sabato 17 dicembre 2022

 Lucia, la sirena Olga e la bambina in fondo al mare


Lucia era una bella bambina; glielo dicevano tutti.

Glielo diceva la nonna: ma come sei carina, oggi, con questo bel vestitino!

Glielo diceva il nonno: ma chi è la bella del nonno? Ma dimmelo tu, eh? chi è?

Lucia non rispondeva, faceva la timida.

Ma il nonno insisteva: lo sai che sei tu, la bella del nonno?... lo sai?

Lucia piegava un pochino la testa e poi sussurrava: si.

Anche le zie, gli zii, le amiche della mamma... persino alcune persone che la incontravano per la prima volta, subito la elogiavano. Quanto era bella; com'era vestita bene; com'era composta; com'era educata...

La mamma la elogiava per quanto si impegnava a scuola… “con quanta serietà...”.

In realtà la mamma aveva un comportamento un po' strano; davanti agli estranei la lodava; a casa era sempre scontenta... non le andava mai bene nulla, e quindi Lucia non era contenta. Le sembrava tutta una grande bugia. Non le piaceva la scuola e non era nemmeno convinta di essere tanto bella.

C'era qualcosa che non la convinceva; per esempio, la parola preferita dai suoi genitori era “non”.

Non mangiare troppo in fretta... non fare i bocconi così grossi... non ti buttare sul divano in quel modo... non lasciare le verdure cotte nel piatto...”.

Altra cosa: la mamma era una buona cuoca, ma solo quando c'erano ospiti.

Nei giorni “normali” formaggio molle (disgustoso) e zucchine (o finocchi) bolliti, conditi con un goccino di aceto e un giro d'olio).

Devi mangiare tutto, fino “all'ultimo” boccone che c'è nel piatto; (anche “ultimo” era una parola molto amata dai suoi genitori).

Anche a scuola le cose non andavano bene. La mamma aveva scelto che Lucia fosse iscritta nella classe in cui insegnava una maestra “all'antica”.

Questa maestra si faceva chiamare “Signora Maestra” (le altre si facevano chiamare per nome... Giovanna, Marina, Teresa.... lei no. Lei solo Signora Maestra). Naturalmente era severa, teneva ordine in classe come se fosse stato un piccolo plotone di soldatini, dava un sacco di compiti e di pagine da studiare perché i bambini dovevano essere preparati bene per le scuole medie.

Le sue parole preferite erano: silenzio! al posto! attenti!

Nessuna di queste parole piaceva a Lucia.

Silenzio”... ma perché? A lei sarebbe piaciuto chiacchierare, conversare con le altre bambine, e anche con la maestra. E invece no! Silenzio!

Al posto”... ma non sarebbe stato meglio uscire in giardino e correre intorno alle piante di caki o di melograno e raccogliere qualche frutto? No!

Correre no, ché poi cadi e ti sbucci le ginocchia e rovini il grembiule o il vestitino.

Ma la cosa peggiore era stare “attenti”. Il più delle volte quello che la maestra raccontava era noiosissimo, e quindi la mente di Lucia cominciava a vagare immaginando avventure magnifiche, la fuori.

Se invece, raramente, quello che la maestra spiegava era interessante, allora la fantasia di Lucia si perdeva ancora di più... costruiva interi racconti in orizzonti lontani, e lei, le parole della maestra non le sentiva più.

Infine, parliamo dei compiti... un vero “veleno nella coda”, come nello scorpione. “Nel libro di Matematica, fate tutti gli esercizi a pagina 125...”

Tutti?”, “Si sono solo 18”, “Ma in ciascuno ci sono 3 esercizi...”, “Quanto fa 3 per 18?”, “... ...”, “Vedi che non lo sai... devi fare più esercizio... poi Storia studiare da pagina 234 a pagina 243... ” e così via.


A casa, per prima cosa, la mamma chiedeva “Cosa devi fare di compito, oggi? Fammi vedere il diario”... e così, finché gli esercizi non erano fatti tutti, “fino all'ultimo”, non ci si poteva muovere dal tavolino.

Spesso succedeva che quando il papà arrivava a casa dal lavoro, Lucia stava ancora studiando. In realtà le sembrava di affogare come un topino travolto da un'onda di fango in una roggia. “Ancora lì, sei!? Ma sei proprio una lumaca!”.


Amiche non ce n'erano. A scuola la maestra non voleva che le bambine “stessero a spettegolare come delle oche”. Nell'intervallo: “Mangiate le vostre merende senza sporcare la classe... quando avete finito cominciate a ripassare, ché dopo c'è Geografia”.

Ogni tanto qualche bambina la invitava a casa sua, per il pomeriggio, a giocare insieme. “Si, puoi andare, ma prima devi finire tutti i compiti”. E se Lucia li finiva la mamma le diceva di portarsi avanti con quelli del giorno dopo, oppure la interrogava per vedere se la lezione era stata imparata bene, e naturalmente c'era sempre qualcosa che non andava, e bisognava studiarla ancora; l'appuntamento con l'amica saltava, e così l'amica si offendeva.

Se non c'erano i compiti, c'era la piscina, la danza, il violino. Insomma, una vita molto impegnativa e nessuna amica.


Un pochino di tempo libero lo aveva, certe sere. La mamma le permetteva, prima di addormentarsi, di leggere un libro per dieci minuti o un quarto d'ora, poi arrivava e spegneva la luce; “Su, adesso basta, chécapiyò devi dormire...”.

Tra i suoi libri, uno dei preferiti era “La pastorella e lo spazzacamino”, una raccolta di racconti di Andersen, ma le piacevano anche le favole dei Grimm.

Si immaginava di vivere quelle favole insieme a piccole fiammiferaie, soldatini di piombo e principesse. A volte si immaginava di discutere animatamente coi personaggi. Per esempio non era per niente d'accordo con la principessa che trattava male il ranocchio che l'aveva aiutata; le diceva come avrebbe dovuto comportarsi; essere gentile, non dire bugie e non fare i capricci.

Costruiva altri racconti in cui continuava a vivere anche dopo che la mamma aveva spento la luce, finché non si addormentava.

La mattina dopo, la giornata ricominciava faticosa e noiosa come sempre, fino a quando, un giorno, capitò che la maestra la sgridasse, ingiustamente.


Si, la maestra aveva visto volare un astuccio, da un capo all'altro della classe, e arrivare a colpire una bambina vicino al muro.

Questa bambina (una bambina noiosa, fastidiosa e capricciosa) si era messa a piangere e a lamentarsi che quell'astuccio le aveva fatto tantissimo male.

La maestra aveva pensato che l'astuccio l'avesse lanciato Lucia e cominciò a sgridarla per bene. Lucia non era stata, e prima lo aveva detto.

E allora chi è stato?”

Lucia lo sapeva, chi era stato, ma non voleva fare la spia. Sperava che la colpevole si facesse avanti e dicesse che era stata lei, ma la maestra si arrabbiava sempre di più e a un certo punto le gridò di darle il diario, per metterle una bella nota.

I sentimenti che Lucia provava erano tutti dolorosi: vergogna, umiliazione, tradimento. Tutto la feriva profondamente.

Si chiedeva: le avrebbero creduto papà e mamma? O avrebbero dato credito alla maestra e alla sua nota.

Lucia temeva questa seconda ipotesi, anzi era quasi sicura.

Se non mi credono, allora non voglio tornare a casa”. Così alla fine delle lezioni, invece di andare veloce a casa, come al solito, andò in direzione opposta; verso la pineta.


Nella città in cui abitava Lucia, vicino alla scuola, là dove finiva la periferia, c'era una grandissima pineta. Nelle giornate di vento, l'aria della città si profumava di fresco, infatti, oltre la pineta, c'era il mare. A volte, al sabato o alla domenica, quando c'era bel tempo, papà e mamma organizzavano una colazione sulla spiaggia.

Si partiva con la macchina; una stuoia da stendere sulla sabbia; il cestino con i panini, la torta salata, qualche fetta di torta dolce, i thermos con l'acqua fresca, il caffè, la spremuta.

In spiaggia: “Non ti sporcare, vieni all'ombra, mettiti la crema, non andare dove non si tocca, non schizzare”.

Anche la pineta era un luogo dove era meglio non entrare. “Attenta! Non si sa mai che animali potresti incontrare: cani rabbiosi, gatti randagi, gufi, civette, falchi, serpenti...” e peggio di tutto, il terribile uomo-nero, che l'avrebbe raggiunta all'improvviso, l'avrebbe infilata nel suo sacco e l'avrebbe portata via per venderla chissà dove, chissà a chi.

Davanti alla paura di essere sgridata, tutti questi pericoli le sembravano poca cosa.

Lucia andò verso la pineta, imboccò un sentiero che si addentrava nel folto degli alberi e non incontrò né cani, né gatti, né uccelli rapaci, né serpenti e nemmeno il terribile uomo-nero col sacco; camminò per un po', fino a quando i pini non finirono e non incominciò la spiaggia.

Era arrivata in un punto diverso da quello in cui andava di solito con i suoi genitori.

Qui c'erano degli scogli, alcuni grandi, altri più piccoli, e sulla sabbia grossi tronchi portati lì da qualche mareggiata. Sui tronchi, brandelli di teli e stracci di plastiche.

La riva era vicina; il mare era calmo. Lucia percorse una ventina di metri andando verso l'acqua, poi cominciò a camminare lungo la sabbia bagnata della battigia.

Si ritrovò davanti a un grosso scoglio, piatto, che si avanzava tra le piccole onde; ci salì sopra, si levò lo zainetto, si mise a sedere con le gambe incrociate e i gomiti appoggiati sulle ginocchia.

Guardava il mare, respirava profondamente e non pensava.

Non pensava alla scuola, alla maestra, alle compagne e neanche ai genitori e alla sua casa. Non pensava a cosa avrebbe mangiato (non aveva fame) e nemmeno a dove avrebbe dormito (non aveva sonno). Non si chiedeva se a casa, dove non l'avevano vista arrivare, fossero in pensiero e avessero cominciato a cercarla, magari all'ospedale. Restava lì, davanti alle increspature della superficie del mare; quel giorno l'acqua era limpidissima, e sul fondo, lì vicino, si vedeva benissimo qualche sasso appoggiato sulla sabbia. Non c'era nessuno; solo qualche gabbiano che sembrava guardasse verso l'orizzonte.

Non saprei dirvi quanto tempo restò lì, così; so solo che a un certo punto le acque davanti a lei si mossero e dalla schiuma uscì una strana creatura che salì sullo scoglio e si mise accanto a lei.

La creatura era una piccola sirena.

Lo so che le sirene non si fanno vedere quasi mai, eppure quel giorno una comparve.

Salì sullo scoglio; si guardò un po' in giro; osservò un po' l'acqua che scivolava sul suo corpo; scosse leggermente i lunghi capelli rossi, quasi arancioni e fece un respiro profondo.

Lucia non sapeva cosa dire; rimase per un po' a guardare il corpo della sirena per cercare di capire come fossero unite la parte umana a quella del pesce.

Una volta, aveva visto un bambino (cattivo) che per far dispetto a sua sorella, le aveva portato via la bambola; l'aveva segata in due all'altezza della pancia, poi aveva tagliato la testa a un pesce che aveva trovato in frigo, e con un nastro adesivo color argento aveva unito i due tronconi per fare una sirena. Poi si era messo a urlare “Si può fare! Si può fare”, come faceva un dottore pazzo in un film di Frankenstein, e per finire, coi suoi amici, era corso, fino alla fontana della piazza del municipio e l'aveva buttata dentro.

La sirena sullo scoglio, nastro adesivo sulla pancia non ne aveva. Non era uno scherzo.

Visto che Lucia taceva, a un certo punto la sirena domandò “Come ti chiami?”; “Lucia”,

Io mi chiamo Olga... perché stai qui tutta da sola?”,

La maestra mi ha messo una nota, ma io non avevo fatto niente. Non voglio tornare a casa... non voglio che la mamma e il papà mi sgridino anche loro... non voglio andare a casa... preferisco restare qui...”,

... senti, perché non vieni a fare un giro con me?”,

Ma dove?”,

Nel mare... dentro... andiamo dove abito io...”,

Ma io non so neanche nuotare... come faccio ad andare 'dentro'...”,

Non ti preoccupare... dammi la mano... ti guido io... vedrai, è bellissimo”.

Lucia e la sirena si presero per mano, e scivolarono insieme nell'acqua.

Lucia era stupita, le batteva forte il cuore; non aveva bisogno di respirare; vedeva benissimo tutto quello che la circondava e le sembrava che il tempo scorresse più lentamente che sulla spiaggia.

Guardò sopra di sé e vide dei gabbiani immobili nel cielo.

Guardò intorno a sé e vide scogli su cui erano posati dei ricci spinosi; delle alghe grigio-verdi oscillavano lentamente; piccole famiglie di piccoli pesci a strisce bianche e nere andavano in cerca di cibo; pesci un pochino più grossi con la pelle su cui macchie di colore nere, arancione, e celestine creavano strane figure geometriche.

Raggi di luce attraversavano l'acqua e illuminavano un paio di meduse dalle sfumature rosa e violette, che ondeggiavano, sospese a mezza altezza.

Lucia e Olga si tenevano ancora per mano, e parlavano senza parlare; una pensava una cosa e l'altra sentiva.

Ti piace?”,

E' bellissimo... ma tu dove abiti?”,

Più giù... vieni...”.

Olga diede un colpo di coda e riprese la discesa. L'ambiente adesso era in penombra; i raggi del sole facevano fatica a scendere fin lì.

Si vedeva qualche ramo di corallo, qualche pesce col muso che sembrava quello di un vecchio mastino, pesci lunghi, sottili e piatti. Vicino a loro passò una vecchia grossa tartaruga che nuotando gemeva sottovoce come se avesse l'artrite e le facessero mare tutte le articolazioni.

Olga portò Lucia in una grotta dove vicino a un letto di alghe c'era un cumulo di oggetti dispersi in qualche naufragio, o chissà caduti da qualche barca: teli di spugna, magliette, cappelli, secchielli di plastica, pezzi di canna da pesca.

Lucia, continuando a tenere la mano di Olga, si stese sulle alghe. Erano morbidissime. Olga restò lì accanto a lei, seduta su uno scoglio. Riposavano e si godevano quel momento di tranquillità.

Lucia pensò che forse, lei e la sirena erano amiche. Era un momento molto bello. Solo un'ora prima, era ferita, delusa e senza speranza.


Dopo poco, nel silenzio, mentre qualche ciuffo di alghe si lasciava carezzare dalle deboli correnti sottomarine, Lucia cominciò a sentire una specie di musica; era come un canto, ma con una nota sola; tante persone con voci diverse; sottovoce, con le labbra chiuse. Lucia pensò la domanda: “Cos'è questa musica?”,

E' il popolo dell'abisso... vuoi vederli?”,

Si”,

Vieni, bisogna scendere fino al punto più profondo del mare”.

Lucia si sollevò; le due amiche uscirono insieme dalla grotta e cominciarono a nuotare.

Man mano che scendevano, quella specie di musica, quel coro, si distingueva sempre meglio. Non ci volle molto prima che arrivassero a scorgerli.

Era come una folla in una piazza. Alcuni erano da soli, altri riuniti in gruppetti. C'erano uomini, donne, giovani, ragazzi e bambini.

Erano tutti in piedi, e grigi, come statue di ardesia; erano vestiti di stracci; tenevano gli occhi socchiusi e si muovevano appena, spinti da qualche leggera corrente; anche la bocca era chiusa o socchiusa; non parlavano ma emettevano quel suono, forse un lamento, forse un grido trattenuto.

Lucia e Olga passarono in mezzo a quella folla. Era una moltitudine; anche se le acque erano limpide e luminose, non si vedeva dove finisse.


A un certo punto, passarono accanto a una bambina che avrà avuto gli stessi anni di Lucia, era alta come Lucia, era scalza e aveva una espressione dolorosa e contratta sul viso. Stringeva la mano una donna; nell'altra mano teneva qualche straccio; era quello che restava di una bambola; socchiuse gli occhi con fatica.

Lucia e Olga si fermarono e iniziarono a fissare la bambina. Non so per quanto tempo restarono in silenzio...; a un certo punto la sirena domandò “Come ti chiami?”;

la bambina si contrasse un poco e non rispose; disse solo: “Ho freddo... ho tanto freddo...”, e dopo poco; “sono stanca e ho fame... non so da quanto tempo non mangio... è tantissimo tempo...”.

Lucia sentì nei confronti di quella bambina una emozione che non aveva mai provato prima. Avrebbe voluto abbracciarla, accompagnarla a casa sua, dire ai suoi genitori che aveva trovato sua sorella, che ora quella bambina sarebbe stata sempre con lei, avrebbe dormito nella sua cameretta, avrebbe mangiato con lei, avrebbe fatto la merenda insieme a lei, avrebbe giocato con lei, e sarebbe anche andata a scuola, con lei. E se i suoi genitori avessero fatto storie, non avrebbe accettato scuse; questa volta, non avrebbe ceduto. Aveva trovato una sorella, un'amica e non l'avrebbe lasciata mai più.

La bambina aveva ripreso a lamentarsi.

La sirena disse: “Vuoi venire con noi?”,

Non posso, la mamma mi ha detto di stare sempre vicino a lei... sempre...”.

Lucia pensò: “Bisogna tornare a riva; bisogna chiedere aiuto... dire che vengano qui a prendere queste persone... queste persone hanno fame... bisogna che le portino su... non si può lasciarle qui al freddo...”, poi si rivolse alla bambina e disse: “Aspettami, ora vado su e chiamo qualcuno... poi torniamo giù e vi aiuteremo a risalire e a uscire da questo posto”.

La bambina aprì gli occhi e Lucia vide che stava piangendo. “Non dimenticarti di me... non dimenticarti di me...”.

Mentre Lucia, con la sirena, risaliva verso la spiaggia, la voce della bambina in fondo al mare continuava a risuonare nella sua mente: “Non dimenticarti di me... non dimenticarti di me... non dimenticarti di me...”.

Quando furono in prossimità della riva la sirena si fermò e guardò negli occhi Lucia. Non dissero nulla, si abbracciarono un istante e poi... una spinta.

Lucia si ritrovò sullo scoglio piatto; il suo zainetto era ancora lì.


Eccola, eccola... è là, sullo scoglio...”.

A gridare era stato un vigile, e adesso correva sulla spiaggia insieme a un gruppetto di persone. C'erano il papà e la mamma, la maestra, un paio di poliziotti, qualche pescatore del paese e Maria Grazia, la bambina che aveva tirato l'astuccio.

Questa bambina, all'uscita da scuola aveva cominciato a seguire Lucia per chiederle scusa; aveva avuto troppa paura; una paura che l'aveva paralizzata e le aveva impedito di dire alla maestra che l'astuccio l'aveva lanciato lei.

Però, prima di raggiungerla, Maria Grazia aveva visto Lucia che invece di andare a casa, entrava nella pineta e aveva avuto paura; anche a lei avevano raccontato degli animali selvatici, degli uccelli rapaci e del terribile uomo-nero, e allora era corsa dalla maestra a raccontare che Lucia non stava andando a casa. Non aveva detto nulla dell'astuccio; doveva aspettare che le acque si calmassero.

Comunque l'allarme era stato dato, i genitori avvisati e le ricerche erano cominciate subito.

Quando arrivarono vicino a lei, la mamma, non proprio furiosa, ma abbastanza agitata, incominciò “Ma cosa ti è saltato in mente!... ma dove volevi andare...”.

Ognuno parlava; i poliziotti, con il papà, prendevano degli appunti per stendere un verbale. La maestra raccontava alla mamma quello che era successo quella mattina: astuccio volante, sgridata, nota; ognuno faceva i suoi commenti.

Lucia e Maria Grazia si guardavano in silenzio.

Comunque, tutto è bene quel che finisce bene”, disse il papà, “... grazie a tutti per il vostro aiuto... adesso andiamo a casa... e grazie ancora”.

Il papà prese lo zaino di Lucia e tutto il gruppo si avviò sulla spiaggia per raggiungere la piazzuola dove erano parcheggiate le auto.

Mentre erano in auto e stavano in silenzio (un silenzio molto minaccioso) Lucia risentì la voce della bambina “Non dimenticarti di me... “Non dimenticarti di me...”, e raccogliendo tutto il coraggio che aveva disse:

Oggi ho conosciuto una bambina... una bambina che sta in fondo al mare, sta lì con la sua mamma... non ha le scarpe... ha freddo e ha tanta fame... bisogna che andiamo a prenderle... lei e la sua mamma, e le portiamo a casa nostra...”.

La mamma si voltò leggermente verso il marito che stava guidando e continuava a guardare fisso la strada. Quando si accorse che la moglie lo fissava, fece solo un cenno della testa che voleva dire: “Lascia stare... fai finta di niente...”.

Ho detto che in fondo al mare c'è una bambina che non ha le scarpe, e ha freddo, e ha tanta fame. Dobbiamo andare a prenderla!”.

La mamma, irritata: “Si può sapere che storie racconti!? Direi che per oggi ne hai già fatte abbastanza... con tutto il tempo che hai perso, non riuscirai neanche a fare i compiti per domani... bella figura... con la maestra!”.

Quello che dico è vero... io sono stata giù... in fondo al mare... sono andata con la sirena, e giù in fondo c'è tutta una folla di persone che si lamentano e c'è anche una bambina che ha freddo e fame...”

Intervenne il papà con tono conciliante: “Va bene... i compiti che non fa oggi li farà domani... e per quanto riguarda questa bambina di cui parli... domani, con calma, vedremo di cosa si tratta...”. Poi fece un cenno alla moglie come a dire “Lascia stare... oggi è agitata... lasciamo che le passi”.

Lucia rimase in silenzio. In quel momento si era resa conto che papà, mamma, la maestra... nessuno l'avrebbe creduta, nessuno avrebbe capito, nessuno l'avrebbe aiutata.

La bambina, con la sua mamma, con tutta la folla di persone grigie che Lucia aveva visto, sarebbe rimasta in fondo al mare, scalza, affamata, al freddo, e nessuno avrebbe fatto nulla per nessuno di loro.

Le sembrò di rivedere e di risentire la bambina che diceva “Non dimenticarti di me... non dimenticarti di me...”.

No, non ti dimenticherò. Ora che ti ho vista, non ti dimenticherò. Crescerò... crescerò e quando sarò grande e libera, verrò a prenderti... per tutta la vita non penserò ad altro... e troverò, il modo di salvarti... non so come farò, ma so che lo farò. A presto, cara amica, cara sorella. Ciao. A presto”.


Per ora, questa storia finisce qui... io non so, cosa succederà nel futuro; io non so se Lucia dimenticherà o non dimenticherà la bambina in fondo al mare... se potrà fare qualcosa o se non potrà fare nulla. Questo lo sapremo solo col tempo.

Chissà... forse Lucia deciderà di impegnarsi in politica, e combatterà quelli che dicono che non possiamo accoglierli tutti. Se sarà così io spero che riesca a vincere la sua battaglia.

Forse Lucia studierà medicina e deciderà di impegnarsi nel soccorso e nella cura di questi disperati... o forse diventerà una mamma e accoglierà nella sua casa qualche bambina rimasta orfana in qualche guerra orribile.

In questi casi, avrà trovato un modo di dare un senso importante alla sua vita.

Forse dimenticherà o dirà che lei è solo una persona semplice e non può risolvere da sola i problemi del mondo, e allora sarà una donna triste, e noi saremo tristi per lei.

Per ora, noi possiamo solo sperare... abbracciarla forte, farle tanti auguri e dirle con tutto il cuore: coraggio Lucia!

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