano miracolo accaduto proprio a lui: il figlio del pugile.
Egli raccontò che, appena accaduto il famoso incidente, ferito gravemente, aveva perso conoscenza; in quella drammatica situazione, gli apparve il Sacro Sguardo che, sorridendo, gli promise di salvarlo, se egli avesse accettato di compiere una missione: tornare sull’Isola e costruire un grande Santuario dove poter essere venerato.
E così, lo zoppo, inondato di luce meravigliosa e soprannaturale, aveva accettato; a quel punto la divina apparizione gli aveva consegnato un prezioso diamante da incastonare al centro della corona d’oro da porre sul capo della grande statua, che avrebbe sovrastato l’altare maggiore.
Chi fosse giunto al Santuario, si fosse confessato, e avesse compiuto le opportune devozioni, avrebbe ricevuto generose indulgenze.
Lo zoppo aveva confidato tutto ciò ad alcune eminenze della Chiesa, che, in un primo momento avevano manifestato forti perplessità; poi era intervenuto Totò la sirena… Salvatore Terna, che grazie ad argomenti molto convincenti, aveva reso credibile tutta la vicenda, e così, le gerarchie della chiesa locale avevano garantito il loro appoggio a questa magnifica impresa.

In realtà, la pietra preziosa proveniva da un sacchetto di diamanti di cui alcuni avventurieri e contrabbandieri si erano impossessati in Africa; questi individui si erano poi ammazzati e derubati a vicenda, fino a che, l’ultimo sopravvissuto non era arrivato in Europa con la speranza di vendere le pietre e di arricchirsi. Qui, a sua volta, era stato ucciso da avidi ricettatori, i quali pure erano stati derubati, e così via finché le pietre non erano arrivate al pugile in esilio, che le aveva utilizzate per condurre un tenore di vita ben al di sopra delle proprie risorse, e infine, nel momento della morte, le aveva lasciate al figlio, che pure le aveva usate per condurre un tenore di vita ben al di sopra delle proprie risorse.
Ora, che di pietre ne era rimasta una sola, la più grossa, la più difficile da piazzare sul mercato, lo zoppo si era inventato questa storia, per cercare di fare il colpo grosso e di vivere alla grande il resto della sua vita. Su un miracolo, si può costruire una rendita non da poco!
Il piano era stato concepito dal “professor” Nasata, che sapeva benissimo quanto larghi strati della popolazione abbiano un profondo bisogno di sognare, cioè, di essere raggirati e di credere alle favole più inverosimili pur di sfuggire alla banalità, e in certi casi, allo squallore della vita quotidiana. “L’uomo è un essere che può e vuole lasciarsi ingannare. L’uomo è un sognatore desiderante…”, diceva il ‘professore’, “e in cambio di un sogno è disposto a buttare a mare qualsiasi realtà… soprattutto quando questo sogno lo solleva dalla responsabilità di vivere, di scegliere e di essere libero”.

Fu così che, ottenuti molto rapidamente permessi e aiuti, cominciò la costruzione del grande Santuario, con la grande torre in cui erano collocati gli uffici del centro direzionale… del Santuario, da cui si vedeva e si era visti in tutta l’Isola.
La costruzione fu terminata in tempi incredibilmente rapidi, e fu aperta al culto con una cerimonia memorabile a cui parteciparono tutte le personalità più importanti dei vertici della Chiesa dell’Isola.
L’inquietante immagine del Sacro Sguardo dominava tutta la chiesa; un Cristo effeminato e sorridente, scolpito in tempi rapidissimi, da alcuni abilissimi artigiani dei laboratori di Carrara, in marmo bianco, in un pezzo unico, alto dodici metri. Non si può dire che fosse un’opera d’arte, ma era molto suggestivo, con le sue braccia protese in avanti e sul capo la corona dorata, con al centro il Sacro Diamante.
Naturalmente, quello che fu incastonato nella corona, non era il vero Diamante, ma una sua copia in cristallo; data la distanza, nessuno se ne accorse, e il vero Diamante fu portato segretamente al sicuro, in una banca di fiducia, in un paese di fiducia.
Chi arrivava al Santuario era colpito dalla grandezza e dall’audacia architettonica della costruzione, e rimaneva come stordito; alcuni visitatori addirittura, erano turbati da visioni mistiche; in realtà, dei bruciatori posti in posizioni strategiche, emanavano profumi drogati (anche questa era stata un’idea del ‘professore’, realizzata abilmente da mister doppia-vu).
Alcuni fedeli sostenevano che il Cristo, a un certo punto fosse sceso dal suo piedistallo e con un morbido volo fosse arrivato fino a loro per abbracciarli e baciarli con dolcezza; altri sostenevano che il Sacro Diamante a un certo punto avesse cominciato a ruotare su se stesso e a brillare di luce propria, sempre più intensa, fino a diventare luminoso come un sole, come a voler benedire la folla dei presenti.
Pare addirittura che qualcuno lo avesse visto anche denudarsi del tutto e iniziare a cantare melodie sublimi, ma in proposito le testimonianze sono sempre state piuttosto confuse.
Ben presto l’immagine del Sacro Sguardo diventò un’icona che la gente si recava ad acquistare con amore e devozione al Santuario; la si poteva trovare di ogni dimensione, dalle più piccole per il comodino o per la scrivania, alle più grosse da mettere sopra il caminetto o in giardino; le sue varianti andavano dalle più economiche, in plastica dorata o in gesso, a quelle più preziose in marmo o in bronzo.
Nelle gioiellerie se ne potevano trovare in argento o in oro con autentici brillanti nella corona.
Qualcuno, grazie al Sacro Sguardo cominciava a guadagnare bene.
Per tutto il marketing associato al Santuario, venne elaborato anche un marchio. All’inizio, ci fu un certo imbarazzo: le iniziali di Sacro Sguardo… esse-esse… dette così, facevano venire in mente riferimenti politici improponibili… ma la fantasia dei ‘creativi’ riesce a ribaltare qualsiasi situazione; infatti, cosa inventarono… la prima esse maiuscola, venne lasciata così com’è; la seconda, venne rovesciata e accostata alla prima: insieme, formavano un cuore; cosa meglio di un cuore per rappresentare un Sacro Amore?

Per svolgere le funzioni all’interno del Santuario, fu autorizzato un nuovo ordine monastico: anche questa fu un’idea del ‘professore’, che non a caso venne nominato Rettore dell’Ordine.
L’Ordine fu chiamato dei “Puri Trasparenti Luminosi e Canterini”: ‘puri trasparenti luminosi’, perché tali erano le proprietà del Sacro Diamante che ispirava la loro azione; canterini perché, non sapevano bene cosa dire, ma volevano… dovevano… dirlo a tutto il mondo... e quindi formulavano frasi come “convertite il vostro cuore alla purezza”, o “lasciate che il vostro occhio veda la luce”, e le modulavano con vocalizzi interminabili, ipnotici e orientaleggianti, (che loro chiamavano ‘il nuovo canto gregoriano’), accompagnati da percussioni primitive come: martelletti battuti su assi di legno, campanellini urtati tra di loro, pietre dure fatte rotolare su superfici metalliche dalla forma concava.
Per far pervenire il messaggio del Sacro Sguardo in ogni parte del mondo, fu istituita una emittente radiofonica dedicata solo ed esclusivamente alle trasmissioni delle cerimonie e dei riti che si tenevano al Santuario: la radio della Sacra Voce.

Il Santuario era un’azienda che funzionava ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, estate inverno, autunno primavera. Il fatturato del turismo sull’Isola, già considerevole prima dell’arrivo dello zoppo e dei suoi amici si era incrementato e continuava a crescere mese dopo mese in maniera esponenziale.
È ovvio che tutti, più o meno, sull’Isola, vedevano di buon occhio lo svilupparsi dell’impresa.
Tutti, più o meno, ne avevano ricavato benefici: negozi, alberghi, ristoranti, artigiani…
Altri speravano di ricavare benefici in futuro; i progetti per l’Isola erano ambiziosi e impegnativi… si parlava di costruire alberghi, residence, un nuovo porto turistico, forse un nuovo teatro, forse un nuovo stadio. Morale della favola; anche quelli che erano ostili per motivi ideologici vecchi e superati, ritennero che fosse il caso di mettere da parte antichi rancori e realizzare una volta per tutte la grande e definitiva pacificazione Isolana.
In effetti ben presto, per ospitare le migliaia e migliaia di pellegrini provenienti da tutto il mondo, si cominciarono a costruire gli alberghi, i residence e il nuovo porto turistico, dove faceva bella mostra di sé la barca dello zoppo… il Claretta, una barca di quarantasette metri, con decine di cabine per gli ospiti, salone per le feste, piscina e tutto quanto può fare la felicità di un buon uomo in vacanza.
Non fu costruito invece il teatro, sostituito da tre enormi casinò e da un colossale parcheggio, interrato per dodici piani e emergente per altrettanti. Quanto ai casinò si raccontava che alcuni fedeli, mentre partecipavano alle funzioni nel Santuario, avessero visto il Sacro Sguardo avvicinarsi e mormorare alcuni numeri al loro orecchio; recatisi nelle sale da gioco, avevano realizzato vincite molto interessanti… in altri casi, pare che l’immagine divina avesse inviato angeli vestiti di colori tenui, col capo ornato di fiori, che li avevano presi per mano e accompagnati in luoghi dalla luce soffusa dove avevano ricevuto, in estasi, il dono dell’amore e la consegna di tacere, ma qualche parola nell’entusiasmo era pur sempre sfuggita. Qualche rara malalingua cominciò a parlare di “Sacro Bordello”, e questa leggenda attirò sull’Isola un numero ancora maggiore di fedeli, disposti a ricompensare ‘il dono dell’amore’, con offerte molto generose.

Si sa che la ricchezza non è mai sufficiente. Quando uno arriva al milione vorrebbe averne due; quando ne ha due vorrebbe averne dieci; quando ne ha dieci ne vorrebbe quaranta, cinquanta, e poi cento, e poi mille… e a quel punto non può fare a meno di volere anche il potere, perché il potere e le ricchezze, si sa, si proteggono a vicenda.
Una sera, a cena, sulla terrazza, nella tranquillità di villa Adalgisa, i quattro erano ormai giunti a fine pasto; avevano appena gustato una torta a base di farina di riso e acqua di zagare, accompagnata da un vino francese bianco e dolce; una musica di organo, violini e flauto giapponese imitava i suoni del vento e del mare.
“Io penso che sia arrivato il momento di fare il salto di qualità”, disse il ‘professore’; gli altri rimasero in silenzio, ascoltando i flauti ancora per qualche istante, mentre lui sentiva, con piacere crescere la tensione; poi proseguì. Raccontò prima una vecchia barzelletta dove due anziani continuavano a comprare, l’uno dall’altro alternativamente, sempre lo stesso brutto quadro… una crosta senza alcun valore, ogni volta ne aumentavano il prezzo e alla fine si erano convinti di essere in possesso di un’opera del valore di migliaia di dollari.
Nessuno rise. Tutti compresero cosa aveva in mente il ‘professore’.

Il piano era piuttosto complesso: la prima fase prevedeva che la moneta locale, apprezzata e quotata in tutte le borse e i mercati del mondo, fosse rastrellata e sostituita con titoli bancari emessi dalla Banca del Sacro Sguardo. Si trattava di buoni garantiti dal Fondo del Sacro Diamante.
La vecchia valuta dell’Isola, quella ufficiale, era la Lira-Venus, così detta perché sulle monete e sulle banconote era riportata l’immagine di una Venere nascente dalla schiuma del mare.
I titoli sostitutivi avrebbero fornito rendimenti molto più alti di quelli garantiti da qualsiasi altro ente finanziario al mondo; di solito titoli bancari di questo genere vengono indicati col titolo spregiativo di titoli tossici, titoli spazzatura o ‘carta straccia’, ma questo avviene solo dopo che gli enti che li garantiscono sono finiti in bancarotta e hanno dichiarato la loro insolvenza; prima tutti se li contendono, fanno a gara a impadronirsene, e quando li possiedono, e vedono il loro valore aumentare di settimana in settimana, pensano di essere i più furbi del mondo, poi, quando si scopre il loro vero valore, cioè zero, tutti piangono, vogliono la testa del capro espiatorio e invocano l’intervento delle autorità finanziarie mondiali, che li risarciscano e facciano pagare a tutti la loro avidità.
Nel giro di pochi mesi, la Lira-Venus doveva essere sostituita dai buoni del Fondo del Sacro Diamante.
Tutto il denaro raccolto dalla Banca del Sacro Sguardo, sarebbe stato portato poi, più o meno legalmente, alle isole Dolly, famosi paradisi fiscali, e depositati presso la filiale di una famosa banca angloamericana… la Great Black Hurricane Bank, sui conti denominati Viacolvento, Ladolcevita, Pulpfiction e Iquattrocentocolpi.
La banca era molto attiva a Hollywood nel finanziare produzioni cinematografiche e da questa sua specificità era derivata l’abitudine di indicare i conti correnti dei clienti più riservati, con titoli di film famosi.

La seconda fase prevedeva la distribuzione gratuita di carte di credito, emesse sempre dalla Banca del Sacro Sguardo, grazie alle quali era possibile spendere, senza problemi, importi superiori, anche di parecchio, alle proprie disponibilità. Quanto alla restituzione… nessuna fretta; nell’attesa, un piccolo interesse, solo l’uno percento, settimanale, composto.
In meno di un paio d’anni, la maggior parte degli abitanti dell’Isola sarebbero stati sommersi dai debiti, e pronti ad accettare qualsiasi compromesso pur di alleviare la loro situazione di sofferenza.

La terza fase era la più delicata, e forse la più redditizia.
Bisogna dire prima, però, che la costruzione del colossale parcheggio, interrato per dodici piani e emergente per altrettanti, in realtà, era servita solo per mascherare un colossale carotaggio nel sottosuolo dell’Isola. L’operazione era stata eseguita sotto la supervisione di mister doppia-vu.
Questa ricerca era stata eseguita perché il chimico, dopo avere esaminato campioni di sabbia prelevati nell’Isola aveva trovato consistenti tracce di UHG12[1], un cristallo semiconduttore, contente una lega di elementi rari, molto ricercata dall’industria elettronica. Il costo di questo cristallo superava il milione di dollari al kilo. Se il sottosuolo dell’Isola ne avesse contenuto una dose considerevole, lo zoppo e i suoi amici si sarebbero arricchiti oltre ogni limite immaginabile.
Per prima cosa avrebbero messo sul mercato la UHG12 a un prezzo molto più basso rispetto alla quotazione attuale. Sarebbe bastato aspettare pochi mesi per veder fallire tutti i concorrenti. Diventati poi gli unici produttori al mondo avrebbero potuto mettere in scacco le aziende dell’industria informatica, e imporre le loro condizioni.

Quarta fase: per poter sviluppare il piano senza interferenze o intralci, sarebbe stato necessario raggiungere il potere politico, per via “democratica”. Bisognava fondare un partito… una cosa come ‘Il partito della luce democratica’… oppure, senza usare la parola partito… ‘Luce sull’Isola’ o ‘L’Isola della luce’. Bisognava che alla radio della Sacra Voce, si aggiungesse la televisione della Sacra Immagine. Bisognava che nelle case degli isolani arrivassero le immagini della propaganda orchestrata dal ‘professore’… “Accendi-la-Luce-sull-Isola”: immagini di miracoli; interviste a semplici fedeli la cui vita era meravigliosamente migliorata da quando si erano convertiti al culto del Sacro Sguardo; interviste allo “zoppo” sugli audaci piani per lo sviluppo e il benessere sull’Isola, e infine, soprattutto a ore tarde, concerti di musica sacra, in cui splendide ragazze, vestite di null’altro che teli bianchi leggerissimi e semitrasparenti, suonavano, cantavano e danzavano.
Per quel che riguardava i miracoli, per raccontarli e farli vedere, un attore di teatro (ottimo, ma quasi del tutto sconosciuto), fu assunto per recitare la parte del predicatore infervorato, e uno staff di professionisti degli effetti speciali, fu ingaggiato per mettere in scena miracoli che mai prima di allora si erano visti “in diretta”.
È vero che nell’Isola c’era anche una opposizione al potere crescente dello zoppo e della sua banda, ma questa opposizione, formata dai vecchi superstiti della lotta contro gli antichi invasori, era, come dire… scarica… e negativa; fondava la sua ragion d’essere, nell’essere ‘contro’ lo zoppo.
Gli Isolani percepivano l’opposizione come un qualcosa di preconcetto… di ideologico… e quindi da rifiutare con fastidio.
Infine, ‘un aiutino’ alla creazione del consenso intorno alla figura dello zoppo e del suo clan, lo avrebbe dato l’acquisto della squadra di calcio della capitale, la Nettuno Football Club; per prima cosa lo zoppo avrebbe provveduto al potenziamento dell’organico, con l’inserimento di fior di campioni comprati sul mercato internazionale, cui sarebbe immancabilmente seguita una serie di magnifiche vittorie, sia nel campionato isolano, sia nelle coppe internazionali.

Il piano fu avviato e procedeva senza intoppi.
La terza fase, quella che riguardava la ricerca del prezioso UHG12, fu quella che riservò la sorpresa maggiore, infatti, il risultato del carotaggio fu che il prezioso cristallo esisteva. Uno dei tunnel scavati in profondità durante l’avanzamento dei lavori, a un certo punto era arrivato alla volta di una grotta, a oltre cinquanta metri sotto il livello del mare.
Mister doppia-vu, appena fatta la scoperta chiamò una squadra di speleologi e insieme a loro si calò all’interno. La discesa, dapprima avvenne nel buio; per quanto gli esploratori si guardassero intorno, riuscivano solo a scorgere qualche piccolo bagliore rosa, lontano. Dopo essere scesi per decine di metri, toccarono il fondo della grotta; era perfettamente asciutto e liscio; fecero calare dall’alto delle cellule fotoelettriche. Lo spettacolo che apparve ai loro occhi era emozionante.
Le pareti e il soffitto erano interamente ricoperte di enormi cristalli di UHG12 dalla tipica forma cubica; cristalli di quelle dimensioni non si erano mai visti al mondo; altrove, non esistevano, e se esistevano non ne erano mai stati trovati. Alcuni misuravano anche un metro, un metro e mezzo di lato, e sicuramente pesavano più di una tonnellata. La grotta era enorme e almeno in tre punti si aprivano gallerie di cui non si vedeva il fondo.
Uno degli speleologi commentò: “Per costruire questo spettacolo, la natura deve avere impiegato almeno cinque, seicento milioni di anni”. Tutti gli altri annuirono in silenzio.

Mister doppia-vu si avvicinò a una parete. La colpì un paio di volte con una piccozza, fino a quando non riuscì a staccare un cristallo, un campione, un cubo di circa quindici centimetri di lato.
Voleva esaminarlo in laboratorio, ma già sapeva il risultato. Quello che aveva trovato era un giacimento di UHG12, che ne conteneva più di quanto ce ne fosse in tutto il resto del mondo.
Agli speleologi fu imposto con metodi molto convincenti (una ricchezza da super lotteria), di mantenere il silenzio assoluto.

Erano passati solo pochi mesi da quando il ‘professore’ aveva esposto il suo piano ai tre complici. Quella sera, dopo cena, a Villa Adalgisa, sulla terrazza, i quattro amici fissavano in silenzio il grosso cristallo posato sopra il tavolo. Ognuno di loro era assorto nei suoi pensieri.
Salvatore Terna, Totò la sirena, pensava alle trattative che avrebbe dovuto condurre con le multinazionali dell’informatica per riuscire a costringerle ad accettare le sue condizioni.
Walter Wagner Wilfrieder, mister doppia-vu, pensava a quali tecniche estrattive si dovessero applicare per ricavare il massimo di UHG12, e della miglior qualità, dal giacimento della grotta.
Luigi Maria Nasata, il ‘professore’ pensava alle fasi della campagna di promozione dell’immagine dello zoppo, in vista delle elezioni che lo avrebbero portato a diventare governatore dell’Isola.
Su quali improbabili ricette di economia fare affidamento? Come convincere gli elettori che sotto la guida dello zoppo sarebbe arrivato un nuovo miracolo Isolano, un nuovo futuro paradiso terrestre…
Lo zoppo pensava a come poter esportare in segreto, i cristalli dall’Isola, per evitare di pagare le pur non gravose tasse, che lo sfruttamento del sottosuolo prevedeva. Si poteva usare il Claretta… ma dei viaggi troppo frequenti avrebbero potuto destare sospetti, e in più, il rischio di affondamento avrebbe comportato una perdita di milioni, o forse addirittura miliardi di dollari.
Troppo rischioso anche il ricorso al contrabbando tramite corrieri. Comunque, all’inizio il Claretta, per un paio di viaggi si sarebbe potuto utilizzare, poi, qualcosa… missioni umanitarie, missioni ecologiche o di salvaguardia del territorio… qualcosa avrebbero inventato.
Però bisognava cominciare subito con una bella botta… bisognava caricare il prima possibile qualche migliaia di chili sulla barca, e portarli subito fuori dall’Isola; incassare subito due o tre miliardi di dollari e con quella base sostenere tutto il progetto. Ne parlarono quella sera stessa e furono tutti d’accordo.
Bisognava anche bloccare l’accesso ai piani più profondi del parcheggio sotterraneo per poter lavorare indisturbati e poterli usare come deposito per i materiali estratti, in attesa dell’imbarco. Come scusa avrebbero addotto la necessità di ampliare lo spazio per le macchine.

Mister doppia-vu sovrintendeva di persona all’estrazione del minerale dalla grotta.
Il lavoro non era particolarmente complesso. La UHG12, colpita con inclinazione ben precisa, si sfaldava senza troppo sforzo. In pochi giorni alcune tonnellate di cristalli erano pronte per essere imbarcate e portate in Cina, dove alcune multinazionali americane avevano stabilimenti per la produzione dei loro apparati elettronici. Il Claretta venne caricato in un paio di nottate, e all’alba della seconda notte era già fuori dalle acque territoriali dell’Isola, diretto al porto di Shenzhen.
Salvatore Terna aveva concluso con discrezione e straordinaria rapidità, accordi commerciali per centinaia e centinaia di milioni di dollari; da paradiso fiscale a paradiso fiscale.

Il programma dei quattro procedeva secondo tempi e modi previsti.
Solo un piccolo dettaglio veniva a turbare la loro soddisfazione.
Nell’ultimo giorno di estrazione, dalla parete nord della grotta aveva incominciato a colare qualche goccia di acqua salmastra. Poca, è vero. Tuttavia, quando mister doppia-vu, il giorno dopo scese per verificare la situazione e per pianificare il lavoro dei giorni seguenti, al centro del pavimento della grotta, era comparsa una pozza circolare di acqua che emanava un odore sgradevole, come di zolfo.

Una rapida indagine portò a scoprire che sulla parete nord, dalla quale era stata estratta una grande quantità di cristalli, ora si poteva vedere che si era formata una macchia di bagnato, che era larga anche tre metri. Mister doppia-vu si avvicinò; toccò in più punti; alcuni cristalli si staccarono dalla parete, come fossero stati appena appoggiati.
Bisognava procedere con maggiore cautela, e forse, prima di procedere con altre estrazioni, si sarebbe dovuto interrompere il prelievo dei preziosi cristalli per eseguire lavori di consolidamento.
Mezz’ora dopo, gli altri tre amici ascoltavano con attenzione le considerazioni del chimico.
Totò la sirena pensava alle penali che avrebbero limitato il guadagno, in caso di consegne non puntuali rispetto ai contratti firmati… quanto sarebbero costati i lavori di consolidamento… quanto sarebbero durati…
Il ‘professore’ si domandava quanto fosse affidabile l’opinione di un chimico, su problemi di statica e di geologia… forse bisognava coinvolgere qualche specialista… qualche ingegnere… qualcuno dell’università…e chi poteva garantire la discrezione di queste persone… quella è gente pazza… studiosi… fanatici… non è gente che la compri tanto-tanto in fretta… Se nell’Isola, o all’estero, si fosse scoperto quello che succedeva lì, sotto terra, certo sarebbero sorti problemi che avrebbero potuto mandare all’aria tutto il piano.
Lo zoppo era il più irrequieto; rigido, immobile, ma coi pugni stretti che tradivano tutta la tensione, pensava: “… proprio adesso, proprio nel pieno della campagna elettorale… proprio ora che i sondaggi, tutti i sondaggi lo davano vincente… proprio ora che la gente faceva la fila per iscriversi ai “Circoli del Diamante”… davano anche generosi contributi al partito, convinti che poi sarebbero ritornati indietro con gli interessi…”.
Quando mister doppia-vu finì di esporre gli argomenti, i quattro rimasero in silenzio; ciascuno sperava che fosse qualcuno degli altri a parlare.
Dopo qualche minuto Totò disse: “… non sarebbe possibile estrarre i cristalli in un altro punto della grotta… almeno per un po’… almeno fino a quando non abbiamo mandato altri due carichi… tanto per non dare l’impressione che non siamo affidabili…”.
“… così avremmo tempo per cercare qualcuno… non so… un ingegnere esperto di estrazioni… da mandare giù… altrimenti se va il primo che capita, sai che… ‘grandissimo pasticcio ’ … può scoppiare…”.
(Ribadisco che ‘grandissimo pasticcio ’ non fu esattamente il termine utilizzato; da ora in poi, il linguaggio dei protagonisti a volte diventa un po’ troppo colorito e quindi dovrò ricorrere spesso a espressioni equivalenti, come ho già spiegato all’inizio della storia).
Stavamo dicendo: “… sai che… ‘grandissimo pasticcio ’ … può scoppiare…”,
“… si, bisogna cercare di resistere almeno fino al giorno dopo le elezioni... un mese e mezzo… poi mettiamo a posto tutto quanto”.
Tutti rimasero in silenzio ancora qualche istante, poi mister doppia-vu, mentre si alzava, disse “Va bene… speriamo…”.

Il giorno dopo fece comperare un’idrovora per aspirare l’acqua dal pavimento e gettarla di nuovo in mare. L’acqua non era molta; per togliere il ristagno che si formava sul pavimento, bastava che la macchina lavorasse mezz’ora, un paio di volte al giorno.
I lavori proseguirono a ritmo serrato, per poter consegnare nei tempi previsti le quantità stabilite dai contratti. In effetti, per più di venti giorni, sembrò che le cose procedessero senza problemi. Un secondo carico era partito; un terzo era quasi pronto. L’idrovora lavorava non più di un’ora al giorno, e la situazione pareva essersi stabilizzata.

Il guaio grosso successe un venerdì pomeriggio, mentre la squadra stava terminando il turno.
Nel momento stesso in cui toglievano un grosso cristallo dalla parete sud, avvertirono con chiarezza uno schianto secco, come quando un quadro che non è più sostenuto dal chiodo, arriva a terra e va in frantumi; tutta la grotta tremò; dalla parete incominciò a scorrere un fiotto d’acqua salmastra ben più consistente dello sgocciolamento che c’era stato fino a quel momento.
Mister doppia-vu diede ordine di attivare immediatamente l’idrovora, di sospendere il lavoro, di abbandonare gli attrezzi e di risalire in superficie attraverso la scala scavata nella roccia, senza usare gli ascensori.
Per controllare l’evolversi della situazione, sarebbero bastate le telecamere di sorveglianza che erano state collocate lì, all’inizio dei lavori per evitare eventuali furti.
Mentre risalivano, altre piccole scosse, a distanza di qualche minuto una dall’altra, facevano scricchiolare nuovamente tutta la struttura.
Dobbiamo essere sinceri; tutti ebbero paura e man mano che risalivano, andavano sempre più veloci.

Quando mister doppia-vu raggiunse lo zoppo, questi stava guardando su Internet alcuni modelli di barca che sarebbero stati presentati al prossimo salone nautico; certo, il Claretta era splendido, ma ora veniva usato quasi solo per trasportare l’ UHG12 in oriente, e questa era l’occasione buona per procurarsi qualcosa di più agile, di più scattante… qualcosa di sportivo. La velocità restava pur sempre una gran passione.
Lo zoppo non aveva sentito il terremoto, che invece, molti sull’Isola avevano percepito perfettamente… in particolare la scossa, con tutto il suo sciame successivo, era stata registrata esattamente dall’Osservatorio di scienza della terra, collegato alla facoltà di geologia dell’università della capitale.
Mentre lo zoppo ascoltava mister doppia-vu che gli spiegava l’accaduto, tutta la sua voglia di giocare con le barchette gli era passata. Gli scoppiò qualche bestemmia energica, tanto per sfogarsi e ritrovare l’equilibrio e la lucidità; poi buttò lì un dubbio e una ipotesi: “Siamo sicuri che il terremoto sia stato causato dal nostro lavoro? Non è possibile che l’epicentro sia in qualche altro punto dell’Isola, o in mare… o magari… che ne so… in qualche isola vicina?”.
Walter Wagner Wilfrieder non rispose nemmeno. Prese il telecomando; accese la televisione, e mise sul canale all news 24/24; naturalmente stavano commentando la notizia: magnitudo 2.8 scala Richter; sciame sismico molto intenso: 27 scosse in poco più di mezz’ora, tutte tra 1.2 e 1.8.
L’epicentro era esattamente nella capitale.
Erano collegati in diretta con l’Osservatorio.
La giornalista porgeva al direttore le solite domande: se c’erano pericoli per la popolazione, se era possibile fare delle previsioni sull’andamento del fenomeno, quanto sarebbero durate le scosse di assestamento, se ci sarebbero state altre scosse violente… il solito, insomma; seguivano le solite risposte.

“Finché lo sciame sismico non si arresta, di tornare giù, non se ne parla… non voglio avere gente sulla coscienza”, disse mister doppia-vu, “… l’unica cosa che possiamo fare ora, è monitorare il flusso d’acqua in entrata e in uscita e sperare che la grotta non si allaghi davvero; se no dobbiamo mandare giù un’altra idrovora”.
“Riusciamo a recuperare il materiale che è già stato estratto e a fare un altro carico… anche se non è completo, magari…”
“Non lo so… bisogna vedere nelle prossime ore… nei prossimi giorni… se la situazione si stabilizza”.
Seguì un’altra scarica di energiche bestemmie.
“… ma si può essere più ‘perseguitati dal destino ’ ?…”.
Arrivarono insieme anche gli altri due soci. Avevano sentito le scosse. Avevano intuito.
Non si erano ancora seduti che si sentì distintamente una nuova scossa… forte.
Nella sala risuonarono ancora un paio di imprecazioni, mentre alla televisione la giornalista, felice ed eccitata come una bambina che ha ricevuto i doni di Natale, informava gli spettatori: “… Ecco! Ecco! In questo istante abbiamo avvertito distintamente una nuova scossa… ci è sembrata più forte di quelle che abbiamo sentito finora… professore, ci dica…”; “Si… guardi…”, disse questi, mostrando il foglio che scorreva sotto l’ago del sismografo, “… questa è la scossa che abbiamo appena sentito… e questa è quella che c’è stata circa 40 minuti fa…”.
“Le oscillazioni della seconda sembrano più ampie di quelle della prima… che magnitudine può avere avuto…”,
“… non posso dirlo esattamente, ora,… dovremo fare i calcoli, ma così… da una prima valutazione sembra che possa essere intorno al 3.2… 3.3…”
“… quindi più forte della prima!”, “… evidentemente…”, disse il direttore dell’Osservatorio, senza particolare entusiasmo.
In quel momento entrò un assistente con un foglio; lo porse al direttore che lo guardò perplesso… “…ci dica direttore… c’è qualche novità?”; “Più che di novità si tratta di una stranezza…”, la giornalista lo guardava con la trepidazione di che sa di essere sul punto di ascoltare una rivelazione storica… “… dica, dica… siamo in diretta…”; “la stranezza è che l’epicentro pare estremamente vicino alla superficie… bisognerà cercare di capire…”.

“Adesso ci manca solo che questi si mettano a ‘cercare di capire’…”, commentò il ‘professore’, “… ma la situazione giù, com’è… ora?”; “L’idrovora sta lavorando in continuazione…” disse mister doppia-vu “… e non è detto che sia la cosa giusta”;
“Cioè?”;
“Se la grotta non tiene, forse la soluzione giusta potrebbe essere lasciare che si riempia d’acqua … la pressione esterna sarebbe equilibrata dalla spinta dell’acqua sulle pareti interne e la grotta avrebbe un po’ più di stabilità… forse …”;
“… sei sicuro?”;
“è molto probabile… io ve l’avevo detto che bisognava consolidare la grotta, prima di continuare …”.
“Ma se l’allaghiamo poi che facciamo?… come facciamo a continuare con le estrazioni”, domandò Totò; “… si può ancora… certo… … Certo che si può ancora… diventa un po’ un ‘gran pasticcio ’, ma si può ancora… bisogna addestrare delle squadre di sommozzatori, bisogna trovare il modo di portare in superficie il materiale estratto… certo, i costi non sono più quelli che abbiamo avuto finora… questo è sicuro...”.
Totò si lasciò andare a qualche imprecazione irriferibile, prima di esporre il suo problema; “Ragazzi qui ci sono dei contratti da onorare, io devo mandare via la roba… i cinesi pagano, ma se non sei affidabile, quella è gente che ci ‘rompono la testa’ ! Se non siamo in grado di onorare gli impegni… tutto il mondo ci rovescia addosso tanto di quel ‘fango’, che ci affogano senza pietà… ‘porco mondo ’ ”. (Lo so che la frase, che ho provveduto a ripulire, non è proprio corretta dal punto della grammatica… ma quando erano nervosi, i quattro parlavano così).
“I problemi urgenti ora sono altri”, disse il ‘professore’, “… qui c’è da stare attenti all’opinione pubblica… se la gente capisce che stiamo mettendo in pericolo la sicurezza dell’Isola, per noi è finita, ma finita davvero… e finita per sempre.”.
Lo sguardo dello zoppo cadde sul quadro con la donna nuda e il maiale, al quale ormai si era abituato, ma in quel momento lo irritò come la prima volta che l’aveva visto; bestemmiò mentalmente, poi mormorò “Che si fa?”.
“Bisogna mettere in campo tutti i nostri giornalisti, girare questa cosa del terremoto in positivo per noi… impedire a questi ‘antipatici e noiosi’ dell’università di andare in televisione a parlare… bisogna impedire ogni discorso allarmistico… magari inventiamo qualche miracolo… qualcosa che faccia distrarre la gente.”; lo zoppo colse la palla al balzo: “Si!... prendiamo una dozzina di persone… una dozzina di attori… li facciamo addestrare…”

Alla sera, al telegiornale, il conduttore con emozione annunciava lo scoop che sarebbe poi stato presentato diffusamente nello speciale televisivo in onda la sera stessa.
Dodici persone, uomini, donne, giovani, adulti, vecchi… gente comune, dichiaravano che nel momento del terremoto, spaventati, avevano rivolto il loro pensiero e la loro preghiera al Sacro Sguardo, e il Sacro Sguardo gli era apparso, e aveva sorriso: “Non avere paura, quest’Isola è la mia Isola… quest’Isola è sotto la mia protezione, nessuna forza, né quelle del male, né quelle della natura, potrà mai nulla contro di lei”. Alcuni raccontavano che l’apparizione li aveva avvolti nel proprio mantello proteggendoli per tutta la durata del terremoto, che era sembrato lunghissimo e fortissimo, ma loro non avevano avuto paura perché sapevano di essere sotto la protezione divina.
Altri sostenevano che il Sacro Sguardo li avesse sollevati da terra e portati sopra la città; da lì avevano potuto assistere alla distruzione completa, case, strade, palazzi e avevano avuto paura… e avevano pianto… e avevano invocato pietà, guardando l’immagine negli occhi, e l’immagine divina aveva sorriso comprensiva; quando il loro sguardo era sceso nuovamente sulla città, il tempo si era come invertito, e le case crollate erano ritornate integre… in città era come se niente fosse successo… e la vita proseguiva tranquilla.
“La città avrebbe potuto essere distrutta, ma la protezione divina l’ha salvata… la vita continua!”, concluse il giornalista con un sorrisino maligno, “Per chi non crede… beh, ci dispiace per loro... per quanto mi riguarda io questa notte andrò a dormire tranquillo, se qualcuno non si fida… (risolino) che dorma in macchina… buonanotte”.

La maggior parte della popolazione si sentì tranquillizzata. Essere sotto la protezione del Sacro Sguardo valeva più di qualunque garanzia umana.
Per onor della cronaca, bisogna anche dire che, dopo la messa in onda dello speciale, nell’Isola, decine di persone, cominciarono a telefonare alla televisione o alle redazioni dei giornali, affermando di essere stati loro stessi protagonisti di episodi miracolosi: il Sacro Sguardo li aveva portati sotto terra per andare insieme a fermare il terremoto nel suo epicentro; li aveva portati sul mare e li aveva sostenuti sull’onda dello tsunami sollevata dal sisma, che poi si era miracolosamente appianata. Una suora aveva addirittura ricevuto un messaggio da trasmettere all’intera umanità: “Questo piccolissimo terremoto è solo un avvertimento; nell’Isola ci sono troppe persone che vivono nel peccato e che hanno il cuore pesante
(– si, la suora usò esattamente queste parole: ‘cuore pesante’ -); queste persone si devono convertire immediatamente, altrimenti presto arriverà una nuova scossa devastante e l’Isola sarà completamente distrutta. Punto”.

Fortuna volle che quella notte nessuna nuova scossa venisse a spaventare gli abitanti dell’Isola, e poco importa che lo sciame avesse mantenuto la sua intensità, continuando a destare l’apprensione dei geologi dell’osservatorio.
A notte fonda i quattro erano ancora alla villa. Avevano mangiato poco… un risotto con erbe amare, ma avevano bevuto parecchio: vino, superalcolici…
Non erano nelle condizioni migliori per prendere decisioni, anche se lo zoppo credeva di essere lucidissimo.
La donna del quadro col maiale guardava lontano con sguardo indifferente.
“Ci fosse stato almeno un bel terremoto, – e qui infilò una sonora bestemmia - potevamo mettere su un bel business con la ricostruzione… e con la ricostruzione… con l’emergenza… con lo spirito di solidarietà, si poteva mettere a tacere ogni polemica… perché figurati se ora non viene fuori qualche discorso di quelli…”.
Totò approvò: “Certo potevamo mettere su un bel sistema di imprese di costruzioni…”, “La Confraternita dei Muratori del Sacro Sguardo…”, “… e anche per l’assistenza… l’Ospedale dei Samaritani dello Sguardo… e per il primo soccorso… la Misericordia del Santuario… ”;
“… e pensa… le raccolte di fondi in tutto il mondo…”.
Sognavano.

Sognarono ancora un poco, ciascuno per conto suo, poi il ‘professore’, come al solito, ebbe una bella idea: far costruire una cappella dedicata al ‘miracolo del terremoto ’ … naturalmente il miracolo era che la città non era stata distrutta e migliaia e migliaia di persone erano state salvate. Questa cappella doveva essere innovativa: le immagini che avrebbero ricordato l’evento, non sarebbero venute da quadri o da immagini naif come nei santuari di una volta; no, le immagini (professionalmente costruite in studio) sarebbero state proiettate sulle pareti, in alto, come affreschi, mentre in basso, una serie di schermi, avrebbe trasmesso le immagini, le memorie e i racconti delle singole persone protagoniste di eventi particolari… i miracoli del Sacro Sguardo. La prima cappella tecnologicamente avanzata al mondo; la Cappella Sistina dei secoli futuri.
Bella idea, certamente, ma in quel momento c’era bisogno di ben altro; c’era bisogno di prendere delle decisioni; c’era bisogno di coraggio.
Fu verso le quattro del mattino, che arrivò la decisione. “Allagheremo tutto… e vada come vada!”.
E fu così che i quattro decisero di completare il terzo carico il più in fretta possibile, e poi via libera all’acqua.

Ma quella notte anche all’osservatorio i ricercatori non dormivano.
Ciò che li preoccupava era il persistere dello sciame sismico, e l’epicentro troppo vicino alla superficie. Non solo: alle scosse che avevano origine dalla capitale, se ne stavano aggiungendo alte provenienti da zone differenti dell’Isola, lontane anche decine di chilometri… tutte ancora deboli, per il momento.
Verso le quattro del mattino, quando alla villa veniva presa la decisione di allagare tutto… nello stesso momento, il computer collegato alla rete di rilevatori geologici satellitari finiva l’elaborazione dei dati raccolti; dai risultati ottenuti, si deduceva che la parte dell’Isola dove si trovava il Santuario, si era abbassata di quasi un metro, e tutta l’Isola si era spostata verso sud di circa tre metri.
In effetti, se i quattro si fossero affacciati dalla terrazza e avessero guardato verso il porto, avrebbero notato che la linea del mare si era sollevata e aveva sommerso parte della banchina, o meglio, banchina si era abbassata ed era scivolata, per metà, nel mare.
All’osservatorio geologico iniziò la discussione.
Come mai si manifestavano terremoti in quella zona, che storicamente non aveva memoria di eventi sismici? L’Isola non sorgeva in prossimità di faglie…
Qualcuno avanzò delle congetture… la rottura di una zolla lungo una nuova faglia? L’imminente nascita di un nuovo vulcano, vicino alla capitale, al bordo dell’Isola? L’ipotesi più stravagante, avanzata dal fisico del gruppo, era quella che ci fosse una connessione tra i lavori eseguiti per la costruzione del Santuario e i movimenti tellurici.
Sarebbe stato opportuno fare un sopralluogo.

Per fare il sopralluogo bisognava chiedere l’autorizzazione al Ministero del Sottosuolo; all’Istituto per la protezione dalle calamità Naturali, alla Commissione Regionale di Vigilanza, all’Ufficio Tecnico Metropolitano… forse anche alla Capitaneria delle Acque… bisognava preparare relazioni per ognuno di questi enti, bisognava che le relazioni fossero inviate, esaminate, approvate e che le ispezioni richieste, dopo essere state deliberate, fossero concordate, calendarizzate…
Pur richiedendo procedure d’urgenza, potevano passare mesi; nella malaugurata ipotesi poi, che qualcuno, per un motivo qualsiasi, avanzasse obbiezioni e opponesse ricorso… ebbene, in tale caso i mesi potevano diventare anni.
Il fisico, per cercare di forzare i tempi, e poter fare i sopralluoghi in tempi brevi, decise di rivolgersi alla stampa. Fare scoppiare il caso, insinuare il dubbio e sperare in bene.
Ognuno valuti come vuole quello che successe, ma il fatto è che quasi nessun giornalista prese sul serio la congettura del fisico. Quei pochi che gli diedero ascolto e provarono a proporre ai loro direttori un servizio, si sentirono rispondere che i loro giornali non avevano intenzione di coprirsi di ridicolo avanzando ipotesi assurde.

Il caso comunque scoppiò lo stesso. La moglie del fisico aveva una sorella che si era sposata in Inghilterra, con un medico, un internista, che aveva curato per ulcere allo stomaco un capo redattore di un settimanale che non aveva tirature altissime, ma aveva comunque un suo prestigio. Diciamo pure un giornale che faceva opinione.
L’ipotesi del fisico, seguendo questo percorso tortuoso, era giunta alle orecchie del capo redattore, che, incuriosito, aveva deciso di mandare subito un giornalista a raccogliere informazioni.
Siccome il settimanale inglese aveva tendenze politiche opposte a quelle mistico-populiste dello zoppo, la questione del terremoto poteva essere l’occasione per screditare lo zoppo, la sua banda e i suoi simpatizzanti… sia sull’Isola che all’estero.
Il giornalista arrivò mercoledì sera; giovedì mattina il fisico gli spiegò per benino tutta la situazione sia geologica che burocratica e amministrativa.
Giovedì sera l’articolo era pronto; Venerdì mattina la copertina del settimanale, in tutte le edicole del Regno Unito, e non solo, mostrava l’immagine dello zoppo, in uno studio televisivo, spavaldo, sicuro di sé, con il titolo. “Quest’uomo sta affondando l’Isola?”.

Nei primi giorni di quella settimana, tutto il materiale che era stato estratto, era stato caricato sul Claretta, e nelle grotte, facendo lavorare l’idrovora a tempo pieno per mantenere l’ambiente di lavoro il più asciutto possibile, si era estratto, in un altro punto, il necessario per completare il carico.
Il servizio che apparve quel venerdì infastidì non poco i quattro amici che, visto che le acque si stavano calmando, cominciavano a pensare di fare come se niente fosse successo.
La copia del giornale stava lì, sulla scrivania.
I quattro rimuginavano ciascuno per sé. “Ve l’avevo detto io che quegli ‘antipatici e noiosi’ dell’università sono… sono proprio degli ‘antipatici e noiosi’… l’hanno trovato il modo di venire proprio a ‘seccarci’…”.
Dopo una breve pausa, il ‘professore’ parlò, e il suo discorso era già un piano: “Primo: Bisogna far girare l’idea che gli inglesi hanno messo in giro questa voce perché infastiditi dal fatto che da quando è sorto il Santuario, il turismo in Inghilterra ha subito una terribile flessione… di quanto è, più o meno?”, “… tra il due e il tre per cento…”;
“Bene, diciamo dieci… anzi dodici!... Secondo: cercare nella vita, nel passato di questo ‘antipaticissimo’ fisico, qualcosa che possa ‘screditarlo’ per benino… un’amante… figli segreti… il meglio sarebbe… non so… se avesse magari fatto delle richieste a qualche studentessa… o meglio ancora a qualche studente… denunciamo: “sesso in cambio di un voto all’esame”… Terzo: facciamo degli speciali sul tema… tipo… La scienza paralizza il progresso?... risposta: si! … e qui facciamo gli esempi di quelli che usano presunti argomenti scientifici… non dimostrati… contro lo sviluppo… come gli ecologisti, o quelli che sono contro il nucleare, contro gli OGM, contro le nanotecnologie… bisogna trovare degli altri scienziati, e fargli dire il contrario… bisogna cercare qualche scienziato fallito e fargli dire che se lui non è riuscito a fare la carriera accademica è solo per colpa della mafia di certi baroni che domina nelle università… insomma facciamo un bel ‘polverone’… spaventiamo un po’ la gente, e facciamo capire che noi siamo per il progresso che produce il benessere e ricchezza… il messaggio dev’essere: noi positivi che guardiamo avanti, loro negativi che vogliono fermare tutto… questo è un discorso che funziona sempre.”.

“Ok, comunque il carico è completo… il Claretta è pronto per partire…”, disse lo zoppo, ma il ‘professore’ lo interruppe: “No! La barca per ora resta in porto… non si può rischiare che, se parte… a qualcuno gli vengono dei sospetti.”.
Mister doppia-vu aveva ascoltato in silenzio e quelle ultime battute non gli erano piaciute. Pensò “… e se lo zoppo se la fila da solo con il carico… e ci lascia qui da soli a sbrogliare la matassa?… non mi fido…”;
“Sentite… qua bisogna parlarci chiaro… se la grotta cede, tutta questa parte dell’Isola rischia di colare a picco senza che neanche ce ne accorgiamo… se vogliamo essere sicuri… io faccio una proposta… in attesa che si chiariscano gli sviluppi… andiamo tutti e quattro a stare sulla barca… se scoppia il bubbone siamo pronti a filarcela… tutti...”.
“Si, non è una cattiva idea…” pensarono, dissero e accettarono.
“… e con la grotta cosa facciamo… la allaghiamo?...”, domandò e si rispose mister doppia.vu, “… anche per evitare che qualcuno vada a frugare dove non deve…”.
“Certo - rispose il ‘professore’ – se no, se trovano la grotta, è inutile che facciamo tutta la campagna di comunicazione…”. La reazione dello zoppo, ancora una volta, fu una bella bestemmia, non molto originale… senza fantasia, è vero, ma secca, ripetuta tre volte, in crescendo.

Dopo qualche istante di silenzio, lo zoppo si rivolse a Walter Wagner Wilfrieder: “Ci pensi tu?”; “Non c’è problema…”.
Lo zoppo raccolse alcune carte dalla scrivania nello studio; fece qualche telefonata per invitare Carlotta, Aurora, Giada, Krizia, Azzurra, Allegra…  sulla barca; poi vide la foto di suo padre nella redazione del giornale ‘La forza’ e la prese; da lì l’occhio si spostò sul quadro della donna e del maiale; si fermò un istante a guardarli; gli sembrarono imperturbabili, eterni, lontani, mentre lui stava scappando.

Nella grotta c’erano già degli esplosivi che erano serviti per aprire dei varchi; non in grande quantità, ma c’erano. Mister doppia-vu scese da solo; “…questi sono lavori… che è meglio non avere testimoni…”. Preparò i collegamenti elettrici per i detonatori; orientò le telecamere in modo da poter controllare le operazioni a distanza; restò qualche istante a guardare per l’ultima volta le pareti della grotta…
“Per costruire questo spettacolo, la natura deve avere impiegato almeno cinque, seicento milioni di anni”, ripensò, poi uscì senza voltarsi.

Pochi minuti dopo i quattro arrivarono insieme al Claretta; salirono; “Rinforzate le cime… fissatele bene …”, disse lo zoppo a un paio di marinai, pensando più a una eventuale onda anomala che al mare mosso.
Poco dopo… lo zoppo, Totò la sirena, il ‘professore’ e mister doppia-vu, con le ragazze e con il minimo di personale necessario, erano a bordo del Claretta; i quattro si riunirono nello studio.
Lo zoppo non lo amava particolarmente, quello studio… era scuro, basso… e in quel momento si sentiva particolarmente a disagio; il loro sogno non andava come avevano sperato.
Due monitor collegati con le telecamere mostravano l’interno della grotta e il dispositivo pronto.
Walter Wagner Wilfrieder, gli fece cenno, con un sorrisetto, indicando il telecomando: “A te l’onore…”; la risposta fu un gesto di stizza; “O-key!” rispose il chimico, e premette il pulsante.

L’esplosione fu poca cosa; si aprì un varco nella parete e un flusso di acqua impetuoso incominciò ad allagare lo spazio. L’acqua però correva via e si incanalava verso una grotta vicina.
I quattro restavano in silenzio a osservare lo spettacolo, incuriositi e sorpresi; dopo mezz’ora sul fondo su cui erano puntate le telecamere non si erano fermati nemmeno dieci centimetri d’acqua; eppure il flusso era abbondante.
Il reticolo di grotte era più ampio di quanto non avessero immaginato; praticamente invadeva tutto il sottosuolo; era come se l’Isola poggiasse su un immenso alveare le cui pareti, invece di essere di cera, fossero gli enormi muri di fragili cristalli; l’acqua, attraverso un imprevisto sistema di vasi comunicanti stava invadendo le cavità più profonde.
Dopo un paio d’ore, il varco attraverso cui scorreva l’acqua, per effetto del flusso, si era allargato sempre più, ma la situazione non sembrava cambiare.
Mister doppia-vu guardò i soci: “Ho idea che qui va avanti per le lunghe… io vado a riposare! Domani vediamo…”. Gli altri annuirono. Si salutarono.

Passarono alcune ore; ciascuno dei quattro si era ritirato nella sua cuccetta e dormiva; sull’Isola le attività del mattino si svolgevano normalmente; nel sottosuolo l’acqua scorreva sempre più impetuosa.
Poco prima delle dieci, lo zoppo, Totò la sirena e il ‘professore’ dormivano ancora di un sonno pesante. L’unico sveglio era mister doppia-vu; disteso sulla schiena, occhi aperti, fissi sul soffitto cercava di immaginare cosa stesse succedendo là sotto, laggiù, nella grotta. Era preoccupato, e aveva ragione di esserlo. Una delle grotte che stavano più in basso si era riempita; la pressione esercitata dall’acqua sulle sottili pareti di cristallo arrivò a un livello tale da non poter più essere sostenuta. Le pareti cedettero. Uno schianto sotterraneo; un’onda alta decine di metri andò a sbattere conto la parete successiva. Le pareti cadevano come le tessere del domino; i soffitti, senza più sostegno collassavano sui pavimenti sottostanti. La magnifica struttura che si era formata e consolidata nel corso di almeno cinque o seicento milioni di anni, si stava frantumando in pochi istanti.
Era come se l’Isola, fino a quel momento si fosse retta su quella bolla d’aria. Ora che la bolla era invasa dall’acqua, quella cavità, che per millenni l’aveva sostenuta… ora si era trasformata in un peso; un peso insostenibile; un peso che ora la trascinava a fondo.

Tutta l’Isola cominciò a tremare; i sensori dei sismografi cominciarono a vibrare freneticamente.
I fedeli e i turisti nel tempio videro la grande statua del Sacro Sguardo oscillare, cadere e andare in frantumi, e mentre la terra sotto i loro piedi sobbalzava, si buttarono in ginocchio chiedendo perdono per i loro peccati. Qualcuno si gettò a raccogliere qualche scheggia del marmo bianco della statua.
Sopra di loro crepe lunghissime si aprirono nella cupola… e la cupola crollando li travolse.
Crollarono i casinò, che già erano aperti; crollò il parcheggio, accartocciandosi su tutte le auto che conteneva; crollò la torre da cui si vedeva e si era visti in tutta l’Isola; crollò la torre di controllo dell’aeroporto, con tutta la struttura dei terminal e degli hangar.
Crollarono i negozietti del nuovo centro commerciale, e i grandi negozi, i bei negozi, delle vie del centro.
Crollarono gli appartamenti della gente comune e le belle ville dei quartieri esclusivi,
crollarono i palazzi delle banche, coi loro uffici dei direttori generali;
crollarono i palazzi delle televisioni, coi loro studi, e quelli dei giornali, con le loro redazioni.

Solo sul Claretta nessuno si accorse di nulla; il terremoto si sommava al normale rollio delle onde e non lo si poteva distinguere.
Ma dopo il crollo successe la cosa più incredibile che si potesse immaginare: l’Isola incominciò a inclinarsi… a inclinarsi e a scivolare. Si era spaccata nel mezzo come un panino e mezza sprofondava a nord, mentre l’altra metà si inabissava a sud. Incredibilmente successe tutto in pochi minuti.
In pochi minuti l’Isola non c’era più…

E i quattro amici? I quattro amici erano sulla barca… la barca era ben fissata con le cime alle bitte del molo; il molo, col parco, con la villa, con tutto quello che questa conteneva… il molo, fu la prima cosa a sprofondare, e sprofondando portò con sé la barca con tutti quelli che stavano a bordo; e così lo zoppo, il ‘professore’, Totò sirena e mister doppia-vu, insieme, furono inghiottiti nel profondo degli abissi. Amen.

Che fine da fessi! Direte voi. Certo! “han fatto la fine del topo”, ma del topo fesso, però, perché, quando la nave sta per affondare, i topi sono i primi a scappare; almeno così dicono. Questi invece si sono proprio messi in trappola da soli.
Lo so, sarebbe stata più letteraria e intrigante una fine eroica, o almeno piena di grandezza, magari con un bel discorso finale come Macbeth, o almeno con un’invettiva, come Timone d’Atene. Ma i tempi di Shakespeare sono finiti da un pezzo… niente più grandezza…
I nostri personaggi erano dei mediocri; da mediocri sono vissuti e da mediocri sono morti… e io purtroppo, non sono uno che inventa le storie; io le racconto solo, semplicemente, così come sono andate nella realtà… o almeno, come credo che siano andate.
Da Shakespeare potremmo citare solo “il resto è silenzio”, perché solo il silenzio, è quello che c’è stato dopo. Si, perché nel resto del mondo, si fece moto in fretta a dimenticare l’Isola del Sacro Diamante; l’Isola, aveva fatto comodo a molti… c’erano state complicità, compiacimenti… alcuni avrebbero voluto prenderla a modello; ora molti si vergognavano. Meglio che “la storia dell’Isola” diventasse il prima possibile, “la leggenda dell’Isola”… un po’ come Atlantide… e così è stato… 

Vi chiederete come sono venuto in possesso di queste notizie, e come ho ricostruito questo racconto.
È molto semplice… avevo detto che più o meno tutti, sull’Isola, vedevano di buon occhio lo svilupparsi dell’impresa… “più o meno tutti”: tra quelli “meno”, c’era un vecchio maestro. Un maestro di scuola, in pensione.
Da giovane aveva lottato contro gli stranieri invasori e contro i collaborazionisti del pugile.
Era stato imprigionato, torturato e condannato a morte. Era evaso per una serie di favorevoli coincidenze ed era riuscito a salvarsi. Alla fine della guerra gli avevano proposto di entrare in politica, di diventare ministro, onorevole, sindaco… ma lui aveva rifiutato; sosteneva che, un maestro dovesse “solo” insegnare ai bambini ed educarli al rispetto reciproco, al pensiero, alla bellezza, alla poesia, all’arte… questo bastava.
Da quando era andato in pensione viveva nella sua piccola casa, sulla collina, nella parte alta della città, da dove vedeva declinare le case verso il mare. Passava le giornate a leggere vecchi romanzi, vecchie riviste d’arte, qualcosa di filosofia… scriveva il diario e disegnava quello che vedeva dalla finestra di casa.
Quando ci fu il primo terremoto, capì subito come sarebbe finita la storia, ma non pensò neanche per un minuto all’idea di lasciare la sua casa. Tirò su dalla cantina una vecchia damigiana, la lavò bene-bene, l’asciugò, cercò un tappo che garantisse la salvaguardia del contenuto, e incominciò a introdurre pagine di diario e disegni. Andò avanti così, giorno dopo giorno, fino alla fine.

Quel giorno mentre tutto si perdeva negli abissi, la damigiana (che era stata collocata sul tetto della casa), sola, rimase a galla e, portata dalle correnti, arrivò fino alla spiaggia sulla quale d’inverno, nelle giornate di sole, compio le mie passeggiate lunghe e solitarie. È stato proprio durante una di queste passeggiate che l’ho recuperata con le sue carte dalle quali ho potuto ricostruire questa storia.
Alcuni, certo più furbi e scafati di me, sostengono che si tratti solo di un grande scherzo; hanno trovato incongruenze nel racconto e sono convinti che qualcuno abbia inventato tutto… e, per divertimento, abbia infilato i finti diari e i disegni nella damigiana, e abbia aspettato poi di vedere l’effetto che avrebbe prodotto il ritrovamento…
Secondo loro in realtà, l’Isola non è mai esistita e quello che ho raccontato non è mai successo.
In effetti questa non è una storia molto bella da raccontare. Troppi cattivi, troppi stupidi… e i giusti sono troppo pochi e non contano quasi niente.
Forse hanno ragione loro... ma io questa storia la racconto lo stesso, perché credo che valga la pena di rifletterci su, comunque.

PS. Se vi fosse rimasta ancora una curiosità: … ma i soldi… tutti i milioni che i quattro avevano depositato sui conti della Great Black Hurricane Bank… che fine hanno fatto?... chi è che se li è goduti?...
La risposta è la più semplice che si possa immaginate: le tre mogli… e gli orfani di Bucarest!





[1] Per quanto ne so, la sigla UHG12 non significa assolutamente nulla.

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