Un
rosario per A
Luigi Alcide Fusani
Corso Pavia,
26
27029 –
Vigevano (PV)
+39 0381
903246
+39 338
8262665
Un rosario per A - by Luigi Alcide Fusani is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License
Giugno-Luglio
2013
Gloria.
“La narrativa dice la verità in un'epoca in cui
le persone cui è demandato di dire la verità inventano storie.
I politici, i media, coloro che creano le opinioni, in effetti, inventano
storie.
E allora diventa dovere di uno scrittore cominciare a dire la verità”.
Queste parole sono di Salman Rushdie.
Per poter dire la verità bisogna cercare di capire, e bisogna ricordare.
Per
capire occorre l’intelligenza, cioè la fantasia che sa scoprire collegamenti
che uniscono eventi e realtà apparentemente separati e lontani.
Ma
per capire, l’intelligenza da sola non basta.
Occorre
anche la sensibilità.
La
sensibilità è quella qualità che permette di distinguere ciò che ha valore
da
ciò che ne ha meno, o non ne ha del tutto.
Dopo
aver capito, ricordare è necessario.
Ricordare
è necessario per non commettere di nuovo errori e ingiustizie.
La
memoria quindi è un atto rivoluzionario.
Coltivare
l’intelligenza, la sensibilità, la memoria richiede onestà.
L’onestà
richiede sacrificio.
Il
sacrificio porta spesso dolore.
Molti
non vogliono soffrire e quindi sono dediti alla pratica di coltivare l’oblio; di
non voler vedere; di non voler sentire; di non voler capire.
Io
vorrei cercare di capire come è stato possibile che siamo diventati quello che
siamo:
gente
che non vuole vedere, che non vuole sapere, che non vuole capire.
Gente
che si accontenta di un mondo fasullo, dove l’amicizia è quella che si chiede e
si dà su Facebook; dove la bellezza è quella della bambolina americana; dove ci
si accontenta di una verità di plastica, ritoccata al photoshop, politicamente
corretta, nel rispetto della privacy… nella sicurezza di non prendere denunce e
querele.
Sono
davanti al computer da alcuni giorni e sto cercando di mettere ordine nel caos
in cui mi trovo da una mattina di alcune settimane fa.
Voglio
resistere alla tentazione dell’oblio. Non voglio dimenticare che alcune
settimane fa,
una
ragazza di 17 anni si è uccisa facendosi investire da un treno.
La
chiamerò semplicemente A. Più avanti spiegherò perché.
Ormai
quasi nessuno parla più di lei, come se non fosse mai esistita.
Quasi
nessuno parlava di lei neanche quando era viva.
Mi
viene in mente Pasolini, La Ricotta…
"Povero Stracci. Crepare... non aveva
altro modo di ricordarci che anche lui era vivo...".
Ma
in quest’epoca distratta, anche morire non basta per avere attenzione; al
massimo qualche lacrima, qualche chiacchiera, un po’ di pietà.
·
Nel primo mistero doloroso si contempla
la disperazione di Maria
La
sera prima.
Vicino
a casa mia, che è vicino alla stazione, il traffico è bloccato; ambulanze e
mezzi di soccorso; treni soppressi… ci deve essere stato un incidente. Domani
leggeremo sui giornali.
…
non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.
La
mattina dopo.
A
scuola; sono in sala professori. Alcune colleghe, in disparte parlano sotto
voce. Verifico l’orario; tolgo dal cassetto i libri che mi servono per le
lezioni.
Arriva
Maria; si butta tra le braccia di un’altra collega e scoppia a piangere; è
devastata dalla disperazione. “Non ce l’ho fatta… non ce l’ho fatta…”, ripete
schiacciando con forza un fazzoletto contro il volto.
Maria
è la mia collega che tra le altre cose, si occupa anche di educazione alla
legalità.
Per
molti ragazzi e ragazze, privi di punti di riferimento adulti, lei è una madre;
per questo la chiamerò Maria.
Cerca
di ricomporsi. Mi avvicino a lei. “Che è successo?”.
“Ti
ricordi? Te ne avevo parlato… si è fatta investire dal treno…”
“Ieri
sera?”
“…
ha detto che prendeva un gelato e rientrava subito… si è messa le cuffie e si è
avviata lungo i binari… l’aveva detto ieri mattina a scuola, alle sue amiche… le
aveva salutate… aveva detto ‘quasi-quasi stasera mi faccio una passeggiata sui
binari’… ma non avevano pensato… il macchinista l’ha vista, era distesa in
mezzo ai binari, a duecento metri dalla stazione… ha cercato di frenare, ma non
è riuscito…”
Qualcuno
ha domandato qualcosa che non ricordo
“Adesso
è all’ospedale di Y, in coma… è in condizioni disperate… dopo proviamo a
telefonare… facciamo telefonare dal preside… a noi non rispondono…”
“Ti
ricordi? Te ne avevo parlato”.
Si.
I ricordi riemergono a uno a uno, nel corso della mattina… anche se A, io non
l’ho mai conosciuta.
Forse
l’avrò incrociata qualche volta all’ingresso della scuola, sotto il grande
porticato di quel monumento che è stato adattato a istituto superiore, ma non
era una mia alunna, e nessuno me l’ha mai presentata.
Quindici
giorni prima mi era stato chiesto di sostituire una collega che, per un lutto
improvviso, non poteva accompagnare una classe nella visita ad alcuni beni
sequestrati alla criminalità organizzata.
In
autobus avevo scherzato con i ragazzi su accelerazione centripeta, inerzia,
forza di trascinamento, sistemi di riferimento. Dopo una breve camminata nella
periferia, eravamo arrivati alla proprietà.
Due
villette sullo stesso terreno. La prima ora è adibita a centro in cui i ragazzi
sottratti alle famiglie e sottoposti a tutela, possono incontrare alcuni
parenti, alla presenza dei responsabili.
L’altra
è diventata un centro educativo e al pomeriggio accoglie ragazzi provenienti da
famiglie in difficoltà; qui si fa un po’
di doposcuola e qualche attività ludica.
Ci
spiegano che la prima era la villa in cui risiedeva la grande famiglia; il
capo, i figli e gli altri associati. La seconda…
La
seconda serviva per certe attività. Porte e finestre erano state murate, e si
poteva accedere solo dall’entrata del box. Le persone prese di mira;
commercianti, artigiani, gestori di bar… dopo essere stati prelevati, venivano portati
all’interno della villetta, e qui minacciati e intimiditi.
Nel
giardino una volta, c’erano numerose statue, grandi pacchiane; Sacri cuori,
Madonne, protettori e santi tutti.
Dietro
il giardino stalla e maneggio per il figlio piccolo, appassionato di
equitazione.
·
Nel secondo mistero doloroso si contempla
la testimonianza di una madre
Dopo
una breve presentazione viene data la parola a una signora anziana.
La
chiamerò Niobe… mi ricordo che a questo personaggio, per non so quale sgarbo o
atto di superbia nei confronti degli dei, furono uccisi tutti i figli, e la sua
vita fu solo lacrime.
È
meridionale; vestita di nero; la criminalità organizzata le ha ammazzato la
figlia.
Gliel’hanno
ammazzata a sassate. Lapidazione.
La
sua testimonianza è terribile. Porta con sé tutta la forza tremenda della
realtà.
Gli
studenti non fiatano.
La
signora tesse la sua trama con passo lento, ordinato e ostinato.
L’abbandono
del marito che la picchiava.
Il
lavoro di operaia per mantenere se stessa e le due figlie.
I
primi segni di disagio della piccola.
La
perdita del lavoro, le difficoltà; la scoperta che la ragazza si droga; le frequentazioni
pericolose; la mancanza di aiuto da parte delle autorità.
Lo
scivolamento inesorabile verso la tragedia.
Il
ritrovamento della figlia col cranio fracassato, massacrata in un bosco vicino.
La
denuncia contro i presunti colpevoli.
L’ostinazione
a cercare giustizia, anche se sconsigliata da tutti… parenti, amici, conoscenti…
tutta gente di buon senso; “Che te ne frega… tanto tua figlia non può più
tornare”.
La
guida di Libera, racconta la solitudine di Niobe in tribunale, senza un
parente, un conoscente… seduti accanto a lei, contro la schiera degli imputati,
sostenuti dalle famiglie; con lei solo i volontari a turno.
Tra
tutti noi che ascoltiamo non c’è un movimento.
Dopo
qualche minuto di silenzio, un applauso liberatorio e di ringraziamento.
Prima
di riprendere la visita, una breve panoramica delle attività delle famiglie… qualche
considerazione conclusiva… e qualche ammonizione a essere vigilanti su quelle
piccole cose a cui superficialmente non si pone attenzione, ma che di fatto
favoriscono e arricchiscono la criminalità: il consumo di sostanze illecite
anche leggere e poco dannose; l’accettazione e la giustificazione della
evasione fiscale e del lavoro nero, compreso quello delle prostitute; la
partecipazione a forme di gioco d’azzardo come le slot machines, apparentemente
lecite, ma in grandissima parte imposte ai gestori dei locali e controllate. I
locali dove le ‘famiglie’ controllano il gioco, rendono alle famiglie stesse,
decine e decine di migliaia di euro al giorno… ma anche i proprietari dei
locali sono contenti; chi entra per giocare poi consuma.
Chiedo
quale fosse stata la reazione dei vicini, alla presenza di questo nucleo.
Positiva mi rispondono. Quando la famiglia è stata arrestata, i vicini
sostenevano che il “dottore” e i suoi parenti fossero delle brave persone.
Avevano anche raccontato che quando un gruppo di zingari, si era accampato lì
vicino, il ‘dottore’ aveva mandato tre dei suoi uomini, e il giorno dopo gli
zingari non c’erano più. Meglio i mafiosi degli zingari; gli zingari rubano.
Meglio i mafiosi della polizia; quelli i delinquenti li proteggono… e poi,
quelli vincono gli appalti al ribasso, e il comune risparmia, ma risparmia
anche chi lavora, perché chi lavora con loro, lavora in nero, e guadagna di
più.
Mentre
proseguiamo la visita e ci rechiamo allo spazio in cui ci sarà fornito il
pasto, io e Maria chiacchieriamo. Lei segue alcune delle ragazze che sono state
allontanate dalle famiglie.
Mi
dice: “In questa Italia, in questa città, succedono cose che non si riesce a
immaginare”.
Mi
racconta di una bambina di due anni; la settimana prima la madre l’ha portata
in ospedale. Pare che il padre ne avesse abusato brutalmente. Ora madre a
bambina sono state allontanate dalla città, e il padre è stato arrestato.
Mi
parla di A; una ragazza ospite in una casa di accoglienza. Adesso ha 17 anni;
quando ne aveva 7 o 8, il padre era
morto.
A,
la mamma e il fratello minore erano rimasti soli.
Il
fratello del padre era entrato nella famiglia e si era sostituito al fratello
morto.
Due
anni prima, alcuni insegnanti avevano percepito il disagio.
A si
tagliava… si feriva continuamente all’inguine come se volesse asportarsi il
sesso.
A forza di
tagliarsi le era venuta una cicatrice dura e callosa che si spaccava continuamente
e non si rimarginava. Avrebbe dovuto sottoporsi a una plastica.
La
psicologa della scuola era riuscita a farla parlare. A aveva raccontato che lo
zio abusava di lei da dieci anni, fin da quando era arrivato in famiglia.
L’uomo
negava. La madre negava. I referti medici confermavano.
La
ragazza e il fratello erano stati sottratti alla famiglia; l’uomo mandato a
processo.
“Staremo
a vedere” conclude, Maria.
Devo
dire che non so quali rapporti, quali contiguità, esistessero tra questa
famiglia e la criminalità organizzata; non ci siamo soffermati sull’argomento.
La
mattina è passata.
Esco
di scuola; all’edicola lo strillo del giornale locale a lettere cubitali: Sfiorata
dal treno, gravissima 17enne
·
Parentesi in cui si contempla la banalità
della cronaca
La
banalità della cronaca, incapace di cogliere anche un solo pallido riflesso
della tragedia che si è compiuta dopo anni di silenzio.
Sfiorata dal treno, gravissima 17enne
|
|
|
|
... Una studentessa … di 17 anni, … , è stata investita ieri, verso le 19,
da un treno della linea ferroviaria PQ, ed è ricoverata in gravissime
condizioni all’ospedale di Y, nel reparto di Rianimazione. L’incidente è
avvenuto tra il passaggio a livello di via R e quello di via S a circa duecento
metri dalla stazione ferroviaria.
Non sono ancora chiare le cause dell’investimento. Sono in corso
accertamenti da parte della polizia ferroviaria. Sul posto anche polizia locale
e vigili del fuoco. Per ora i responsabili degli accertamenti non escludono
alcuna ipotesi: da un incidente nel tentativo di attraversare i binari (la
giovane portava le cuffiette per sentire la musica) all’eventuale gesto
volontario. Il treno coinvolto è il regionale 123: arrivava da P e stava
rallentando per entrare in stazione. Stando a una prima ricostruzione …, la
giovane sarebbe stata vista distesa tra i binari, il corpo parallelo rispetto
alle rotaie: il macchinista ha tentato in tutti i modi di frenare.
La ragazza è stata colpita alla testa. Subito è stato chiesto l’intervento
del 118 …. Gli operatori del soccorso sono stati costretti a lasciare i mezzi in
via R e a procedere per un centinaio di
metri a piedi lungo la massicciata, per raggiungere il corpo della 17enne,
estratto da sotto il treno dal medico del 118. E’ iniziata una lunga e intensa
manovra di rianimazione, quindi la studentessa è stata caricata sull’ambulanza
della Croce Azzurra e trasferita all’ospedale ...
Il traffico ferroviario … è rimasto fermo due ore, fino alle 21: quattro i
treni soppressi.
Nella fotografia che accompagna l’articolo, alcuni uomini con giacconi neri
e casco (forse vigili del fuoco) con altri uomini dai giacconi fluorescenti
rossi e gialli, trasportano una barella, lungo i binari, costeggiando un treno
bianco e azzurro, fermo.
Questa è l’informazione. Dove è avvenuto l’incidente; come; quando.
I vigili del fuoco, polizia locale e il pronto intervento si sono comportati
come si deve, e dopo un paio d’ore, tutto ha ripreso a funzionare come si deve.
Tranquilli. Come se niente fosse successo.
Il pomeriggio passa nell’attesa e nella speranza. Qualche telefonata; forse
la situazione non è così grave come sembra. “… ma il coma è reale o è indotto
farmacologicamente?...”. All’ospedale
dicono di non continuare a chiamare continuamente. “La situazione è
gravissima”.
Maria organizza qualche momento di preghiera.
Tra la correzione di una verifica e l’altra, cerco di ricostruire il
puzzle.
“Si
tagliava, si feriva all’inguine come se volesse asportarsi il sesso”.
Mi viene in
mente un film di Bergman, un film degli anni 70; la protagonista odiava
talmente il marito che infilava un coccio di un bicchiere di cristallo nella
vagina per impedirgli, per sempre, di fare sesso con lei.
Forse anche
A si feriva per cercare di impedire allo zio di prendersi il rapporto con lei.
Si parla tanto, e giustamente, di femminicidio. Di donne uccise dagli
uomini… e va bene; ma dovremmo inserire nella riflessione, nel calcolo, anche
le donne che per disperazione, per mancanza di una via d’uscita, sono indotte a
farsi del male da se stesse.
Due
giorni dopo A muore. Nessuno strillo sulle locandine, né nelle pagine interne.
|
|
|
|
Morta la studentessa
colpita dal treno
E’ morta dopo due giorni di agonia in ospedale: non ce l’ha fatta la 17enne
studentessa dell’istituto ABC investita da un treno nel tardo pomeriggio di
mercoledì, fra il passaggio a livello di via R e quello di via S.
Non si esclude che abbia voluto togliersi la vita. In base agli
accertamenti della polizia ferroviaria di X la ragazza – che avrebbe compiuto 18
anni fra due mesi - si sarebbe sdraiata sui binari, ma all’ultimo momento
vedendo arrivare il treno regionale 123, avrebbe tentato di evitarlo.
Inizialmente, il fatto che avesse le cuffiette per ascoltare musica aveva
fatto pensare che non si fosse accorta del treno in transito. Comunque, il
macchinista non è riuscito a frenare in tempo: la motrice del convoglio ha
colpito la studentessa alla testa. La 17enne è stata ricoverata in Rianimazione
all’ospedale di Y con lesioni gravissime
al capo. Il decesso è stato dichiarato alle 19 di venerdì.
Verrà eseguita l’autopsia, poi sarà possibile stabilire una data per i
funerali. Da due anni la ragazza viveva in comunità: è stata allontanata dalla
famiglia di origine, a causa di presunti abusi sessuali nei suoi confronti da
parte di un parente, verso il quale è in corso un procedimento penale dopo la
denuncia presentata dalla studentessa. Anche il fratello minorenne vive nella
stessa comunità.
Il giorno dell’incidente, la ragazza nel primo pomeriggio aveva incontrato
la madre (il padre è morto qualche tempo fa), all’interno della comunità
protetta. Si incontravano una volta la settimana, sempre alla presenza di un
educatore, per ordine del giudice. Pare che madre e figlia abbiano avuto
un’accesa discussione, come spesso avveniva durante i loro colloqui. Dopo
qualche ora la studentessa è uscita. Verso le 19 l’incidente sui binari della
linea PQ . La notizia della morte si è diffusa rapidamente anche fra gli
insegnanti e i compagni della 17enne.
Ieri mattina, all’uscita degli studenti… , erano molte le compagne in
lacrime. «La scuola è in lutto – diceva il preside … – riesce difficile credere
che abbia voluto togliersi la vita. Era un’ottima studentessa, pur con i suoi
gravi problemi famigliari e un carattere molto chiuso e riservato. Negli ultimi
mesi però sembrava più aperta verso il mondo».
“…riesce difficile credere che abbia voluto togliersi la vita. Era
un’ottima studentessa, pur con i suoi gravi problemi famigliari e un carattere
molto chiuso e riservato. Negli ultimi mesi però sembrava più aperta verso il
mondo».”.
Nessun commento… anche se nell’articolo si accenna brevemente a qualcuno
dei reali problemi della ragazza.
Il giorno dopo, l’ultimo articolo.
Studentessa 17enne investita dal treno, oggi l’autopsia
Investita da
un treno, è morta dopo due giorni di agonia in ospedale.
Dovrebbe
essere eseguita oggi l’autopsia sul corpo della studentessa 17enne, allieva
dell’istituto professionale … . Una volta eseguita l’autopsia, potranno essere
decisi data e luogo dei funerali della ragazza. «Sicuramente i suoi compagni di
classe prepareranno un ricordo da leggere in chiesa durante il rito funebre
diceva ieri il preside della scuola.
La ragazza
lascia la madre e un fratello. Da un paio d’anni però non viveva più in
famiglia: il tribunale ha deciso di collocarla in una casa di accoglienza, per
sottrarla a una situazione famigliare molto difficile. Non si esclude, in base
alla dinamica accertata dalla polizia ferroviaria che la 17nne abbia voluto
togliersi la vita.
Dopo questo articolo su A scende il silenzio definitivo della stampa. Perché tanto pudore? Perché tutto
questo silenzio? Per la legge sulla privacy? Ma questa legge, non sarà un
comodo alibi?
E se questa
reticenza nascondesse una volontà del giornale di non compromettersi…
non
compromettersi per non rischiare querele, problemi…
In realtà l’autopsia viene eseguita dieci giorni dopo.
·
Nel terzo mistero doloroso si contemplano
i pensieri cattivi della notte nell’attesa dell’autopsia
Io non dubito che il giudice, le autorità, abbiano voluto sgombrare il
campo da ogni incertezza; non dubito che abbiano voluto chiarire tutti gli
aspetti della vicenda.
Tuttavia ho sofferto. Ho sofferto soprattutto di notte.
Ho sofferto e ho fatto pensieri cattivi.
Mi sono chiesto… ma perché un uomo adulto si accoppia più e più volte con
una bambina… per anni? Per piacere?... non mi sembra possibile!
Forse per devastare in lei ogni dignità, ogni speranza di futuro… forse solo
così avrebbe potuto farne una schiava e venderla… e come è possibile che la
madre lo permetta?
Lo so, certo non sarebbe stata la prima donna a essere ridotta in schiavitù
e ad essere venduta.
Che
visione del mondo hanno questa donna e quest’uomo? … disposti ad annientare una
figlia per la propria sopravvivenza.
E
ancora: che società è una società che non è in grado di proteggere i suoi elementi
più deboli…?
I
suoi figli…? Quali sono le vere priorità, per la nostra società?
E
perché ora, l’autopsia; un ulteriore strazio del corpo. Per sapere cosa?
Cosa
cercavano i medici e i giudici nelle sue viscere…?
Volevano
sapere se la ragazza era incinta?
Sarebbe
stata una bella perdita di credibilità per una ragazza che accusava di essere stuprata
in famiglia.
Volevano
sapere se faceva uso di droghe?
Forse
avrebbe fatto piacere a qualcuno, se si fosse uccisa in preda a sostanze che
alterano il senso di realtà.
Volevano
sapere se era sieropositiva? Se c’era una motivazione ‘altra’, per uccidersi?
Perché
solo ora si vuole scoprire la verità? Quale verità si spera di trovare?
Il
suo corpo insepolto, come quello di Antigone suicida nella cava, mi angoscia e non
mi lascia dormire.
È
in memoria di Antigone che ho deciso di chiamarla A.
A
come Antigone che non riesce a dormire sapendo il corpo del fratello insepolto,
e vaga fuori delle mura della città confidando a Ismene progetti d’azione.
Come
Antigone non riesco a dormire, sapendo il corpo di A steso al freddo della
cella frigorifera, in attesa di essere sventrato da una autopsia che mi pare
contemporaneamente giustificabile e folle…
Non
ho la minima idea di cosa fare.
Schiacciato
dall’impotenza assoluta, non mi resta che scrivere.
Ho
cominciato citando:
“La narrativa dice la verità in un'epoca in cui
le persone cui è demandato di dire la verità inventano storie.
I politici, i media, coloro che creano le opinioni, in effetti, inventano
storie.
E allora diventa dovere di uno scrittore cominciare a dire la verità”.
La
verità non la so, ma almeno voglio provare a capire.
Mi
torna alla mente il caso di Violette Noziere, e mi dico che 80 anni sono
passati inutilmente.
Violette
Nozière: credo che pochi ricordino la sua storia, anche se negli anni 70 ne era
stato ricavato un film di un certo interesse, e prima ancora Breton e Eluard,
dedicandole poesie ed opere d’arte, ne avevano fatto un’eroina; un modello di resistenza all'autoritarismo familiare e all'ipocrisia
sessuale borghese.
Violette, nei primi anni 30, tentò di uccidere il padre e la madre, con
veleno e gas. La madre riuscì a salvarsi, ma il padre morì. Violette dichiarò
che i suoi genitori se l'erano meritato; accusò il padre di aver abusato di lei sin dall'età di dodici
anni, e accusò la madre di non essere mai intervenuta in sua difesa. La madre
per tutta la durata del processo, continuò a negare le dichiarazioni della
figlia.
Dopo un anno di processo, Violette fu condannata a morte.
I giudici, e l’opinione pubblica rifiutarono di credere a Violette;
l’accusarono di prostituzione; di condurre una vita immorale, e di avere
cercato di ammazzare i genitori per impadronirsi dei risparmi di famiglia.
Fece scalpore il fatto che, alla fine del processo la madre si fosse rivolta
ai giudici implorando “Pietà per la mia bambina!”
La pena di morte, poi venne commutata in ergastolo; l’ergastolo in 12 anni
di lavori forzati, e così nel 1945 Violette fu definitivamente liberata.
In seguito si sposò con un dipendente di un carcere in cui era stata
rinchiusa, ed ebbe 5 figli.
Nel 63, tre anni prima di morire, fu riabilitata completamente.
Ora
mi domando: cosa sarebbe successo se A avesse ucciso lo zio, o la madre, o
tutti e due?
Che
titoli avrebbero dominato sulle pagine dei giornali?
Che
parole sarebbero state utilizzate per parlare di lei? Assassina, mostro, raptus
di follia… avrebbero fatto riferimento ad altri casi di cronaca? Chi sarebbe
stato disposto ad ascoltare, a dare credito alle sue giustificazioni? Chi si
sarebbe impegnato a sostenere la legittima difesa?
I
10 giorni in attesa dell’autopsia scorrono lentissimi…
Qualcuno
mormora che ultimamente la ragazza si era avvicinata a una setta satanica… si
vestiva di nero… ascoltava musica di certi gruppi…
Non so se sia vero, ma se ci fosse qualcosa di vero sarebbe un altro motivo
di rammarico; vorrebbe solo dire che A aveva mandato un segnale e il mondo
intorno a lei non lo aveva ascoltato; un segnale, una metafora, un’allegoria:
io sono all’inferno… nessuno sa togliermi da qui… e va bene, io ci sto!
Una
mattina incontro Maria nell’androne della scuola; ha in mano una cornice con
una fotografia e un mazzo di fiori blu… un bouquet:
“…
sono da mettere sul suo banco… il blu era il suo colore preferito…”
Mi
fa vedere la foto in cornice: “… di foto, abbiamo ingrandito questa… è l’unica
dove si veda il viso… non voleva farsi fotografare… e poi aveva sempre un
ciuffo… tutti i capelli sulla faccia… questa l’aveva fatta due mesi fa… si era
fatta fare un taglio che le scopriva un po’ il viso”.
Guardo
la foto; A non sorride; non guarda nell’obbiettivo; il viso è magro, lungo… non
mi ricordo di averla mai vista.
Maria
si avvia verso la classe, accompagnata dalle compagne di A. Nel dolore sembrano
quasi contente, di aver fatto questa piccola cosa per la loro compagna.
Finalmente
la notizia: L’autopsia è stata fatta.
Penso
che questa angoscia per corpo insepolto sta per finire; chiedo quando sarà il
funerale.
Non
si sa.
Prima
il giudice si deve pronunciare su un quesito importante: chi paga il funerale?
Grottesco!
La
madre? La madre no! Forse non vuole, forse non ha le possibilità… ma comunque
la madre ha detto di no!
La
comunità? La comunità è sempre alla canna del gas… no, pare di no.
Il
comune? Eh, no! Perché deve pagare la comunità (che ha già subito tanti disagi
il giorno dell’incidente) per un funerale privato? No. Il Comune no!
La
scuola? Si può fare una colletta a scuola? No. Non si può! Perché? Non lo so…
nessuno lo sa.
Una
cosa è sicura: la scuola assolutamente no!
Se
non fosse una tragedia sarebbe una farsa.
Deciderà
il giudice… tra 3, 4, 6 giorni… chissà…
La
burocrazia come nuovo Creonte, tiene il corpo di A ancora insepolto.
A,
come Antigone, smembrata, nel gelo della cella frigorifera, deve aspettare
altri 3 o 4 giorni, prima che arrivi la sentenza del giudice.
Finalmente,
il giudice stabilisce che il funerale lo deve pagare il Comune.
·
Nel quarto mistero doloroso si contempla
il funerale di A
Arrivo
alla chiesa.
È
un edificio costruito di recente.
La
pianta è quadrata, con l’altare in un angolo.
Lo
spazio per i fedeli è leggermente in discesa.
La
luce entra da vetrate a motivi geometrici multicolori: spirali e vortici
intrecciati.
Sono
in anticipo e quindi faccio un giro in cerca di un posto in cui sistemarmi.
Passo
davanti a una specie di cappella che ha al centro una statua di terracotta di
Padre Pio, con uno sguardo allucinato e terribile, che sembra uscita da quel
film di Fellini in cui Terence Stamp è braccato dal diavolo nei panni di una
fanciulla inquietante.
C’è
un’altra cappella laterale, dedicata ad accogliere i gonfaloni vinti dalla
contrada nel palio cittadino.
Quadri
discutibili, con prospettive approssimative, colori scialbi e figure umane
sproporzionate, opera di banali pittori
dilettanti del luogo.
Il
palio cittadino… mi viene in mente una frase di uno scrittore tedesco che non
molti anni fa diceva più o meno: gli italiani sono un popolo strano… una volta
all’anno sfilano in costume e credono di essere liberi…
Mi
siedo in un angolo sperando che nessuno che io conosco venga a sedersi accanto
a me. So di essere molto emotivo e non vorrei farmi vedere dagli studenti mentre
non riesco a trattenere il pianto.
Cominciano
ad arrivare le compagne. Le guardo con una attenzione che non posso avere a
scuola dove devo tenere a bada la classe, compilare registri, avanzare coi
programmi, spiegare, far fare verifiche.
Oggi
le guardo come sono nella loro realtà.
Alcune
hanno la faccia già gonfia per il pianto; gli occhi arrossati; lo sguardo
attonito.
Sono
davanti alla morte, a qualcosa di troppo grosso, che non capiscono, che non
sanno come affrontare e che le schiaccia.
Quasi
tutte sono troppo grasse, altre sono troppo magre, altre ancora troppo piccole.
Tutte
sono sgraziate, infagottate nei giubbotti, nelle felpe o nei maglioni.
I
capelli… molte, sembra che non si siano nemmeno pettinate… le acconciature
improbabili, approssimative, sciatte…
Tutte
portano jeans… alcuni pieni di buchi procurati ad arte dai produttori stessi:
una stupidaggine che in questa occasione si manifesta in tutta la sua mancanza
di senso.
Tutte
portano scarpe da tennis, di tutte le marche possibili.
Quanto
è lontana questa Italia reale e poetica che ora è qui vicino a me, dalla
rappresentazione che ne viene fornita.
Sono
ragazze povere, destinate ad essere escluse. Sono allo scoperto, indifese,
reali. Loro lo sanno; lo sentono. Tra di loro, a volte, quando si sfottono, si
mettono sulla fronte la mano con tre dita chiuse e solo l’indice e pollice
tesi; lo mettono in modo che si legga una L: la elle di looser.
Sono
quelle che non potranno mai nemmeno lontanamente avvicinarsi a quel modello di
successo… quel modello televisivo patinato…
magra-sorridente-firmata-truccata-pettinata… una Barbie vivente, accompagnata
da calciatore.
Sono
ragazze per le quali la scuola, un professionale, non sarà mai un ascensore sociale.
Sarà
tanto se fornirà loro gli strumenti per sfangare la vita.
Che
questa scuola, (di cui la maggior parte non capisce nemmeno il senso…) possa
fornire loro gli strumenti per interpretare il mondo, e per agire in esso, non
è nemmeno una illusione.
È
arrivata anche Maria. Sistema una fotografia vicino all’altare; come una brava
donna di casa, dispone meglio i fiori e le corone; distribuisce ai ragazzi
foglietti con letture, pensieri…
Comincia
la messa: musiche sciatte… accordi scordati di chitarre… una voce senza grazia né
garbo intona canti per nulla armonici …
Le
letture vengono fatte dai ragazzi che mettono le parole in fila, senza tirare
fiato, senza colore, senza intenzione, biascicandole rapidamente…
Il
prete pronuncia una omelia che sembra tratta da un manuale:
“Abbiamo
appena sentito che Cristo ha vinto la morte…
Non
dobbiamo interrogarci sulla sua morte…
A
ormai è nella luce eterna…
dobbiamo
interrogarci piuttosto sulle nostre vite…
dobbiamo
essere capaci di ascoltare gli altri…
non
dobbiamo abbandonare la speranza anche nel momento della disperazione più
nera…”.
…
ma chi era A per lui? Ma dov’è A in queste parole? Quanto era stato più vero ed
umano uno dei miei compagni durante il servizio militare… un meridionale,
praticamente analfabeta, che davanti alla morte di un soldato in un incidente
si disperava: “Ma capisci? Quello non mangia più, non ride più, non scopa più.
Basta tutto!”.
Mi
distraggo. Mi risuona nella mente la canzone di De André per Tenco:
Lascia che sia fiorito / Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima / e al mondo la sua pelle / dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo / là dove in pieno giorno / risplendono le stelle.
Fate che giunga a Voi / con le sue ossa stanche seguito da migliaia /di quelle facce bianche
quando a te la sua anima / e al mondo la sua pelle / dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo / là dove in pieno giorno / risplendono le stelle.
Fate che giunga a Voi / con le sue ossa stanche seguito da migliaia /di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni / fra i morti per oltraggio che al cielo ed alla terra / mostrarono il coraggio.
Signori benpensanti spero non vi dispiaccia / se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte / che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte.
Al momento della comunione, una musica (un adagio, forse di Bach), eseguita da un flauto e da un violino, penetra fino in fondo alle anime, e molte delle ragazze presenti vengono travolte dal dolore e non possono più trattenere il pianto. Anch’io piango.
Signori benpensanti spero non vi dispiaccia / se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte / che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte.
Al momento della comunione, una musica (un adagio, forse di Bach), eseguita da un flauto e da un violino, penetra fino in fondo alle anime, e molte delle ragazze presenti vengono travolte dal dolore e non possono più trattenere il pianto. Anch’io piango.
È
tutto un passarsi fazzoletti di carta.
Nel
primo banco, la madre con il fratello (un adolescente), lo zio e una bambina.
Dietro
il ragazzo c’è un educatore, il “responsabile”, che lo tiene sotto controllo
costantemente.
Il
fratello ha momenti di sconforto. Si piega in avanti su se stesso, si butta giù
e la madre lo rimette su.
La
messa finisce con la benedizione della bara; la cassa bianca viene girata per
uscire; un applauso straziante e liberatorio.
Un
applauso perché? Forse perché non sappiamo in quale altro modo esprimerci.
Forse
perché l’applauso serve a noi, a tutti noi, per farci coraggio, per sentire che
siamo ancora vivi, che dobbiamo ancora vivere.
Fuori,
sullo spiazzo, le ragazze, sembra che abbiano voglia solo di stare
raggomitolate nel loro dolore. Occhi gonfi, sguardi attoniti, senza parole.
Non
hanno nemmeno voglia di riconoscersi e di salutarsi.
Le
amiche più vicine, quelle delle medie, quelle che abitano nella stessa strada
piangono disperatamente e si abbracciano una all’altra; si fanno un po’ di
coraggio a vicenda.
Maria
mi fa conoscere l’amica più cara di A.
È
sudamericana; la chiamerò Rosa, come Santa Rosa da Lima.
Ci
accordiamo. Dobbiamo parlarci nei prossimi giorni; dobbiamo parlare di A.
Dobbiamo
ricordare. Non è possibile che A se ne vada così, senza un atto di riflessione
e di memoria. Che società è quella in cui è potuto succedere quello che è
successo ad A?
In
cosa sono cambiate le nostre vite dopo la sua morte?!
Che
fare?... se la stessa cosa dovesse succedere a un’altra creatura innocente e
indifesa?
Piangendo borbotta
qualcosa contro l’ipocrisia dei vicini che ora sono qui a piangere… “… tutti
sapevano e nessuno ha fatto niente”.
La
macchina con il corpo di A parte per il cimitero, mestamente.
A
sarà sepolta senza un momento di memoria, senza una riflessione… senza una
parola di verità.
Sepolta
in modo che non ne rimanga memoria
Sepolta
in modo che la nostra vita prosegua come se A non fosse mai esistita.
Tornando
a scuola chiedo alla mia collega, a Maria, come è possibile che lo zio fosse
presente e in prima fila. Mi dice che, non solo è stato presente in chiesa, ma ha
anche partecipato a tutte le funzioni di quei giorni: momenti di preghiera, Rosari…
Maria
mi dice che lui e la madre non accettano nessuna responsabilità.
Lui
e la madre sostengono che l’adolescente, forse desiderosa di essere al centro
dell’attenzione, cioè malata di protagonismo, abbia inventato tutto.
Poco
contano i referti dell’ospedale che confermano un’altra realtà.
Non
spetta a noi condannare… ma che la ragazza venga fatta passare per una
squilibrata, per una mitomane, è veramente difficile da accettare.
Tradita
anche dalla madre. (mi tornano alla memoria alcuni versi di Pasolini)…
Mi
domando che madri avete avuto… :
Madri
mediocri, con anime in cui il mondo è dannato a non dare né dolore né
gioia…
Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto di bestia…
Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto di bestia…
Madri vili, con nel
viso il timore antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia e li allontana dal cuore…
deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia e li allontana dal cuore…
Madri
servili –e complici –, abituate da secoli a chinare senza amore la
testa…
·
Nel quinto mistero doloroso si contemplano
i ricordi di Rosa
Qualche
giorno dopo il funerale, incontro Rosa nell’androne della scuola.
Ci
mettiamo d’accordo. Non è difficile trovare un’ora libera in cui incontrarci.
Le
dico che voglio capire. Che voglio capire per non dimenticare.
Che
ci sono delle domande a cui voglio dare una risposta, perché A non si può
lasciarla scivolare così nel dimenticatoio, come se il suo dolore non fosse mai
esistito.
Dopo avere
permesso che fosse sprecata la sua vita, non possiamo permettere che sia
sprecata anche la sua morte.
Mi presento
all’appuntamento con emozione e trepidazione… sento che ‘devo’ raccogliere
questa testimonianza, ma sento che in questa cosa c’è anche, almeno in parte,
il rischio di una invasione indelicata. Mi presento quasi giustificandomi… dico
che vorrei solo sapere qualcosa di più di A…
cosa le
interessava; cosa le piaceva di quello che stava studiando? Quali erano i suoi desideri?
A scuola era
molto brava… una delle migliori della classe… tutti 8 e 9…
Il suo
desiderio? Voleva andare via…
Via dove? … in
America
A far cosa?
… avrebbe voluto conoscere i componenti del suo gruppo musicale preferito… ma
soprattutto voleva andare via da qui… via dalla sua famiglia… da sua madre…
aveva litigato anche il giorno prima…
Perché
litigavano? … la madre voleva che lei tornasse a casa… voleva che ritrattasse
le sue accuse… l’accusava di aver rovinato la famiglia
(Scuote un
poco la testa) Forse se fosse stata mandata in un’altra città…
Le chiedo se
lei crede che davvero lo zio abusasse di lei.
Ma certo! Mi
racconta che ogni notte, da anni e anni, fin da quando era bambina, A, quando
andava a letto, si rannicchiava tutta in un angolo, aspettando con terrore che
lui arrivasse…
Avrebbe
voluto annientare il suo corpo… forse era per questo che aveva avuto dei disturbi
alimentari… si… era anoressica… ma ultimamente aveva recuperato un po’…
Quanto
pesava?... 39 kg…
Non ce
l’aveva un ragazzo?... si… ultimamente aveva un ragazzo, uno della sua età, ma si
vedevano poco… lui viveva in un’altra città; era un ragazzo che le voleva bene…
non la toccava… era il suo modo per farle capire che non tutti gli uomini sono
schifosi…
Non
sopportava di essere toccata… baciata… abbracciata… neanche dalle compagne;
Non
sopportava che ci si avvicinasse troppo a lei… c’era come uno spazio intorno a
lei dove non si poteva entrare (fa un semicerchio intorno a lei col braccio
teso, per farmi capire);
Non
sopportava che le toccassero i capelli;
Aveva sempre
la coda e il ciuffo che le copriva metà della faccia;
Portava
camicione lunghe, larghe, grosse per nascondere le forme, per non essere
attraente;
Si sentiva
in colpa. Credeva di fare schifo, per quello che aveva subito;
Io commento:
certo… sentiva di essere stata ridotta a cosa…
sentiva di
avere subito una di quelle umiliazioni che sono per sempre,
(quante ce
ne ha mostrate Kafka…)
sentiva che
la sua dignità era stata negata…
come fu
negata quella degli ebrei dai nazisti.
Paragonare
quelli che hanno buttato A nell’abisso ai nazisti, potrà sembrare ad alcuni
eccessivo;
qualcuno
dirà che questi non sono iene come i nazisti…
Sbagliano.
Hannah Arendt ci ha insegnato che il male, il male assoluto, può avere i
caratteri della banalità, della mediocrità… e banali e mediocri sono i
carnefici di A. Rosa fa cenno di si con la testa.
·
Nel primo mistero doloroso si contempla
la disperazione di Maria
·
Nel secondo mistero doloroso si
contempla la testimonianza di una madre
·
Nella parentesi si contempla la banalità
della cronaca
·
Nel terzo mistero doloroso si contemplano
i pensieri cattivi della notte nell’attesa dell’autopsia
·
Nel quarto mistero doloroso si contempla
il funerale di A
·
Nel quinto mistero doloroso si contemplano
le parole e i ricordi di Rosa
… e ora che siamo giunti alla fine non resta che contemplare
l’indifferenza della città di X
Nella
stagione teatrale di quest’anno, nel Gran Teatro Comunale della città di X, il
cartellone della stagione promette, come ogni anno, Operette, Cabaret,
Balletti, Saggi di danza, Spettacoli goliardici, Commedie messe in scena da
Compagnie di giro e persino uno spettacolo di Teatro Civile col nome del famoso
Attore della Televisione messo in bella mostra, a fare da specchietto per le
allodole…
Nel
1947, nel manifesto programmatico del Piccolo Teatro della città di Milano, Strehler
e Grassi scrivevano: “Il teatro resta il luogo dove la comunità adunandosi
liberamente a contemplare e a rivivere, si rivela a se stessa;
il
luogo dove fa la prova di una parola da accettare o da respingere:
di
una parola che accolta, diventerà domani un centro del suo operare,
suggerirà
ritmo e misura ai suoi giorni”.
Ma oggi, non
siamo più nel 47; la città ha diritto di divertirsi e di non pensare…
non le
interessa di “rivelarsi a se stessa”…
Divertiti,
città; divertiti nel tuo benessere…
dove sono
finiti i tuoi valori civili? I tuoi valori umani? E quelli cristiani?... dove
sono finiti?
Povera
città… divertiti e non pensare…
divertiti!...
fai finta di non vedere, di non sapere…
divertiti!… mentre
i tuoi figli bruciano…
divertiti!… e
così sia,
finché non
sarai tu stessa a bruciare.
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero…
Signore, il suo sentiero…
Nessun commento:
Posta un commento