sabato 23 aprile 2016

un rosario per A






Un rosario per A

Luigi Alcide Fusani
  
Corso Pavia, 26
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Giugno-Luglio 2013




Gloria.

“La narrativa dice la verità in un'epoca in cui
le persone cui è demandato di dire la verità inventano storie.
I politici, i media, coloro che creano le opinioni, in effetti, inventano storie.
E allora diventa dovere di uno scrittore cominciare a dire la verità”.
Queste parole sono di Salman Rushdie.

Per poter dire la verità bisogna cercare di capire, e bisogna ricordare.
Per capire occorre l’intelligenza, cioè la fantasia che sa scoprire collegamenti che uniscono eventi e realtà apparentemente separati e lontani.

Ma per capire, l’intelligenza da sola non basta.
Occorre anche la sensibilità.
La sensibilità è quella qualità che permette di distinguere ciò che ha valore
da ciò che ne ha meno, o non ne ha del tutto.

Dopo aver capito, ricordare è necessario.
Ricordare è necessario per non commettere di nuovo errori e ingiustizie.
La memoria quindi è un atto rivoluzionario.

Coltivare l’intelligenza, la sensibilità, la memoria richiede onestà.
L’onestà richiede sacrificio.
Il sacrificio porta spesso dolore.
Molti non vogliono soffrire e quindi sono dediti alla pratica di coltivare l’oblio; di non voler vedere; di non voler sentire; di non voler capire.

Io vorrei cercare di capire come è stato possibile che siamo diventati quello che siamo:
gente che non vuole vedere, che non vuole sapere, che non vuole capire.
Gente che si accontenta di un mondo fasullo, dove l’amicizia è quella che si chiede e si dà su Facebook; dove la bellezza è quella della bambolina americana; dove ci si accontenta di una verità di plastica, ritoccata al photoshop, politicamente corretta, nel rispetto della privacy… nella sicurezza di non prendere denunce e querele.

Sono davanti al computer da alcuni giorni e sto cercando di mettere ordine nel caos in cui mi trovo da una mattina di alcune settimane fa.
Voglio resistere alla tentazione dell’oblio. Non voglio dimenticare che alcune settimane fa,
una ragazza di 17 anni si è uccisa facendosi investire da un treno.
La chiamerò semplicemente A. Più avanti spiegherò perché.

Ormai quasi nessuno parla più di lei, come se non fosse mai esistita.
Quasi nessuno parlava di lei neanche quando era viva.
Mi viene in mente Pasolini, La Ricotta…
"Povero Stracci. Crepare... non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo...".
Ma in quest’epoca distratta, anche morire non basta per avere attenzione; al massimo qualche lacrima, qualche chiacchiera, un po’ di pietà.

·         Nel primo mistero doloroso si contempla la disperazione di Maria

La sera prima.
Vicino a casa mia, che è vicino alla stazione, il traffico è bloccato; ambulanze e mezzi di soccorso; treni soppressi… ci deve essere stato un incidente. Domani leggeremo sui giornali.
… non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.

La mattina dopo.
A scuola; sono in sala professori. Alcune colleghe, in disparte parlano sotto voce. Verifico l’orario; tolgo dal cassetto i libri che mi servono per le lezioni.
Arriva Maria; si butta tra le braccia di un’altra collega e scoppia a piangere; è devastata dalla disperazione. “Non ce l’ho fatta… non ce l’ho fatta…”, ripete schiacciando con forza un fazzoletto contro il volto.
Maria è la mia collega che tra le altre cose, si occupa anche di educazione alla legalità.
Per molti ragazzi e ragazze, privi di punti di riferimento adulti, lei è una madre; per questo la chiamerò Maria.
Cerca di ricomporsi. Mi avvicino a lei. “Che è successo?”.
“Ti ricordi? Te ne avevo parlato… si è fatta investire dal treno…”
“Ieri sera?”
“… ha detto che prendeva un gelato e rientrava subito… si è messa le cuffie e si è avviata lungo i binari… l’aveva detto ieri mattina a scuola, alle sue amiche… le aveva salutate… aveva detto ‘quasi-quasi stasera mi faccio una passeggiata sui binari’… ma non avevano pensato… il macchinista l’ha vista, era distesa in mezzo ai binari, a duecento metri dalla stazione… ha cercato di frenare, ma non è riuscito…”
Qualcuno ha domandato qualcosa che non ricordo
“Adesso è all’ospedale di Y, in coma… è in condizioni disperate… dopo proviamo a telefonare… facciamo telefonare dal preside… a noi non rispondono…”

“Ti ricordi? Te ne avevo parlato”.

Si. I ricordi riemergono a uno a uno, nel corso della mattina… anche se A, io non l’ho mai conosciuta.
Forse l’avrò incrociata qualche volta all’ingresso della scuola, sotto il grande porticato di quel monumento che è stato adattato a istituto superiore, ma non era una mia alunna, e nessuno me l’ha mai presentata.
Quindici giorni prima mi era stato chiesto di sostituire una collega che, per un lutto improvviso, non poteva accompagnare una classe nella visita ad alcuni beni sequestrati alla criminalità organizzata.
In autobus avevo scherzato con i ragazzi su accelerazione centripeta, inerzia, forza di trascinamento, sistemi di riferimento. Dopo una breve camminata nella periferia, eravamo arrivati alla proprietà.
Due villette sullo stesso terreno. La prima ora è adibita a centro in cui i ragazzi sottratti alle famiglie e sottoposti a tutela, possono incontrare alcuni parenti, alla presenza dei responsabili.
L’altra è diventata un centro educativo e al pomeriggio accoglie ragazzi provenienti da famiglie in difficoltà;  qui si fa un po’ di doposcuola e qualche attività ludica.

Ci spiegano che la prima era la villa in cui risiedeva la grande famiglia; il capo, i figli e gli altri associati. La seconda…
La seconda serviva per certe attività. Porte e finestre erano state murate, e si poteva accedere solo dall’entrata del box. Le persone prese di mira; commercianti, artigiani, gestori di bar… dopo essere stati prelevati, venivano portati all’interno della villetta, e qui minacciati e intimiditi.

Nel giardino una volta, c’erano numerose statue, grandi pacchiane; Sacri cuori, Madonne, protettori e santi tutti.
Dietro il giardino stalla e maneggio per il figlio piccolo, appassionato di equitazione.

·         Nel secondo mistero doloroso si contempla la testimonianza di una madre

Dopo una breve presentazione viene data la parola a una signora anziana.
La chiamerò Niobe… mi ricordo che a questo personaggio, per non so quale sgarbo o atto di superbia nei confronti degli dei, furono uccisi tutti i figli, e la sua vita fu solo lacrime.
È meridionale; vestita di nero; la criminalità organizzata le ha ammazzato la figlia.
Gliel’hanno ammazzata a sassate. Lapidazione.
La sua testimonianza è terribile. Porta con sé tutta la forza tremenda della realtà.
Gli studenti non fiatano.
La signora tesse la sua trama con passo lento, ordinato e ostinato.
L’abbandono del marito che la picchiava.
Il lavoro di operaia per mantenere se stessa e le due figlie.
I primi segni di disagio della piccola.
La perdita del lavoro, le difficoltà; la scoperta che la ragazza si droga; le frequentazioni pericolose; la mancanza di aiuto da parte delle autorità.
Lo scivolamento inesorabile verso la tragedia.
Il ritrovamento della figlia col cranio fracassato, massacrata in un bosco vicino.
La denuncia contro i presunti colpevoli.
L’ostinazione a cercare giustizia, anche se sconsigliata da tutti… parenti, amici, conoscenti… tutta gente di buon senso; “Che te ne frega… tanto tua figlia non può più tornare”.
La guida di Libera, racconta la solitudine di Niobe in tribunale, senza un parente, un conoscente… seduti accanto a lei, contro la schiera degli imputati, sostenuti dalle famiglie; con lei solo i volontari a turno.
Tra tutti noi che ascoltiamo non c’è un movimento.
Dopo qualche minuto di silenzio, un applauso liberatorio e di ringraziamento.

Prima di riprendere la visita, una breve panoramica delle attività delle famiglie… qualche considerazione conclusiva… e qualche ammonizione a essere vigilanti su quelle piccole cose a cui superficialmente non si pone attenzione, ma che di fatto favoriscono e arricchiscono la criminalità: il consumo di sostanze illecite anche leggere e poco dannose; l’accettazione e la giustificazione della evasione fiscale e del lavoro nero, compreso quello delle prostitute; la partecipazione a forme di gioco d’azzardo come le slot machines, apparentemente lecite, ma in grandissima parte imposte ai gestori dei locali e controllate. I locali dove le ‘famiglie’ controllano il gioco, rendono alle famiglie stesse, decine e decine di migliaia di euro al giorno… ma anche i proprietari dei locali sono contenti; chi entra per giocare poi consuma.
Chiedo quale fosse stata la reazione dei vicini, alla presenza di questo nucleo. Positiva mi rispondono. Quando la famiglia è stata arrestata, i vicini sostenevano che il “dottore” e i suoi parenti fossero delle brave persone. Avevano anche raccontato che quando un gruppo di zingari, si era accampato lì vicino, il ‘dottore’ aveva mandato tre dei suoi uomini, e il giorno dopo gli zingari non c’erano più. Meglio i mafiosi degli zingari; gli zingari rubano. Meglio i mafiosi della polizia; quelli i delinquenti li proteggono… e poi, quelli vincono gli appalti al ribasso, e il comune risparmia, ma risparmia anche chi lavora, perché chi lavora con loro, lavora in nero, e guadagna di più.

Mentre proseguiamo la visita e ci rechiamo allo spazio in cui ci sarà fornito il pasto, io e Maria chiacchieriamo. Lei segue alcune delle ragazze che sono state allontanate dalle famiglie.
Mi dice: “In questa Italia, in questa città, succedono cose che non si riesce a immaginare”.
Mi racconta di una bambina di due anni; la settimana prima la madre l’ha portata in ospedale. Pare che il padre ne avesse abusato brutalmente. Ora madre a bambina sono state allontanate dalla città, e il padre è stato arrestato.
Mi parla di A; una ragazza ospite in una casa di accoglienza. Adesso ha 17 anni; quando ne aveva  7 o 8, il padre era morto.
A, la mamma e il fratello minore erano rimasti soli.
Il fratello del padre era entrato nella famiglia e si era sostituito al fratello morto.
Due anni prima, alcuni insegnanti avevano percepito il disagio.
A si tagliava… si feriva continuamente all’inguine come se volesse asportarsi il sesso.
A forza di tagliarsi le era venuta una cicatrice dura e callosa che si spaccava continuamente e non si rimarginava. Avrebbe dovuto sottoporsi a una plastica.
La psicologa della scuola era riuscita a farla parlare. A aveva raccontato che lo zio abusava di lei da dieci anni, fin da quando era arrivato in famiglia.
L’uomo negava. La madre negava. I referti medici confermavano.
La ragazza e il fratello erano stati sottratti alla famiglia; l’uomo mandato a processo.
“Staremo a vedere” conclude, Maria.
Devo dire che non so quali rapporti, quali contiguità, esistessero tra questa famiglia e la criminalità organizzata; non ci siamo soffermati sull’argomento.
La mattina è passata.
Esco di scuola; all’edicola lo strillo del giornale locale a lettere cubitali: Sfiorata dal treno, gravissima 17enne

·         Parentesi in cui si contempla la banalità della cronaca

La banalità della cronaca, incapace di cogliere anche un solo pallido riflesso della tragedia che si è compiuta dopo anni di silenzio.


Sfiorata dal treno, gravissima 17enne




... Una studentessa … di 17 anni, … , è stata investita ieri, verso le 19, da un treno della linea ferroviaria PQ, ed è ricoverata in gravissime condizioni all’ospedale di Y, nel reparto di Rianimazione. L’incidente è avvenuto tra il passaggio a livello di via R e quello di via S a circa duecento metri dalla stazione ferroviaria.
Non sono ancora chiare le cause dell’investimento. Sono in corso accertamenti da parte della polizia ferroviaria. Sul posto anche polizia locale e vigili del fuoco. Per ora i responsabili degli accertamenti non escludono alcuna ipotesi: da un incidente nel tentativo di attraversare i binari (la giovane portava le cuffiette per sentire la musica) all’eventuale gesto volontario. Il treno coinvolto è il regionale 123: arrivava da P e stava rallentando per entrare in stazione. Stando a una prima ricostruzione …, la giovane sarebbe stata vista distesa tra i binari, il corpo parallelo rispetto alle rotaie: il macchinista ha tentato in tutti i modi di frenare.
La ragazza è stata colpita alla testa. Subito è stato chiesto l’intervento del 118 …. Gli operatori del soccorso sono stati costretti a lasciare i mezzi in via R  e a procedere per un centinaio di metri a piedi lungo la massicciata, per raggiungere il corpo della 17enne, estratto da sotto il treno dal medico del 118. E’ iniziata una lunga e intensa manovra di rianimazione, quindi la studentessa è stata caricata sull’ambulanza della Croce Azzurra e trasferita all’ospedale ...
Il traffico ferroviario … è rimasto fermo due ore, fino alle 21: quattro i treni soppressi.

Nella fotografia che accompagna l’articolo, alcuni uomini con giacconi neri e casco (forse vigili del fuoco) con altri uomini dai giacconi fluorescenti rossi e gialli, trasportano una barella, lungo i binari, costeggiando un treno bianco e azzurro, fermo.

Questa è l’informazione. Dove è avvenuto l’incidente; come; quando.
I vigili del fuoco, polizia locale e il pronto intervento si sono comportati come si deve, e dopo un paio d’ore, tutto ha ripreso a funzionare come si deve. Tranquilli. Come se niente fosse successo.
Il pomeriggio passa nell’attesa e nella speranza. Qualche telefonata; forse la situazione non è così grave come sembra. “… ma il coma è reale o è indotto farmacologicamente?...”. All’ospedale  dicono di non continuare a chiamare continuamente. “La situazione è gravissima”.
Maria organizza qualche momento di preghiera.

Tra la correzione di una verifica e l’altra, cerco di ricostruire il puzzle.
“Si tagliava, si feriva all’inguine come se volesse asportarsi il sesso”.
Mi viene in mente un film di Bergman, un film degli anni 70; la protagonista odiava talmente il marito che infilava un coccio di un bicchiere di cristallo nella vagina per impedirgli, per sempre, di fare sesso con lei.
Forse anche A si feriva per cercare di impedire allo zio di prendersi il rapporto con lei.

Si parla tanto, e giustamente, di femminicidio. Di donne uccise dagli uomini… e va bene; ma dovremmo inserire nella riflessione, nel calcolo, anche le donne che per disperazione, per mancanza di una via d’uscita, sono indotte a farsi del male da se stesse.

Due giorni dopo A muore. Nessuno strillo sulle locandine, né nelle pagine interne.







Morta la studentessa colpita dal treno

E’ morta dopo due giorni di agonia in ospedale: non ce l’ha fatta la 17enne studentessa dell’istituto ABC investita da un treno nel tardo pomeriggio di mercoledì, fra il passaggio a livello di via R e quello di via S.
Non si esclude che abbia voluto togliersi la vita. In base agli accertamenti della polizia ferroviaria di X la ragazza – che avrebbe compiuto 18 anni fra due mesi - si sarebbe sdraiata sui binari, ma all’ultimo momento vedendo arrivare il treno regionale 123, avrebbe tentato di evitarlo.
Inizialmente, il fatto che avesse le cuffiette per ascoltare musica aveva fatto pensare che non si fosse accorta del treno in transito. Comunque, il macchinista non è riuscito a frenare in tempo: la motrice del convoglio ha colpito la studentessa alla testa. La 17enne è stata ricoverata in Rianimazione all’ospedale  di Y con lesioni gravissime al capo. Il decesso è stato dichiarato alle 19 di venerdì.
Verrà eseguita l’autopsia, poi sarà possibile stabilire una data per i funerali. Da due anni la ragazza viveva in comunità: è stata allontanata dalla famiglia di origine, a causa di presunti abusi sessuali nei suoi confronti da parte di un parente, verso il quale è in corso un procedimento penale dopo la denuncia presentata dalla studentessa. Anche il fratello minorenne vive nella stessa comunità.
Il giorno dell’incidente, la ragazza nel primo pomeriggio aveva incontrato la madre (il padre è morto qualche tempo fa), all’interno della comunità protetta. Si incontravano una volta la settimana, sempre alla presenza di un educatore, per ordine del giudice. Pare che madre e figlia abbiano avuto un’accesa discussione, come spesso avveniva durante i loro colloqui. Dopo qualche ora la studentessa è uscita. Verso le 19 l’incidente sui binari della linea PQ . La notizia della morte si è diffusa rapidamente anche fra gli insegnanti e i compagni della 17enne.
Ieri mattina, all’uscita degli studenti… , erano molte le compagne in lacrime. «La scuola è in lutto – diceva il preside … – riesce difficile credere che abbia voluto togliersi la vita. Era un’ottima studentessa, pur con i suoi gravi problemi famigliari e un carattere molto chiuso e riservato. Negli ultimi mesi però sembrava più aperta verso il mondo».

“…riesce difficile credere che abbia voluto togliersi la vita. Era un’ottima studentessa, pur con i suoi gravi problemi famigliari e un carattere molto chiuso e riservato. Negli ultimi mesi però sembrava più aperta verso il mondo».”.
Nessun commento… anche se nell’articolo si accenna brevemente a qualcuno dei reali problemi della ragazza.

Il giorno dopo, l’ultimo articolo.
Studentessa 17enne investita dal treno, oggi l’autopsia
Investita da un treno, è morta dopo due giorni di agonia in ospedale.
Dovrebbe essere eseguita oggi l’autopsia sul corpo della studentessa 17enne, allieva dell’istituto professionale … . Una volta eseguita l’autopsia, potranno essere decisi data e luogo dei funerali della ragazza. «Sicuramente i suoi compagni di classe prepareranno un ricordo da leggere in chiesa durante il rito funebre diceva ieri il preside della scuola. 
La ragazza lascia la madre e un fratello. Da un paio d’anni però non viveva più in famiglia: il tribunale ha deciso di collocarla in una casa di accoglienza, per sottrarla a una situazione famigliare molto difficile. Non si esclude, in base alla dinamica accertata dalla polizia ferroviaria che la 17nne abbia voluto togliersi la vita.

Dopo questo articolo su A scende il silenzio definitivo della stampa. Perché tanto pudore? Perché tutto questo silenzio? Per la legge sulla privacy? Ma questa legge, non sarà un comodo alibi?
E se questa reticenza nascondesse una volontà del giornale di non compromettersi…
non compromettersi per non rischiare querele, problemi…
In realtà l’autopsia viene eseguita dieci giorni dopo.

·         Nel terzo mistero doloroso si contemplano i pensieri cattivi della notte nell’attesa dell’autopsia

Io non dubito che il giudice, le autorità, abbiano voluto sgombrare il campo da ogni incertezza; non dubito che abbiano voluto chiarire tutti gli aspetti della vicenda.
Tuttavia ho sofferto. Ho sofferto soprattutto di notte.
Ho sofferto e ho fatto pensieri cattivi.

Mi sono chiesto… ma perché un uomo adulto si accoppia più e più volte con una bambina… per anni? Per piacere?... non mi sembra possibile!
Forse per devastare in lei ogni dignità, ogni speranza di futuro… forse solo così avrebbe potuto farne una schiava e venderla… e come è possibile che la madre lo permetta?
Lo so, certo non sarebbe stata la prima donna a essere ridotta in schiavitù e ad essere venduta.
Che visione del mondo hanno questa donna e quest’uomo? … disposti ad annientare una figlia per la propria sopravvivenza.
E ancora: che società è una società che non è in grado di proteggere i suoi elementi più deboli…?
I suoi figli…? Quali sono le vere priorità, per la nostra società?

E perché ora, l’autopsia; un ulteriore strazio del corpo. Per sapere cosa?
Cosa cercavano i medici e i giudici nelle sue viscere…?
Volevano sapere se la ragazza era incinta?
Sarebbe stata una bella perdita di credibilità per una ragazza che accusava di essere stuprata in famiglia.
Volevano sapere se faceva uso di droghe?
Forse avrebbe fatto piacere a qualcuno, se si fosse uccisa in preda a sostanze che alterano il senso di realtà.
Volevano sapere se era sieropositiva? Se c’era una motivazione ‘altra’, per uccidersi?
Perché solo ora si vuole scoprire la verità? Quale verità si spera di trovare?

Il suo corpo insepolto, come quello di Antigone suicida nella cava, mi angoscia e non mi lascia dormire.
È in memoria di Antigone che ho deciso di chiamarla A.
A come Antigone che non riesce a dormire sapendo il corpo del fratello insepolto, e vaga fuori delle mura della città confidando a Ismene progetti d’azione.

Come Antigone non riesco a dormire, sapendo il corpo di A steso al freddo della cella frigorifera, in attesa di essere sventrato da una autopsia che mi pare contemporaneamente giustificabile e folle…
Non ho la minima idea di cosa fare.
Schiacciato dall’impotenza assoluta, non mi resta che scrivere.

Ho cominciato citando:
“La narrativa dice la verità in un'epoca in cui
le persone cui è demandato di dire la verità inventano storie.
I politici, i media, coloro che creano le opinioni, in effetti, inventano storie.
E allora diventa dovere di uno scrittore cominciare a dire la verità”.

La verità non la so, ma almeno voglio provare a capire.

Mi torna alla mente il caso di Violette Noziere, e mi dico che 80 anni sono passati inutilmente.
Violette Nozière: credo che pochi ricordino la sua storia, anche se negli anni 70 ne era stato ricavato un film di un certo interesse, e prima ancora Breton e Eluard, dedicandole poesie ed opere d’arte, ne avevano fatto un’eroina; un modello di resistenza all'autoritarismo familiare e all'ipocrisia sessuale borghese.
Violette, nei primi anni 30, tentò di uccidere il padre e la madre, con veleno e gas. La madre riuscì a salvarsi, ma il padre morì. Violette dichiarò che i suoi genitori se l'erano meritato; accusò il padre  di aver abusato di lei sin dall'età di dodici anni, e accusò la madre di non essere mai intervenuta in sua difesa. La madre per tutta la durata del processo, continuò a negare le dichiarazioni della figlia.
Dopo un anno di processo, Violette fu condannata a morte.
I giudici, e l’opinione pubblica rifiutarono di credere a Violette; l’accusarono di prostituzione; di condurre una vita immorale, e di avere cercato di ammazzare i genitori per impadronirsi dei risparmi di famiglia.
Fece scalpore il fatto che, alla fine del processo la madre si fosse rivolta ai giudici implorando “Pietà per la mia bambina!”
La pena di morte, poi venne commutata in ergastolo; l’ergastolo in 12 anni di lavori forzati, e così nel 1945 Violette fu definitivamente liberata.
In seguito si sposò con un dipendente di un carcere in cui era stata rinchiusa, ed ebbe 5 figli.
Nel 63, tre anni prima di morire, fu riabilitata completamente.

Ora mi domando: cosa sarebbe successo se A avesse ucciso lo zio, o la madre, o tutti e due?
Che titoli avrebbero dominato sulle pagine dei giornali?
Che parole sarebbero state utilizzate per parlare di lei? Assassina, mostro, raptus di follia… avrebbero fatto riferimento ad altri casi di cronaca? Chi sarebbe stato disposto ad ascoltare, a dare credito alle sue giustificazioni? Chi si sarebbe impegnato a sostenere la legittima difesa?

I 10 giorni in attesa dell’autopsia scorrono lentissimi…
Qualcuno mormora che ultimamente la ragazza si era avvicinata a una setta satanica… si vestiva di nero… ascoltava musica di certi gruppi…
Non so se sia vero, ma se ci fosse qualcosa di vero sarebbe un altro motivo di rammarico; vorrebbe solo dire che A aveva mandato un segnale e il mondo intorno a lei non lo aveva ascoltato; un segnale, una metafora, un’allegoria:
io sono all’inferno… nessuno sa togliermi da qui… e va bene, io ci sto!

Una mattina incontro Maria nell’androne della scuola; ha in mano una cornice con una fotografia e un mazzo di fiori blu… un bouquet:
“… sono da mettere sul suo banco… il blu era il suo colore preferito…”
Mi fa vedere la foto in cornice: “… di foto, abbiamo ingrandito questa… è l’unica dove si veda il viso… non voleva farsi fotografare… e poi aveva sempre un ciuffo… tutti i capelli sulla faccia… questa l’aveva fatta due mesi fa… si era fatta fare un taglio che le scopriva un po’ il viso”.
Guardo la foto; A non sorride; non guarda nell’obbiettivo; il viso è magro, lungo… non mi ricordo di averla mai vista.
Maria si avvia verso la classe, accompagnata dalle compagne di A. Nel dolore sembrano quasi contente, di aver fatto questa piccola cosa per la loro compagna.

Finalmente la notizia: L’autopsia è stata fatta.
Penso che questa angoscia per corpo insepolto sta per finire; chiedo quando sarà il funerale.
Non si sa.

Prima il giudice si deve pronunciare su un quesito importante: chi paga il funerale?
Grottesco!
La madre? La madre no! Forse non vuole, forse non ha le possibilità… ma comunque la madre ha detto di no!
La comunità? La comunità è sempre alla canna del gas… no, pare di no.
Il comune? Eh, no! Perché deve pagare la comunità (che ha già subito tanti disagi il giorno dell’incidente) per un funerale privato? No. Il Comune no!
La scuola? Si può fare una colletta a scuola? No. Non si può! Perché? Non lo so… nessuno lo sa.
Una cosa è sicura: la scuola assolutamente no!
Se non fosse una tragedia sarebbe una farsa.

Deciderà il giudice… tra 3, 4, 6 giorni… chissà…
La burocrazia come nuovo Creonte, tiene il corpo di A ancora insepolto.
A, come Antigone, smembrata, nel gelo della cella frigorifera, deve aspettare altri 3 o 4 giorni, prima che arrivi la sentenza del giudice.
Finalmente, il giudice stabilisce che il funerale lo deve pagare il Comune.

·         Nel quarto mistero doloroso si contempla il funerale di A

Arrivo alla chiesa.
È un edificio costruito di recente.
La pianta è quadrata, con l’altare in un angolo.
Lo spazio per i fedeli è leggermente in discesa.
La luce entra da vetrate a motivi geometrici multicolori: spirali e vortici intrecciati.
Sono in anticipo e quindi faccio un giro in cerca di un posto in cui sistemarmi.
Passo davanti a una specie di cappella che ha al centro una statua di terracotta di Padre Pio, con uno sguardo allucinato e terribile, che sembra uscita da quel film di Fellini in cui Terence Stamp è braccato dal diavolo nei panni di una fanciulla inquietante.
C’è un’altra cappella laterale, dedicata ad accogliere i gonfaloni vinti dalla contrada nel palio cittadino.
Quadri discutibili, con prospettive approssimative, colori scialbi e figure umane sproporzionate,  opera di banali pittori dilettanti del luogo.
Il palio cittadino… mi viene in mente una frase di uno scrittore tedesco che non molti anni fa diceva più o meno: gli italiani sono un popolo strano… una volta all’anno sfilano in costume e credono di essere liberi…
Mi siedo in un angolo sperando che nessuno che io conosco venga a sedersi accanto a me. So di essere molto emotivo e non vorrei farmi vedere dagli studenti mentre non riesco a trattenere il pianto.

Cominciano ad arrivare le compagne. Le guardo con una attenzione che non posso avere a scuola dove devo tenere a bada la classe, compilare registri, avanzare coi programmi, spiegare, far fare verifiche.
Oggi le guardo come sono nella loro realtà.
Alcune hanno la faccia già gonfia per il pianto; gli occhi arrossati; lo sguardo attonito.
Sono davanti alla morte, a qualcosa di troppo grosso, che non capiscono, che non sanno come affrontare e che le schiaccia.
Quasi tutte sono troppo grasse, altre sono troppo magre, altre ancora troppo piccole.
Tutte sono sgraziate, infagottate nei giubbotti, nelle felpe o nei maglioni.
I capelli… molte, sembra che non si siano nemmeno pettinate… le acconciature improbabili, approssimative, sciatte…
Tutte portano jeans… alcuni pieni di buchi procurati ad arte dai produttori stessi: una stupidaggine che in questa occasione si manifesta in tutta la sua mancanza di senso.
Tutte portano scarpe da tennis, di tutte le marche possibili.
Quanto è lontana questa Italia reale e poetica che ora è qui vicino a me, dalla rappresentazione che ne viene fornita.
Sono ragazze povere, destinate ad essere escluse. Sono allo scoperto, indifese, reali. Loro lo sanno; lo sentono. Tra di loro, a volte, quando si sfottono, si mettono sulla fronte la mano con tre dita chiuse e solo l’indice e pollice tesi; lo mettono in modo che si legga una L: la elle di looser.
Sono quelle che non potranno mai nemmeno lontanamente avvicinarsi a quel modello di successo… quel modello televisivo patinato… magra-sorridente-firmata-truccata-pettinata… una Barbie vivente, accompagnata da calciatore.
Sono ragazze per le quali la scuola, un professionale,  non sarà mai un ascensore sociale.
Sarà tanto se fornirà loro gli strumenti per sfangare la vita.
Che questa scuola, (di cui la maggior parte non capisce nemmeno il senso…) possa fornire loro gli strumenti per interpretare il mondo, e per agire in esso, non è nemmeno una illusione.

È arrivata anche Maria. Sistema una fotografia vicino all’altare; come una brava donna di casa, dispone meglio i fiori e le corone; distribuisce ai ragazzi foglietti con letture, pensieri…
Comincia la messa: musiche sciatte… accordi scordati di chitarre… una voce senza grazia né garbo intona canti per nulla armonici …
Le letture vengono fatte dai ragazzi che mettono le parole in fila, senza tirare fiato, senza colore, senza intenzione, biascicandole rapidamente…
Il prete pronuncia una omelia che sembra tratta da un manuale:
“Abbiamo appena sentito che Cristo ha vinto la morte…
Non dobbiamo interrogarci sulla sua morte…
A ormai è nella luce eterna…
dobbiamo interrogarci piuttosto sulle nostre vite…
dobbiamo essere capaci di ascoltare gli altri…
non dobbiamo abbandonare la speranza anche nel momento della disperazione più nera…”.

… ma chi era A per lui? Ma dov’è A in queste parole? Quanto era stato più vero ed umano uno dei miei compagni durante il servizio militare… un meridionale, praticamente analfabeta, che davanti alla morte di un soldato in un incidente si disperava: “Ma capisci? Quello non mangia più, non ride più, non scopa più. Basta tutto!”.

Mi distraggo. Mi risuona nella mente la canzone di De André per Tenco:

Lascia che sia fiorito / Signore, il suo sentiero 
quando a te la sua anima / e al mondo la sua pelle / dovrà riconsegnare 
quando verrà al tuo cielo / là dove in pieno giorno / risplendono le stelle. 

Fate che giunga a Voi / con le sue ossa stanche seguito da migliaia /di quelle facce bianche 
fate che a voi ritorni / fra i morti per oltraggio che al cielo ed alla terra / mostrarono il coraggio. 

Signori benpensanti spero non vi dispiaccia / se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia 
soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte / che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte. 

Al momento della comunione, una musica (un adagio, forse di Bach), eseguita da un flauto e da un violino, penetra fino in fondo alle anime, e molte delle ragazze presenti vengono travolte dal dolore e non possono più trattenere il pianto. Anch’io piango.
È tutto un passarsi fazzoletti di carta.
Nel primo banco, la madre con il fratello (un adolescente), lo zio e una bambina.
Dietro il ragazzo c’è un educatore, il “responsabile”, che lo tiene sotto controllo costantemente.
Il fratello ha momenti di sconforto. Si piega in avanti su se stesso, si butta giù e la madre lo rimette su.
La messa finisce con la benedizione della bara; la cassa bianca viene girata per uscire; un applauso straziante e liberatorio.
Un applauso perché? Forse perché non sappiamo in quale altro modo esprimerci.
Forse perché l’applauso serve a noi, a tutti noi, per farci coraggio, per sentire che siamo ancora vivi, che dobbiamo ancora vivere.

Fuori, sullo spiazzo, le ragazze, sembra che abbiano voglia solo di stare raggomitolate nel loro dolore. Occhi gonfi, sguardi attoniti, senza parole.
Non hanno nemmeno voglia di riconoscersi e di salutarsi.
Le amiche più vicine, quelle delle medie, quelle che abitano nella stessa strada piangono disperatamente e si abbracciano una all’altra; si fanno un po’ di coraggio a vicenda.

Maria mi fa conoscere l’amica più cara di A.
È sudamericana; la chiamerò Rosa, come Santa Rosa da Lima.
Ci accordiamo. Dobbiamo parlarci nei prossimi giorni; dobbiamo parlare di A.
Dobbiamo ricordare. Non è possibile che A se ne vada così, senza un atto di riflessione e di memoria. Che società è quella in cui è potuto succedere quello che è successo ad A?
In cosa sono cambiate le nostre vite dopo la sua morte?!
Che fare?... se la stessa cosa dovesse succedere a un’altra creatura innocente e indifesa?
Piangendo borbotta qualcosa contro l’ipocrisia dei vicini che ora sono qui a piangere… “… tutti sapevano e nessuno ha fatto niente”.
La macchina con il corpo di A parte per il cimitero, mestamente.
A sarà sepolta senza un momento di memoria, senza una riflessione… senza una parola di verità.
Sepolta in modo che non ne rimanga memoria
Sepolta in modo che la nostra vita prosegua come se A non fosse mai esistita.

Tornando a scuola chiedo alla mia collega, a Maria, come è possibile che lo zio fosse presente e in prima fila. Mi dice che, non solo è stato presente in chiesa, ma ha anche partecipato a tutte le funzioni di quei giorni: momenti di preghiera, Rosari…
Maria mi dice che lui e la madre non accettano nessuna responsabilità.
Lui e la madre sostengono che l’adolescente, forse desiderosa di essere al centro dell’attenzione, cioè malata di protagonismo, abbia inventato tutto.
Poco contano i referti dell’ospedale che confermano un’altra realtà.
Non spetta a noi condannare… ma che la ragazza venga fatta passare per una squilibrata, per una mitomane, è veramente difficile da accettare.
Tradita anche dalla madre. (mi tornano alla memoria alcuni versi di Pasolini)…
Mi domando che madri avete avuto… :
Madri mediocri, con anime in cui il mondo è dannato a non dare né dolore né gioia…
Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d’amore, 
se non d’un amore sordidamente muto di bestia…
Madri vili, con nel viso il timore antico, quello che come un male 
deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia e li allontana dal cuore…
Madri servili –e complici –, abituate da secoli a chinare senza amore la testa… 

·         Nel quinto mistero doloroso si contemplano i ricordi di Rosa

Qualche giorno dopo il funerale, incontro Rosa nell’androne della scuola.
Ci mettiamo d’accordo. Non è difficile trovare un’ora libera in cui incontrarci.
Le dico che voglio capire. Che voglio capire per non dimenticare.
Che ci sono delle domande a cui voglio dare una risposta, perché A non si può lasciarla scivolare così nel dimenticatoio, come se il suo dolore non fosse mai esistito.
Dopo avere permesso che fosse sprecata la sua vita, non possiamo permettere che sia sprecata anche la sua morte.

Mi presento all’appuntamento con emozione e trepidazione… sento che ‘devo’ raccogliere questa testimonianza, ma sento che in questa cosa c’è anche, almeno in parte, il rischio di una invasione indelicata. Mi presento quasi giustificandomi… dico che vorrei solo sapere qualcosa di più di A…
cosa le interessava; cosa le piaceva di quello che stava studiando? Quali erano i suoi desideri?

A scuola era molto brava… una delle migliori della classe… tutti 8 e 9…
Il suo desiderio? Voleva andare via…
Via dove? … in America
A far cosa? … avrebbe voluto conoscere i componenti del suo gruppo musicale preferito… ma soprattutto voleva andare via da qui… via dalla sua famiglia… da sua madre… aveva litigato anche il giorno prima…
Perché litigavano? … la madre voleva che lei tornasse a casa… voleva che ritrattasse le sue accuse… l’accusava di aver rovinato la famiglia
(Scuote un poco la testa) Forse se fosse stata mandata in un’altra città…
Le chiedo se lei crede che davvero lo zio abusasse di lei.
Ma certo! Mi racconta che ogni notte, da anni e anni, fin da quando era bambina, A, quando andava a letto, si rannicchiava tutta in un angolo, aspettando con terrore che lui arrivasse…
Avrebbe voluto annientare il suo corpo… forse era per questo che aveva avuto dei disturbi alimentari… si… era anoressica… ma ultimamente aveva recuperato un po’…
Quanto pesava?... 39 kg…
Non ce l’aveva un ragazzo?... si… ultimamente aveva un ragazzo, uno della sua età, ma si vedevano poco… lui viveva in un’altra città; era un ragazzo che le voleva bene… non la toccava… era il suo modo per farle capire che non tutti gli uomini sono schifosi…
Non sopportava di essere toccata… baciata… abbracciata… neanche dalle compagne;
Non sopportava che ci si avvicinasse troppo a lei… c’era come uno spazio intorno a lei dove non si poteva entrare (fa un semicerchio intorno a lei col braccio teso, per farmi capire);
Non sopportava che le toccassero i capelli;
Aveva sempre la coda e il ciuffo che le copriva metà della faccia;
Portava camicione lunghe, larghe, grosse per nascondere le forme, per non essere attraente;
Si sentiva in colpa. Credeva di fare schifo, per quello che aveva subito;

Io commento: certo… sentiva di essere stata ridotta a cosa…
sentiva di avere subito una di quelle umiliazioni che sono per sempre,
(quante ce ne ha mostrate Kafka…)
sentiva che la sua dignità era stata negata…
come fu negata quella degli ebrei dai nazisti.
Paragonare quelli che hanno buttato A nell’abisso ai nazisti, potrà sembrare ad alcuni eccessivo;
qualcuno dirà che questi non sono iene come i nazisti…
Sbagliano. Hannah Arendt ci ha insegnato che il male, il male assoluto, può avere i caratteri della banalità, della mediocrità… e banali e mediocri sono i carnefici di A. Rosa fa cenno di si con la testa.

·         Nel primo mistero doloroso si contempla la disperazione di Maria
·         Nel secondo mistero doloroso si contempla la testimonianza di una madre
·         Nella parentesi si contempla la banalità della cronaca
·         Nel terzo mistero doloroso si contemplano i pensieri cattivi della notte nell’attesa dell’autopsia
·         Nel quarto mistero doloroso si contempla il funerale di A
·         Nel quinto mistero doloroso si contemplano le parole e i ricordi di Rosa

… e ora che siamo giunti alla fine non resta che contemplare l’indifferenza della città di X

Nella stagione teatrale di quest’anno, nel Gran Teatro Comunale della città di X, il cartellone della stagione promette, come ogni anno, Operette, Cabaret, Balletti, Saggi di danza, Spettacoli goliardici, Commedie messe in scena da Compagnie di giro e persino uno spettacolo di Teatro Civile col nome del famoso Attore della Televisione messo in bella mostra, a fare da specchietto per le allodole…

Nel 1947, nel manifesto programmatico del Piccolo Teatro della città di Milano, Strehler e Grassi scrivevano: “Il teatro resta il luogo dove la comunità adunandosi liberamente a contemplare e a rivivere, si rivela a se stessa;
il luogo dove fa la prova di una parola da accettare o da respingere:
di una parola che accolta, diventerà domani un centro del suo operare,
suggerirà ritmo e misura ai suoi giorni”.

Ma oggi, non siamo più nel 47; la città ha diritto di divertirsi e di non pensare…
non le interessa di “rivelarsi a se stessa”…

Divertiti, città; divertiti nel tuo benessere…
dove sono finiti i tuoi valori civili? I tuoi valori umani? E quelli cristiani?... dove sono finiti?
Povera città… divertiti e non pensare…
divertiti!... fai finta di non vedere, di non sapere…
divertiti!… mentre i tuoi figli bruciano…
divertiti!… e così sia,
finché non sarai tu stessa a bruciare.


Lascia che sia fiorito 
Signore, il suo sentiero

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